Le altre volte il pianto era stato più lungo. Ora invece è bastato uno zic di singhiozzo et voilà: pronti 30 milioni di euro. Così, per tre anni Pannella & C. potranno stare tranquilli, con 10 milioni all’anno in saccoccia (esclusi i fondi per l’editoria).
Ne dà notizia un lancio d’agenzia odierno che, nell’informare che l’emendamento salva Radio Radicale è pronto (mentre le parole del viceministro al MSE Paolo Romani si sono nuovamente perse nel vento), spiega che, tuttavia, “Emma Bonino non e’ soddisfatta di come esso sia stato scritto, lo giudica ambiguo e chiede che sia specificata chiaramente la destinazione delle risorse”. La discussione sul tema e’ avvenuta a margine dei lavori della Commissione bilancio del Senato sulla finanziaria. L’emendamento scritto dal presidente della Commissione bilancio, Antonio Azzollini, prevede un taglio su tutte le voci della tabella C, ad esclusione della ricerca e dell’innovazione. Così vengono individuati i 30 milioni di euro per il consueto rinnovo della convenzione tra Radio Radicale e il Ministero dello sviluppo economico. Ma c’è una cosa che turba la Bonino: l’emendamento non esplicita chiaramente l’utilizzazione per Radio Radicale. Questo perché, spiega Azzollini, "nella finanziaria non può essere ammessa una simile formulazione". La finalizzazione dovrà essere indicata in un altro provvedimento oppure, come dicono altri, il rinnovo della convenzione potrebbe avvenire automaticamente, senza necessità di una norma di legge, “in quanto Radio Radicale svolge un servizio sui lavori parlamentari che non ha ancora concorrenti” (è GR Parlamento RAI che è allora?). Ma, dicevamo, la Bonino non è convinta e allora la senatrice radicale Donatella Poretti propone un ordine del giorno che impegna il governo a destinare le risorse a Radio Radicale. ”Ma non ve l’approvano – replica irritato Azzollini – perché non vi fidate di me? Non si può scrivere “Radio Radicale”, noi nella formulazione scriviamo “Centro di produzione spa” che siete voi. Sto lavorando per voi ma non vi sta bene niente”. Scaramucce di facciata che non alterano il finale della storia: Radio Radicale – semmai qualcuno ne avesse dubitato – è salva per il prossimo triennio. E, a dire il vero, non c’è nulla di male in ciò, perché almeno quei 30 mln possono essere considerati soldi ben spesi, visto che l’informazione di Radio Radicale è indiscutibilmente ben fatta, nonostante nel 2008 sia stata seguita solo da 515.000 ascoltatori nel giorno medio (fonte Audiradio 2008), il che significa che i contribuenti hanno pagato quel servizio oltre 25 euro all’anno per utente giornaliero (se si considerano anche i fondi per l’editoria, che hanno determinato un contributo complessivo dello Stato a favore della radio dei Radicali pari a 13 mln di euro annui). Quello che invece non va giù è che quel costoso servizio in un periodo di vacche magre è malamente quanto inutilmente replicato, qui e là per l’Italia, da un’altra emittente pagata dallo Stato (nella costruzione e nella gestione): GR Parlamento, la rete più inutile tra quelle gestite dalla RAI, un giocattolo che pare costi (a noi) circa 7 mln di euro all’anno e che nemmeno si sa quanti ascolti faccia (e meno male!). E non si capisce come mai nessuno dei politici che si prodigano ogni tre anni per salvare Radio Radicale pensi a proporre una norma di legge che possa cancellare quella vergogna radiofonica: un insulto al risparmio editoriale, l’apoteosi dello spreco, in un momento in cui il governo vuol ridurre i fondi per l’informazione. Quella vera, quella unica. Mica in simulcasting.