Improvvisamente, un giorno, accendendo la radio, troviamo in onda solo reperti audio degli anni ‘70/’80: tutta la modulazione di frequenza, così come la conosciamo dagli ultimi anni, scompare e viene completamente sostituita, dagli 87.5 ai 108 MHz, da voci e musica d’epoca.
Chiunque di noi ha fantasticato almeno una volta che questo potesse realmente accadere? Che si facesse repentinamente un salto indietro di almeno 30 anni e tutto ritornasse cosi come era: gli speaker che parlano senza limiti di tempo, il disco frigge sotto la puntina, le canzoni spaziano da Guccini ai Sex Pistols?
Tutto questo è veramente accaduto anche se soltanto in un film, “Onde Road”, uscito nel 2015 e dedicato proprio all’epopea d’oro di un periodo rimasto nella memoria di tutti, film che vale la pena di vedere sia per la riproposizione di reperti storici (pur con i limiti fisiologici della difficile reperibilità di questo materiale) e anche per la partecipazione di Awana Gana (nel ruolo del terrorista che si impadronisce dell’etere) e di Federico L’olandese Volante (colui che è deputato a ripristinare il sistema), due autentiche leggende viventi a cui era doveroso dedicare un tributo.
L’ambientazione e il riferimento del regista si incentrano sulla Calabria che, pur scontando una situazione orografica proibitiva per la diffusione dei segnali e una condizione economica perennemente poco brillante, ha comunque partorito un numero incredibile di emittenti in quel periodo pari, se non superiore, a regioni di gran lunga più grandi e più vivaci da un punto di vista imprenditoriale, piccola nota a margine di un mondo che riserva sempre sorprese e curiosità.
Il film di Massimo Ivan Falsetta è, comunque, solo uno dei più recenti dedicati alla radio che, soprattutto in passato, ha avuto numerose pellicole dedicate che hanno portato sul grande schermo, ognuna a proprio modo, un mondo che ormai non esiste più da tempo.
E dato che, purtroppo, il lettore squid che permette di rivivere esperienze passate proprie e altrui attraverso i cinque sensi è anch’esso un’invenzione cinematografica di James Cameron in “Strange Days”, l’unico modo per rituffarsi in quel contesto per i più anziani (o per conoscerlo per i più giovani) rimane solo quello di riscoprire alcuni film cult dedicati all’argomento.
Se la bibliografia sull’argomento non è vastissima, soprattutto a livello italiano (paragonando anche l’enorme diversità di costi che esiste tra pubblicare un libro o produrre un film), la produzione sul grande schermo offre, invece, una notevole vastità di scelta che copre un arco temporale molto ampio che parte dagli anni ‘40 come in “Jacob il Bugiardo”, sino ad arrivare ai tempi più recenti.
“Natale a casa Dee Jay”, il primo film ad essere realizzato da un’emittente radiofonica (ovviamente con Linus come protagonista) e “On Air – Storia di un successo” dedicato a Marco Mazzoli rappresentano in ogni caso, ciascuno per il suo verso, uno spaccato su emittenti ancora in voga e seppur non si possano chiaramente considerare dei must have del genere, per fan e ascoltatori costituiscono in ogni caso un riferimento, anche se autoreferenziale.
Per par condicio giusto citare anche ”Immaturi” di Paolo Genovese (uscito nel 2011) che, pur non essendo un film dedicato alla radio, vede comunque uno dei protagonisti, Luca Bizzarri, interpretare il ruolo di un conduttore di RTL. A livello di aneddotica segnaliamo come nella serie televisiva andata in onda su Canale 5 lo stesso personaggio, “casualmente”, diventa una voce di Radio 105 a seguito dell’acquisto di quest’ultima da parte di Mediaset nell’ambito di Radiomediaset.
Tra l’altro, il programma di cui si vedono ampi spezzoni in entrambe le versioni, oltre a essere molto ben interpretato dall’attore genovese, è anche gradevole come idea. Il suo “Vorrei tornare” propone musica e brevi frammenti di avvenimenti del passato accompagnati dalle telefonate degli ascoltatori che raccontano quale momento della loro vita vorrebbero rivivere, corredato dalle motivazioni ed emozioni che lo caratterizzano, niente di particolarmente geniale o innovativo, ma sicuramente meglio di tante dirette di liste di saluti e dediche che, purtroppo, attualmente vanno in onda a rotazione continua quasi ovunque.
E’ proprio vero che molte cose vengono meglio al cinema che nella realtà e se di spunti il grande schermo ne ha forniti parecchi in quelli che sono, senza ombra di dubbio, cult del genere come per esempio il capolavoro di Oliver Stone “Talk Radio” che ha ispirato la famosa trasmissione di Michele Plastino “Voci nella notte” che per diversi anni “quasi” in tutta Italia ha catalizzato l’attenzione degli insonni con un programma che, sin dal titolo, rievocava chiaramente le atmosfere di quello di Barry Champlain, personaggio che ha ispirato molti speaker dell’epoca, di contro impossibile non farsi contagiare da quel mondo.
