3′ e 25-35″ su YouTube, Amazon Music ed Apple Music, 2′ e 50-55″ su Spotify, 25-30 secondi su TikTok: questa è la durata media di ascolto di un singolo brano musicale sulle principali piattaforme di streaming on demand.
Nell’era della disconnessione facile, la radio deve rivedere le regole di programmazione musicale?
Uno studio di Media Progress approfondisce la questione.
Ecco il quadro, col commento di due noti consulenti del settore radiofonico.
Sintesi
La regola della durata massima di 3 minuti per un brano trasmesso in radio da dove deriva?
E, soprattutto, è ancora valida nell’era dello streaming audio on demand?
Cosa è cambiato e cosa no dagli anni 60 ad oggi. Questi sono i temi di questo articolo, che approfondiamo col contributo di alcuni professionisti della radiofonia.
La durata nelle decadi: anni 60
Nella prima metà degli anni ’60, la durata media dei brani musicali, in parte a causa delle limitazioni tecniche dei supporti in vinile (prevalentemente 45 giri), era di 2 minuti e 25 secondi, con soglia massima imposta a 3 minuti.
Il presunto studio psico-acustico
Le motivazioni, in parte tecnologiche ed in parte commerciali, come approfonditamente spiegato da Marco Hugo Barsotti in un articolo per 70-80.it, fissarono la regola dei 3 minuti, creando alcune leggende come quella di presunti studi psico-acustici che, all’epoca, avrebbero determinato entro tale limite la soglia di sopportazione dell’utente per un singolo brano. Non era così, ovviamente. Anche se qualche fondamento di verità c’era, come vedremo nel prosieguo.
Estremismi
Tanto è vero che, progressivamente, dalla seconda metà degli anni ’60 e soprattutto in ambito rock, si assistette alla produzione di pezzi di durata estrema (spesso oltre i 10 minuti).
Anni 70
Il progressivo allungamento della durata dei brani musicali dalla fine degli anni 60, sia per la diffusione di supporti più performanti (i 33 giri, ma anche i cd. dischi mix) che per lo sviluppo della radiofonia musicale – che aveva favorito l’industria di settore -, condusse a brani spesso di durata oltre i 7 minuti.
L’avvento della discomusic
La conseguenza fu una media di quasi 5 minuti per pezzo (4 minuti e 50 secondi, per la precisione), accentuata dalla metà degli anni ’70 con l’avvento della discomusic, che intensificò il fenomeno.
Anni ’80
Gli anni ’80 videro un progressivo ritorno a brani più concisi, specialmente nella seconda metà del decennio, con l’ascesa della musica pop e il formato radio-friendly (le cd. versioni radio-edit). Tuttavia, i generi rock e dance potevano ancora avere brani con durata maggiore, influenzando la media che si collocava così a poco più di 4 minuti (4′ e 20″).
Anni ’90
Negli anni ’90, la durata dei brani musicali si stabilizzò, anche grazie ad una maggiore varietà nei generi, (dal grunge all’alternative rock, dall’house all’hip-hop), che, pur creando una disarmonia generale, ridusse di almeno 30 secondi la media, collocandola poco sotto i 4 minuti (3′ e 45″).
Music Express
In quel periodo nacquero servizi di editing per le emittenti radio, come l’americana Music Express, che forniva, su abbonamento alle emittenti radiofoniche, special radio edit dei brani musicali (non solo novità, essendo presenti anche i gold hit disc) con una durata media intorno ai 3 minuti.
Anni 2000-2010
Col nuovo millennio, l’avvento della musica digitale e di piattaforme come iTunes, la durata dei brani iniziò a diminuire leggermente. D’altra parte, il formato digitale permetteva una maggiore flessibilità nella durata delle tracce, che mediamente si ridusse a 3 minuti e 35 secondi.
Anni 2010-2020
Col consolidamento dello streaming musicale la durata delle canzoni si contrasse ulteriormente, con artisti che miravano a mantenere l’attenzione degli ascoltatori in un mercato oramai saturo. Questo portò spesso a brani più brevi, mediamente di 3 minuti e 25 secondi.
Dopo il 2020
Dopo il 2020, la tendenza verso brani più brevi si è ulteriormente intensificata, sostanzialmente riallineandosi alla durata della prima metà degli anni ’60, con molte canzoni pop che durano meno di 3 minuti (2′ e 30″ per la precisione, con prevalenza di finali cut piuttosto che fading).
TikTok
E ciò in parte a causa delle piattaforme di social media come TikTok che favoriscono clip musicali di breve durata e accattivanti.
Disconnessione nell’ascolto streaming radiofonico
“L’era dello streaming musicale ha cambiato il modo in cui gli ascoltatori fruiscono della musica. Le piattaforme di streaming offrono enormi librerie musicali e spesso consentono di saltare brani, e ciò ha influenzato la durata ottimale dei brani stessi”, spiega Giovanni Madaro, ceo di Media Progress, società di analisi strategica (gruppo Consultmedia) che sul tema ha recentemente pubblicato un approfondito report.
2 minuti di intervallo di zapping
“Utilizzando strumenti di analisi evoluti, come StatCast, streaming tool di MeWay, si nota che, in caso di zapping su flussi lineari (non necessariamente radiofonici), la durata media dell’ascolto di un brano in streaming è di circa 2 minuti.
3′ e 30″ in radio
Per quanto riguarda la radio, l’analisi dei dati ha mostrato che l’attenzione dell’utente medio di una stazione generalista cala notevolmente dopo circa 3 minuti e 30 secondi di ascolto dello stesso brano, così confermando l’antica regola della durata ottimale di un brano fissata in 3 minuti, anche se, ovviamente, essa può variare in base al genere musicale e al formato della stazione radio”, conclude Madaro.
