Radio. Quale è la sostenibilità di quasi 200 stazioni sul territorio milanese? Prepariamoci a rivedere il film della metà degli anni ’80

sostenibilità mercato radiofonico

Come prevedibile, ha registrato molto interesse tra i lettori di NL l’articolo di ieri che ha fotografato l’etere milanese, rilevando la presenza di ben 186 contenuti radiofonici digitali (DAB+) tra italiani e svizzeri (ricevibili tranquillamente nelle aree a nord della Lombardia e del Piemonte orientale).
Le considerazioni dei lettori, naturalmente, hanno riguardato la sostenibilità nel medio lungo termine, non solo di prodotti nativi digitali, ma anche di concessionari radiofonici di caratura provinciale (le piccole emittenti, per intenderci) al cospetto della crisi del mercato pubblicitario locale.

Sostenibilità del mercato

La summa delle domande poste è stata: già assediate dalle piattaforme di streaming on demand, che inevitabilmente hanno sottratto utenza soprattutto alle radio esclusivamente musicali e dai social media che hanno fagocitato gran parte del mercato pubblicitario ultra locale, quante delle stazioni DAB+ oggi ricevibili potranno esserlo ancora nell’arco di 5-6 anni?

Guardare al passato per ipotizzare il futuro

Per disegnare gli scenari, questa volta non guardiamo (solo) al futuro, ma anche al passato. Perché, in effetti, quello a cui stiamo assistendo trova un parallelismo non solo attingendo alle recenti esperienze del digitale terrestre (di cui ci siamo occupati nell’articolo di ieri), ma anche alla storia caratteristica del mercato radiofonico italiano dalla fine degli anni ’70 fino al 1989.

100 emittenti a dicembre ’75

“Se nel dicembre 1975, poco meno di un anno prima della sentenza “liberi tutti” della Corte Costituzionale (la n. 202/1976), le emittenti radiofoniche private italiane erano poco più di un centinaio, a febbraio del 1976 erano già diventate quasi 600, di cui una trentina solo a Milano.

2.000 a fine ’77

A giugno 1977 se ne contavano lungo la penisola 1.500, che sarebbero giunte a dicembre ad oltre 2.000“, spiega Massimo Lualdi, direttore di questo periodico ed autore di diversi libri sulla storia della radiofonia privata italiana (uno in particolare dedicato all’epopea delle radio del Movimento del ’77).

Quasi 9.000 radio nel 1988….

“Poco più di dieci anni dopo, le emittenti private (aggettivo che aveva in breve sostituito l’iniziale “libere”, in quanto definizione meramente politica) erano diventate tra 8.500 e 9.000. Un numero impressionante ed ovviamente insostenibile da parte del mercato.

Le forche caudine della Mammì

Il quale, gradualmente, iniziò un inevitabile assestamento, in parte indotto. Le prime forche caudine furono infatti rappresentate dal censimento previsto dall’art. 32 della L. 223/1990.

La prima legge organica

Cioè la prima legge organica sull’emittenza radiotelevisiva, comprensiva della disciplina sulla pubblicità, sui tetti antitrust e sugli incroci con l’editoria tradizionale. 

.. falciate della metà due anni dopo

Gli obblighi della Legge Mammì (dal suo promotore Oscar Mammì, ministro delle Poste e delle telecomunicazioni dal 1987 al 1991) spinsero circa la metà degli editori a rinunciare all’attività, cedendo gli impianti a soggetti più strutturati, oppure più semplicemente dismettendoli“, continua Lualdi.

Nel 2001 di nuovo la metà

“Dieci anni dopo, all’appuntamento con gli adempimenti della L. 66/2001 si presentò circa il 50% dei soggetti che avevano presentato domanda di concessione ai sensi della legge 223/1990.

I persi per strada

Della metà perduta una parte era costituita da soggetti rinunciatari della domanda, un’altra da quelli che si erano vista respinta la richiesta o – la più parte, invero – da coloro che avevano, nelle more, ceduto i propri diffusori FM ad altre emittenti.