Molti speaker di quel periodo avrebbero (alcuni anche hanno) copiato volentieri lo slogan usato dal conduttore che soleva definirsi “l’uomo che vi piacerebbe amare”, con una presunzione e mania di protagonismo che, comunque, alla fine non gli portò granché bene.
E la radio di notte, film o realtà che sia, assume sempre un aspetto magico e costituisce un segno distintivo delle prime radio libere in cui quella fascia risultava ambitissima e, a dispetto di dati e statistiche di ascolto, anche molto seguita (probabilmente perché negli anni ‘70 non esistevano ancora rilevazioni e varie).
Nel drammatico “I guerrieri della notte” la radio fa da sfondo alla storia, ne descrive attimi cruciali e ne racconta gli accadimenti, la scelta del regista di inquadrare solo le labbra della dee jay è perfettamente in linea con quello che era la radio ai tempi, “immaginazione pura”. Siamo infatti nel 1979, escamotage comunque utilizzato anche per i primi periodi da Radio Freccia nella versione video, quando i volti apparivano oscurati, o comunque poco visibili, e per certi versi più idonei allo stile vintage su cui punta l’emittente di Suraci che, invece, di recente ha optato per una versione completamente diversa con lo speaker posizionato in piedi al centro di un grande studio.
E chissà che non fosse meglio la scelta di Walter Hill nel suo “Warriors”, ovvero lasciare tutto alla fantasia a maggior ragione se, pur volendo giustamente sfruttare le opportunità offerte dai molteplici device ,si voglia comunque rimanere fedeli a uno stile scelto come idea del progetto.
Tra l’altro non è sempre detto che chi possegga una buona arte oratoria venga poi altrettanto bene in video e, soprattutto se gli interventi parlati durano più dei canonici 20 secondi, pensare a quello che si deve dire, guardare la camera, assumere una gestualità sciolta. Può non essere facile e creare più problemi che soluzioni, a meno che non ti chiami Stefano Accorsi, di professione fai l’attore (e quindi stai recitando testi scritti da ottimi autori) e risulti sempre bello, bravo e dannato, pur trasmettendo da una location spoglia e grama come nell’opera d’arte di Luciano Ligabue che, nell’universo dei film di genere, occupa sicuramente una posizione di rilievo.
L’immagine del dee jay ne esce alla grande, anche e soprattutto, in “I Love Radio Rock”, ma è chiaro che trasmettere da una nave aiuta a rendere tutto più fantastico ed emozionante, ma purtroppo in questo caso difficile poter prendere spunti sia per la location per un’eventuale visual radio, che risulterebbe probabilmente troppo costosa e poco pratica e ancora meno come idea per bypassare l’attuale regolamentazione sull’emittenza radiofonica, in quanto i rischi sarebbe sicuramente più concreti e pesanti del naufragio tramutatosi in festa con cui si conclude il film.
Un discorso a parte meritano “I cento passi” di Marco Tullio Giordana e “Lavorare con lentezza” di Guido Chiesa in quanto non sono solo film che rappresentano la radio ma raccontano avvenimenti e atmosfere realmente accadute misteri in parte ancora irrisolti di una nazione in perenne guerra con se stessa.
Radio Aut e Radio Alice a cui i due film fanno riferimento incarnano un modello quasi definitivamente scomparso e in questo caso non sono soltanto le attrezzature, l’ambientazione, la libertà dei contenuti a essere scomparse, ma proprio un modo di gestire la comunicazione che è stato sotterrato dal “progresso”.
Sarebbero tante altre le opere cinematografiche da citare: “Radio Days”, “Good Morning, Vietnam”, “Non chiamarmi Omar”, ma vi rimandiamo volentieri, per un ulteriore approfondimento e per altri titoli segnalati, all’interessante libro della giornalista-speaker Silvia Venturi che nel suo “Radio Hollywood” in ben 159 pagine racconta in maniera esaustiva le performance del mezzo radiofonico sul grande schermo.
Nell’era moderna, oltre all’ormai consolidato appuntamento di Franco Lazzari e Simona Marazzi con “Radio Fenomeni” che ricostruisce settimanalmente con grande maestria frammenti del passato, la possibilità di riascoltare in diretta voci dell’epoca storica, corredate da reperti audio come jingle e sigle, rimane purtroppo legata esclusivamente a eventi sporadici e appuntamenti creati per beneficenza come nel caso recentissimo, in Piemonte, della reunion di Radio Valsesia a favore della Lega Tumori o in Sicilia, qualche anno fa, con FM Story che ha riportato al microfono per sette edizioni alcune delle voci più note degli anni ‘70/’80 per promuovere l’opera di alcune associazioni animaliste.
Nella speranza che ad ascoltare, guardare, studiare la radio non siano soltanto cultori, addetti ai lavori o irriducibili nostalgici, ma che, invece, la qualità di molte di queste storie servano per riavvicinare i giovani a un mondo da cui sembrano sempre più distanti. (U.F. per NL)