Pochi giorni fa il centro di ricerca svizzero EBU (European Broadcasting Union) ha reso noto i risultati di una ricerca sul mercato della radiofonia pubblica, effettuata in ventitre paesi europei – comunitari e non –, con l’eccezione di pochissime realtà (Svizzera, Slovacchia, Danimarca, Bulgaria, Islanda, per motivi legati alla mancanza dati certi, a causa di differenze nelle metodologie di rilevazione).
La ricerca si riferisce all’ultimo quinquennio (2006-2010) ed è possibile scaricare il riassunto delle oltre duecento pagine sul blog di Radiopassioni (www.radiolawendel.blogspot.com), che ha riportato la notizia un paio di giorni or sono. In generale, il consumo radiofonico per quanto concerne le realtà pubbliche è in netta diminuzione nel Vecchio Continente, almeno a proposito del consumo tradizionale, direttamente dall’apparecchio radiofonico. La forbice varia, in realtà, dal crollo svedese (-15% dal 2006 al 2010: gli svedesi, specie nella fascia d’età tra i 19 e i 24 anni, si sono affezionati alla musica in streaming di Spotify) all’impennata slovena, che sfiora il +20%. Tra i ventitre, comunque, solo cinque hanno ottenuto una performance positiva (oltre allo stato balcanico, Germania, anche se di poco, e poi Lettonia, Irlanda e Paesi Bassi), mentre il restante malloppone di paesi ha visto la fruizione tradizionale calare. L’Italia si attesta tra le realtà in rosso che hanno ottenuto una delle performance migliori: perde, infatti, solo pochi centesimi di punto rispetto al risultato di cinque anni fa. Anche se i dati si arrestano a metà dell’anno passato, prima dell’harakiri di Audiradio. Da queste statistiche non si evince, in realtà, un calo dell’utilizzo del mezzo radiofonico in sé per sé, quanto più che altro un cambiamento negli stili di consumo. Il web, infatti, ha fagocitato la gran parte di quella percentuale mancante, portando le radio a investire moltissimo nel settore della trasmissione via internet e tutti gli annessi e connessi che questa comporta. Il quadro fotografa un’Europa in cui il 100% delle emittenti radiofoniche pubbliche possiede il live streaming sul proprio sito web; l’87% fornisce servizi di podcasting e il 68% si dota di applicazioni per tablet. Circa la metà di queste, inoltre, utilizza lo strumento dei blog per fidelizzare la propria audience e il 19% sta sperimentando la cosiddetta visual radio. Tutte o quasi le emittenti, infine, fanno largo uso dei social network per restare in contatto col pubblico. Il gap creatosi rispetto ai dati d’ascolto 2006, perciò, risulta ampiamente riempito dallo sviluppo del mezzo internet per le emittenti, per le quali – specie nelle fasce giovani – questo è divenuto un asset irrinunciabile. È solo facendo un uso intelligente e innovativo della rete, infatti, che la radio e le radio riusciranno a fronteggiare la concorrenza dei media digitali. (G.M. per NL)