1.500 prima del Covid

Il decennio successivo ha consegnato poi alla storia un altro migliaio di radio locali nell’ambito di un sistema normativo che aveva favorito il trading di impianti di radiodiffusione sonora, disegnando un quadro realistico di circa 1.500 stazioni in capo a poco meno di mille soggetti giuridici prima del Covid”, chiosa il nostro direttore.

L’assetto analogico

E, in effetti, parlando esclusivamente della radiodiffusione sonora analogica, secondo una ricognizione di Agcom condotta sul catasto nazionale frequenze (CNF) lo scorso anno, la radiofonia locale era costituita da 1.204 marchi (cioè emittenti) in capo a 838 operatori (soggetti editori).

Granularità e frammentarietà

Un sistema, quello locale, caratterizzato – secondo la rilevazione dell’Autorità – da una estesa granularità e frammentarietà.

Consistenza impiantistica

Il 40% delle reti radiofoniche locali FM è risultato, dalla ricognizione Agcom, di carattere prettamente locale (comunale o provinciale); una forbice tra il 50% ed il 55% sul totale ha carattere sub-regionale e solo tra il 5% ed il 10% dei casi si ha una dimensione coincidente con una o più regioni.

90% con meno di 14 impianti

D’altra parte, il 90% delle reti di impianti locali ha un numero di impianti inferiore a 14.

76% radio commerciali, 24% comunitarie

Lo spaccato per natura concessoria elaborato da Agcom vede il 76% delle emittenti in ambito locale avere carattere commerciale ed il 24% comunitario.

Il quadro commerciale 5 anni fa

Ciò, naturalmente, dal punto di vista generale. Sul piano commerciale, già cinque anni fa le emittenti radiofoniche realmente presenti sul mercato non erano più di 400, a seguito di un processo che aveva creato un sistema a quattro livelli.

I livelli dimensionali

Un quadro costituito da radio nazionali, superstation interregionali, radio regionali e radio provinciali.

Radio comunitarie polverizzate

Relativamente al comparto comunitario, la situazione era ben diversa: la quasi totalità delle emittenti di un lustro fa non era nemmeno in grado di illuminare il 50% della provincia di appartenenza.

L’elastico dell’obbligo del DAB sulle auto

Poi, subito dopo la pandemia, si è assistito all’esplosione del digitale radiofonico via etere, indotto dall’obbligo vigente dal 1° gennaio 2020 per tutte le radio e autoradio in vendita di avere in dotazione un sintonizzatore digitale che permetteva di ricevere, oltre all’IP, anche il segnale DAB+.

Le autorizzazioni sperimentali DAB+

Tale spinta, unita all’apertura dell’allora Ministero dello sviluppo economico a concedere titoli transitori per l’esercizio di impianti sperimentali ai consorzi di radio locali, ha condotto al rilascio di autorizzazioni per la fornitura di contenuti radiofonici in tecnica digitale.

Arrivano i nativi digitali

Non solo ai concessionari per la radiodiffusione sonora in tecnica analogica (per il simulcasting), ma anche ad un numero rilevante di nativi digitali.

FSMR come FSMA

Esattamente come era accaduto per i fornitori di servizi di media audiovisivi televisivi.

I moltiplicatori

“Quello che stiamo vedendo oggi è l’effetto moltiplicatore del digitale già visto col DTT. In quell’occasione l’esplosione dei marchi/palinsesti fu determinata dall’equivalenza 1 canale analogico = 1 mux digitale.

Mux provinciali di difficile realizzazione

Col DAB+ la moltiplicazione è indotta dalla sostanziale impossibilità di creare mux provinciali nella maggioranza dei territori.

La struttura SNF limita la frammentazione dei mux

Con l’effetto che un’emittente interessata a servire solo la provincia di Varese, ad attribuzione avvenuta dei diritti d’uso al consorzio d’appartenenza, dovrà comunque essere ospitata su un multiplexer almeno semiregionale, considerata la struttura Single Frequency Network delle reti“, interviene Massimo Rinaldi, ingegnere di Consultmedia, la più importante struttura italiana di competenze a più livelli in ambito radiotelevisivo.

Cosa accadrà quindi?

“A questo punto è inevitabile che, per almeno tre anni, assisteremo ad una forte volatilità nel mercato radiofonico locale delle principali aree demograficamente e commercialmente rilevanti.