L’esperienza degli operatori italiani
“Concordo con la rappresentazione esposta e noto che, nella sostanza, la regola dei 3 minuti è confermata, anche se le più recenti innovazioni in termini di adeguamento dei modelli radiofonici ai cambiamenti tecno-socio-culturali dell’utenza suggeriscono un approccio elastico, come nel caso dei formati rock od oldies, dove la durata originale del brano non dovrebbe essere intaccata”, spiega Patrizia Cavallin, redattrice musicale per la Radio Svizzera Italiana (RSI), conduttrice e consulente radiofonica.
Abominio
“Prendiamo il caso di icone radiofoniche come Music di John Miles (5′ 52″ nella versione singolo e 5′ 58″ nella versione album), Sultans of swing dei Dire Straits (5′ 48″) e Hotel California degli Eagles (6′ 30”): editarli sarebbe un abominio“, conclude Patrizia Cavallin.
L’emozione vince sui fogli Excel
“Tra le tante teorie e regole scritte e non scritte, la mia esperienza in vari ambiti mi porta ad affermare con sempre più convinzione che l’emozione vince ancora sui fogli Excel”, dichiara Marco Lolli, editore digitale, regista di Rai Radio2, da 20 anni coinvolto in tutti i programmi di Fiorello (a Viva Rai2 si è occupato proprio della scelta e dell’editing musicale), nonché consulente dell’emittente romana RTR 99 Canzoni e parole fuori dal coro.
Usa e getta
“In sostanza, i brani musicali di oggi “usa e getta” non hanno certo problemi di esposizione avendo durate medie ormai sui 2’30”. Il problema è che due minuti e mezzo sono già troppi per brani che artisticamente hanno davvero poco di interessante.
Format con brani a 1′ e 30″
Spesso dopo un minuto e mezzo sono già “cotti”: sarebbe interessante provare un formato di hit con pezzi super-editati a 1′ 30″ massimo e rotazioni molto più strette.
I classici
Ha ragione la Cavallin: non solo i classici non si toccano, ma se “entri prima” potresti essere lapidato dal pubblico, che protesta vivamente (mi è capitato parecchie volte tra Pink Floyd e Stairway to heaven – 8′ 02″ di durata, ndr -, con diversi speaker, del tutto impreparati nel “cavalcare” con misura e competenza la musica).
L’esperimento di Fiorello
Però su Viva Rai2 (che era televisione ma con un impianto radiofonico) con Fiorello abbiamo fatto un bell’esperimento: ho composto dei “trittici” di canzoni con stessa ambientazione o dedicati a singolo artista e li ho editati tenendone solo “l’anima”.
Balla balla…
Certo, non era facile condensare in 40 secondi “Balla balla ballerino” o altri classici, ma la gioia di vedere il pubblico cantare o saltare per “incisi” così celebri ha caratterizzato fortemente lo show.
Per ogni formato c’è una soluzione
Insomma, per ogni formato c’è la soluzione. Ma rimango dell’idea che se il brano è bellissimo e dura anche un po’, non c’è limite alla durata…”, conclude Lolli.
Calcolo ex ante, non ex post
“Sono contento che NL parli della durata massima di un brano musicale: è un concetto che dovrebbe essere sempre al centro dell’attenzione durante la produzione, anzi la pre-produzione di un pezzo destinato ad essere inviato ai broadcaster ed in streaming“, spiega Tormy Van Cool, produttore musicale con esperienza in ambiente broadcasting.
Progettato (anche) per la radio
“Sono quasi dieci anni che con i miei artisti, ed ultimamente in Italia con Barbara Vagnini, quando si progetta una canzone la prima cosa che indico è la finestra di durata. Da un minimo di circa 2 minuti ed una manciata di secondi ad un massimo di 3 minuti.
Ritornello
Se si supera (di poco) questo limite, lo si fa in modo oculato, per esempio con un ritornello ripetuto più volte, dando la possibilità all’emittente di tagliarlo quando vuole, oppure di favorirne il disannuncio o la coda di sottofondo per lo speaker. Ciò ha il vantaggio di aiutare a “stampare in mente” la canzone.
Quid pluris
Oltre a ciò è importante che il pezzo dia già da subito qualcosa di intrigante per l’ascoltatore, dato che la permanenza all’ascolto è piuttosto breve. L’utente radiofonico riesce a recepirlo tutto perché interessato alla trasmissione o semplicemente ad ascoltare un po’ di musica.
I giovani
Invece i teenagers che lo ascoltano in streaming spesso non superano il minuto. Si tenga conto che il “teenageriato” consiste in una fetta enorme del mercato discografico: parliamo di oltre l’80%. Per cui se si riesce a dar loro l’impatto emotivo che li intrattiene oppure ne fa ricordare il pezzo già nella prima manciata di secondi, questo diventa un fattore chiave.
Ascolto di ritorno ed induzione
Perché senz’altro torneranno all’ascolto e/o lo faranno ascoltare ai loro coetanei. Se invece ci si dilunga in introduzione, strofe e si tarda nel raggiungimento del climax, il rischio di perdere l’interesse da parte di chi lo ascolta è altissimo.
Non siamo più negli anni 60 e 70, ma nemmeno 80
Non siamo più negli anni 60 e 70 e nemmeno negli 80: il comportamento della gente è profondamente cambiato. Oggi vuole tutto e subito, rapidamente quindi, non aspetta più. Tocca a noi “parlargli nello stesso linguaggio” per poter interagire in modo efficace con essa.
Partire col piede giusto
Sono tecniche di base di comunicazione che sono molto importanti. Non è detto che si vinca, ma sicuramente si parte col piede giusto”, chiosa Tormy Van Cool. (M.R. per NL)