Radio. Ricevitori IP stand alone: something went wrong! Cosa non ha funzionato e perché nel mercato dei ricevitori dedicati allo streaming

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Fine corsa per le radio IP stand alone: l’eterogeneità delle fonti di somministrazione audio segna l’archiviazione di un formato mai concretamente decollato, perché frutto di un insano accoppiamento.
Analizziamo il perché di un fallimento peraltro ampiamente prevedibile alla luce dell’evoluzione tecnologica e del cambiamento delle modalità di fruizione da parte degli ascoltatori.

Sintesi

Da cosa è motivato il fallimento dei ricevitori radio IP stand alone: dispositivi pensati per la somministrazione di contenuti radiofonici in streaming, che non hanno mai conseguito un apprezzabile ritorno commerciale?
Secondo l’analisi effettuata da Newslinet anche attraverso il contributo di analisti, ad ostacolarne la diffusione sono stati fattori strutturali, tecnologici e comportamentali, tra i quali:
1) un concept obsoleto, con una struttura analogica dei ricevitori IP stand alone che si è rivelata inadatta all’accesso all’universo sterminato dello streaming, con interfacce poco intuitive e complesse;
2) la dominanza dei dispositivi smart come smartphone, smart speaker e smart TV, che si sono imposti come hub principali per l’ascolto audio, grazie alla loro versatilità, alla semplicità d’uso e aggiornabilità automatica;
3) l’assenza di update, con la chiusura di aggregatori come Reciva che hanno reso inutilizzabili molti apparecchi, privi di idoneo supporto per il funzionamento autonomo o di aggiornamenti firmware;
4) l’incompatibilità di standard, posto che, come già avvenuto con il passaggio da DAB a DAB+, anche nei ricevitori IP stand alone l’assenza di retrocompatibilità ha accelerato l’obsolescenza;
5) fattori demografici, i giovani preferiscono piattaforme on demand (Spotify, YouTube), mentre gli over 50, se ascoltano radio, prediligono dispositivi ormai a loro familiari come lo smartphone o smart speaker;
6) disintermediazione, i dispositivi monofunzionali sono stati superati da quelli integrati, come Android Auto, Apple CarPlay e le smart TV, che offrono accesso a contenuti radio aggregati o singoli ed alle piattaforme OTT.
In definitiva, la radio IP stand alone non pare tanto essere stata un’occasione persa, quanto un errore di progettazione in un mercato che premia oggi solo dispositivi multifunzionali, integrati ed “upgradabili”.
Ancora una volta, quindi, la radio (come medium) non scompare, ma si trasforma, migrando verso tecnologie più agili.

Ricevitori IP stand alone: non un’occasione perduta, ma un (grave) errore di valutazione

Il mercato dei ricevitori radiofonici IP stand alone non è mai decollato davvero.
Troppa frizione, eccessiva condizione di nicchia, elevata concorrenza da parte di dispositivi più duttili, aggiornabili e già presenti nella quotidianità degli utenti.

Smartphone: il bastone del comando

Infatti, mentre lo smartphone si conferma il vero centro nevralgico della fruizione audio contemporanea (e non solo, essendo un passepartout per l’interazione col web ed un’interfaccia per la relazione con altri strumenti), i ricevitori radio stand alone – in particolare quelli IP – vengono messi ai margini di un ecosistema dominato da semplicità, aggiornabilità e ubiquità.

Complessi, lenti e vincolati

Complessi, lenti e vincolati a standard ormai obsoleti, i ricevitori radio IP stand alone sono stati rapidamente superati dalla logica dei device con capacità multifunzionali.

Una (breve) parabola già conclusa

A ben vedere, non c’è mai stata una vera età dell’oro per loro. Sin dalla loro apparizione, questi dispositivi hanno infatti mostrato limiti strutturali che ne hanno impedito la diffusione su larga scala.

Promessa impossibile da mantenere

Dall’inizio, la promessa di accedere a migliaia di stazioni radio in streaming si è rapidamente scontrata con interfacce macchinose, rotelle di scansione (sostitutive del pomello rotario sulla scala parlante dei ricevitori analogici AM/FM) poco ergonomiche ed un’esperienza d’uso farraginosa.

Inconciliabilità tra un concept analogico ed un’offerta infinita

Il risultato?
L’utente medio, inizialmente incuriosito, ha finito per limitarsi a fruire di una manciata di stazioni preferite (e nemmeno tali in senso stretto, essendo spesso solo quelle rese per prime nell’elenco dell’aggregatore a fondamento del ricevitore), riducendo il potenziale del mezzo a un semplice player da scaffale.