Le simulazioni

Tuttavia, secondo le nostre simulazioni – l’Osservatorio Consultmedia alimenta costantemente i dati che consentono all’algoritmo di determinazione dei valori degli asset radiofonici di fotografare, con una certa attendibilità, le dinamiche economiche del settore attraverso il Metodo Consultmedia©, validato ed adottato dall’Agenzia delle entrate -, a mollare il colpo saranno soprattutto le piccole emittenti analogiche”, continua l’ingegnere.

agenzia delle entrate metodo consultmedia - Radio. Quale è la sostenibilità di quasi 200 stazioni sul territorio milanese? Prepariamoci a rivedere il film della metà degli anni '80

I radiofonici romantici…

“Certamente anche nell’ambito dei nativi vi saranno molte rinunce, soprattutto da parte di web radio che hanno deciso di investire sul DAB+ sull’onda dell’entusiasmo, senza un opportuno piano di impresa.

… e le imprese strutturate

Nondimeno già da un anno stiano assistendo ad avvicinamenti al medium da parte di imprese strutturate con progetti seri e munite di capacità di autosostentamento a medio termine.

Appeal confermato per la radiofonia

Segnale, questo, che dimostra che il mezzo radiofonico preserva appeal nell’ambito del paniere mediatico.

DAB come indicizzatore

Si tratta, nella stragrande parte dei casi, di progetti che desiderano impiegare il DAB+ come vettore di consolidamento di brand e contenuti in vista della progressiva affermazione della fruizione IP dal 2030 in poi, che gradualmente archivierà l’era FM.

Prominence

E lo faranno soprattutto confidando nell’approvazione, a livello UE, di una prominence dei servizi di media audiovisivi di interesse generale.

Gli interventi Agcom sul tema

Obiettivo che in Italia ha trovato una prima applicazione attraverso la delibera n. 149/22/CONS, del 19/05/2022 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, recante l’avvio del procedimento concernente la prominence dei servizi di media a/v e radiofonici di interesse generale e del sistema di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre, cui era seguita la delibera n. 14/23/CONS, del 25 /01/2023, recante “Consultazione pubblica in materia di prominence dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di interesse generale e di accessibilità del sistema di numerazione automatica dei canali della televisione digitale terrestre”, recentemente prorogata attraverso la delibera 118/24/CONS del 06/05/2024.

Gate

E’ infatti innegabile che sebbene quasi 200 stazioni DAB sintonizzabili a Milano siano un numero notevole – che esige regole di ingaggio sempre più chirurgiche per intercettare gli utenti che, viceversa, diminuiscono nella misura in cui sono spartiti con altre fonti audio (non necessariamente on demand, erogando le piattaforme OTT anche contenuti lineari) -, esso è comunque un limite più accettabile di quello dell’universo IP.

Semplificazione: 200 vs 100.000

Si tratta di un elenco estremamente selezionato rispetto al mare magnum del web che vede circa mezzo milione di flussi streaming lineari accessibili a vario titolo (il solo aggregatore TuneIn ne propone oltre centomila parlando solo di quelli radiofonici).

L’orizzonte degli eventi

Per concludere, la presenza in DAB+ è oggi essenziale – e lo sarà ancora per almeno una decina d’anni – per garantirsi non solo una finestra d’ingresso preferenziale nell’ambiente principale di fruizione del mezzo radiofonico, le quattro ruote, ma anche sui device connessi (smart speaker, smart tv, aggregatori, ecc.), attraverso l’appartenenza al nucleo ristretto dei servizi di media audiovisivi e radiofonici di interesse generale.

Un quadro realistico a tre anni

Ma se oggi a Milano ci sono 186 stazioni DAB+, quante ne rimarranno tra tre anni?
“Secondo le nostre proiezioni, la stabilizzazione sarà conseguita con un numero di emittenti digitali via etere (nazionali e locali) non superiore a 130-150 per i bacini più importanti (come Milano e Roma).

Sostenibilità condizionata

Probabilmente anche un livello sostenibile, se i modelli di business radiofonico muteranno, come, in effetti, stanno già facendoconclude Rinaldi . (E.G. per NL)

 

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