Intercettare un pubblico di riferimento e riuscire a comprenderne le esigenze, per le Radio sembra essere diventata una missione impossibile a cui, forse proprio per le difficoltà oggettive, molte hanno già rinunciato o probabilmente, invertendo i fattori, hanno decretato un ruolo assolutamente passivo degli ascoltatori, destinati a subire supinamente qualunque cosa gli venga propinata. Dimenticando troppo spesso che il bastone del comando è comunque nelle mani di questi ultimi.
In passato era più semplice individuare un pubblico preciso che, comunque, si poneva nei confronti delle emittenti con l’atteggiamento di chi fruiva di un mezzo propositivo grazie al quale poteva conoscere e apprezzare artisti e generi musicali altrimenti impossibili da scoprire.
Quel pubblico a cui il progresso non aveva ancora regalato le immense libertà della musica gratis e di milioni di informazioni catturabili dalla rete aveva i suoi riferimenti fissi, oltre che nelle radio, anche in alcune riviste musicali come Rockstar, Mucchio Selvaggio, Ciao 2001, Velvet, Rockerilla; alcune delle quali ancora presenti in edicola, altre, come la storica Musica e Dischi, sparite anche dal digitale dopo circa 70 anni di vita.
Giornali che, in un processo osmotico con la musica passata in radio, offrivano, ognuna nel suo genere, un quadro preciso e delineato degli artisti di quel periodo; le classifiche (quasi inconfutabili) e le recensioni (quasi sempre azzeccate) indirizzavano i lettori verso acquisti e ascolti di un certo genere.
E parallelamente, le radio parlavano lo stesso linguaggio scegliendo generi e pubblico con cui relazionarsi e interagire. Incredibilmente, nell’epoca della maggiore inevitabile improvvisazione degli inizi, tutto sembrava avere una forma più chiara e individuabile e strade più facili da percorrere.
Oggi l’utente che cerca musica nelle radio è sempre più intontito di informazioni nella mente e di file nel computer e spesso non si ritrova in molte delle emittenti che continuano ad insistere su un formato ”top 40” ormai superato, se non nella logica di radio di sottofondo o – nell’era della visual radio – di schermo acceso nei locali pubblici (prima o poi approfondiremo il paradosso della radio vista ma non ascoltata…), oggi che non vi è certo bisogno di carpire l’attimo fuggente per ascoltare la canzone del momento, oggi che chi ascolta, pur nell’era della profilazione, risulta essere sempre più un oggetto misterioso difficile da coinvolgere, oggi che chiunque grazie ai social è un’isola a sé stante, nello stesso momento ricevitore e trasmettitore di una marea di segnali e di informazioni.
In un momento in cui la competitività dei servizi di streaming on demand (SOD), come Spotify e Pandora, sta modificando radicalmente il rapporto nei confronti del medium tradizionale, le emittenti non sembrano riuscire a comprendere che musica scegliere.
Esempio ne è R101 che, nel giro di pochi mesi, prima ha eliminato la musica italiana dalle playlist e poi è tornata sui propri passi poco tempo dopo, probabilmente a seguito della percezione di malumori tra gli ascoltatori.
Di fatto è più semplice individuare i problemi che non trovare le giuste soluzioni, anche se l’unica strada più luminosa già intrapresa da alcuni è quella di indirizzarsi sulla produzione di contenuti svincolati dalla musica e indirizzati prevalentemente all’informazione come Radio 24 o, nell’ambito sportivo, con Radio Sportiva e il recente ingresso di RMC Sport.
Per gli altri, l’unica differenziazione possibile nel tentativo di sfuggire al format ”grandi successi” è quella percorsa dalle radio tematiche come Virgin Radio e Radio Freccia che puntano in ogni caso a riavvicinare ascoltatori che sembravano ormai lontani anni luce dal mezzo, anche se per restaurare lo spirito libero dell’epopea d’oro (ammesso che sia questo il reale obiettivo) non basta solo ribadirlo ripetutamente nel claim, essendo un target che passa da un percorso molto più lungo ed articolato.
Apprezzabile comunque che ci si stia rendendo conto piano piano che qualcosa bisogna pure inventarsi per riavvicinare i vecchi ascoltatori e magari catturarne di nuovi, che le critiche ad un certa omologazione vengono anche da dentro il sistema come da alcune dichiarazioni al fulmicotone di Federico l’olandese volante, o il biasimo per certe playlist espresso da chi dentro il sistema anni fa era tra i protagonisti come Sergio Caputo e Francesco Baccini.
Scetticismo riscontrabile anche nelle testimonianze di vecchi lupi del settore come Renzo Arbore e Red Ronnie e persino da chi, come Laura Pausini, sicuramente non può lamentarsi della visibilità concessa dai network, ma la scelta monotona di alcuni singoli da trasmettere e del rapporto radio/case discografiche, o quello che ne rimane, hanno generato in lei più di qualche rimbrotto.
Rimostranze che arrivano con foga e da più parti e che all’attuale stato dell’arte segnalano un indiscutibile stato di malessere e di confusione.
Quale musica suonare e in che percentuale è la sfida su cui si dipana gran parte del futuro di un mondo che rischia di accartocciarsi su se stesso, proprio nel momento in cui le possibilità di ascolto si moltiplicano grazie alla tecnologia ed alla multipiattaforma, ma la cui conseguente parcellizzazione dovuta agli stessi mezzi rischia di cancellare tutto il comparto delle medio-piccole che non riuscirà a caratterizzarsi in una qualche maniera e rischia altresì di confinare le grandi nell’isola felice dei numeri di ascolto e di una visibilità oggettiva, ma sempre più lontane da una reale affezione nel rapporto con i fruitori ultimi, cioè gli ascoltatori.
Di contro anche la recente scelta dell’emittente romana Radio Globo di puntare sul re dei social Gianluca Vacchi come dee jay per il programma mixato del pomeriggio sembra andare più nella direzione di privilegiare l’estetica e il far parlare di sé più che la sostanza. (U.F. per NL)