Il seme del fallimento

Il seme del fallimento era peraltro insito nel modello stesso: una struttura tipica di un mondo analogico (quello per l’ascolto di una cinquantina di stazioni FM ed una manciata di quelle AM) per accedere ad un universo di 150.000 flussi streaming. Un contrasto così grossolano da non poter reggere al confronto.

Un oggetto più da smanettoni (ma poi nemmeno troppo)

Anche chi ha una solida formazione tecnica e una lunga familiarità con il mondo radiofonico ha finito per abbandonare i dispositivi radio IP stand alone. Configurazioni complicate, aggiornamenti rari od addirittura inesistenti e la necessità di gestire manualmente i database streaming hanno reso frustrante l’utilizzo quotidiano.

Troppo radio, poco smart

L’acquisto di più modelli, da diversi produttori, ha spesso portato alla stessa conclusione: meglio uno smart speaker, l’onnipresente smartphone, un tablet o addirittura la ormai diffusissima smart tv (che ha superato nelle case italiane i tv non connessi).

Smartphone, smart speaker e smart tv: i vincitori designati

E, in effetti, la sconfitta dei ricevitori IP stand alone è strettamente legata al successo di smartphone, smart speaker e smart tv. “Il primo è un dispositivo personale, tascabile, perennemente connesso e in grado di adattarsi alle abitudini dell’utente. Il secondo offre una semplicità d’uso impareggiabile: un comando vocale basta per avviare una stazione, cambiare genere musicale, ascoltare un podcast. Una smart tv è ormai presente in quasi ogni casa italiana, avendo superato per numero i televisori non connessi”, osserva Massimo Rinaldi, ingegnere e cto di Com-Nect, società di ibridazione radiofonica (gruppo Consultmedia).

Autoconfiguranti

Sono device che si aggiornano da soli, accedono a piattaforme over the top (OTT) in automatico e non richiedono configurazioni manuali.

L’impossibilità dell’aggiornamento

Uno dei nodi critici che ha decretato l’obsolescenza dei ricevitori IP stand alone è stata la chiusura degli aggregatori cui si appoggiavano per il funzionamento. Piattaforme come Reciva hanno cessato le attività, rendendo inutilizzabili migliaia di dispositivi che non erano stati progettati per funzionare autonomamente. Allo stesso modo, radio che si affidavano a database centralizzati, come quelle prodotte da Pure, sono diventate inservibili in assenza di aggiornamenti.

La questione degli standard (e della discarica tecnologica)

“Peraltro, a voler essere oggettivi, anche nel mondo del digitale via etere DAB, la questione non cambia. Il passaggio da DAB a DAB+ ha mandato in pensione un’intera generazione di ricevitori incapaci di gestire il nuovo formato. L’assenza di retrocompatibilità ha avuto un impatto devastante, soprattutto per chi aveva investito in apparecchi costosi e non aggiornabili”, puntualizza l’ing. Rinaldi.

Una generazione fuori target

D’altra parte, la demografia dell’ascolto radiofonico in Italia non gioca a favore dei ricevitori IP stand alone. L’età media degli ascoltatori supera i 50 anni e solo il 17% ha meno di 34 anni. I più giovani, cresciuti con Spotify e YouTube, difficilmente percepiscono la radio come mezzo distintivo.

Smart a portata di boomer

I boomer, invece, preferiscono la comodità di uno smart speaker o di uno smartphone che ormai hanno imparato a conoscere ed utilizzare anche nelle funzioni travalicanti la messaggistica e la ricerca sul web, piuttosto che affrontare i menù complicati di una radio IP.

Disintermediazione e convergenza

Il destino dei ricevitori IP stand alone è lo stesso già toccato ad altri strumenti di fruizione audio: disintermediati da dispositivi più versatili. Così come le autoradio sono aggredite da sistemi integrati nell’auto che dialogano in mirrorlink con lo smartphone dell’utente, come Android Auto e Apple CarPlay e le trasmissioni DTT e sat convergono su IP attraverso soluzioni HbbTV jump (e presto DVB-I), anche le radio IP stand alone si sono ritrovate travolte dalla logica della smaterializzazione. “La funzione resta, ma cambia supporto: l’ascolto radio continua, ma su device che non nascono esclusivamente come radio” annota il cto di Com-Nect.

Hub audio

L’orizzonte dell’ascolto audio on demand o lineare (quindi radio compresa) è ormai tracciato. Smartphone, smart speaker, PC, tablet, smart TV: sono questi gli hub dell’ecosistema sonoro contemporaneo.

Il futuro è polifunzionale

“I dispositivi dedicati perdono appeal perché offrono una sola funzione, mentre il mercato premia chi integra, chi aggiorna, chi semplifica. La radio non scompare, ma si adatta, scivolando silenziosamente nei meandri digitali della nuova normalità”, conclude Rinaldi. (G.M. per NL)

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