Si è tenuto venerdì 6 Ottobre a Milano “Radio Goes Digital”, un incontro dedicato al futuro della radio e si è parlato delle opportunità che il Digital Audio Advertising può offrire agli editori.
Visti i recenti dati del rapporto Censis e l’approccio di un marchio quale Amazon alla radio erroneamente chiamata “del futuro” (lo sosteniamo da qualche tempo che la radio è multipiattaforma e non ha senso nascondere la testa sotto la sabbia), questo nuovo modello di affari potrebbe essere una delle forme per abbandonare il vetusto “spot da 30 secondi” gettato a pioggia sul pubblico per abbracciare (finalmente!) la vecchia cara formula del “consigli per gli acquisti” in una dimensione più personalizzata.
Nulla di nuovo, sia ben chiaro, visto che negli Stati Uniti questo nuovo framework funziona (e benissimo) sul mercato. Si tratta, però, di comprenderlo e dedicargli più di qualche minuto per poterlo poi utilizzare per scopi editoriali.
Il debutto in Italia è stato presentato da Daniele Sesini, Direttore Generale e coordinatore del Tavolo Digital Audio di IAB Italia che ha presentato il primo documento ufficiale di norma pubblicitaria. In questo White Paper sono stabilite norme, parametri di funzionamento e soprattutto di misurazione del comparto.
I dati che arrivano da oltre oceano indicano il 2016 come l’anno di debutto di questa categoria con oltre 1.1 miliardi di dollari di investimenti. Parallelamente, oltre il 75% degli inserzionisti americani hanno dichiarato che nel corso del prossimo anno aumenteranno i loro investimenti nel comparto DAA (Digital Audio Advertising).
Detto questo, in pratica, qual è l’opportunità che è data agli editori?
Quella di usufruire del cosiddetto Real Time Bidding, in altre parole di un protocollo utilizzato per la compravendita in tempo reale di pubblicità visiva attraverso l’impiego di piattaforme tecnologiche automatizzate. Questo, mediante un meccanismo di asta aperta, permette agli inserzionisti di fare un’offerta specifica per ogni impression che di volta in volta si rende disponibile attraverso gli ad exchange.
Un esempio concreto soccorrerà al caso. Il server centrale è dotato di una banca dati che viene aggiornata in tempo reale in base ai desiderata degli inserzionisti. Ogni volta che i parametri sono riscontrati da un’offerta e dalle caratteristiche degli spazi forniti dagli editori, l’incrocio dei dati diventa “eccoti una pubblicità servita per il tuo spazio, perfettamente in linea con il tuo pubblico secondo il volere dello sponsor e alle richieste che ci hai inviato”. In un ecosistema digitale questo flusso comunicativo è in sostanza perfetto: da una parte un sistema super partes che si fa carico di proteggere e misurare i dati (al fine di evitare bot e garantire agli inserzionisti che il loro messaggio arrivi nel modo corretto e possano pagare quanto effettivamente “visto” e dalla parte della radio il fatto che si possa scegliere ad esempio quali condizioni siano rispettate per erogare il contenuto).
Insomma, l’opportunità è davvero legata al futuro e lo stato dell’arte dell’uso della comunicazione ha già dato segnali fortissimi.
Nel nostro Paese, però, ci sono alcuni “contro” e alcune perplessità nei confronti del Programmatic (questa, in terminologia tecnica è la forma di advertising di cui stiamo parlando).
Abbiamo immaginato il dialogo tra Editore e White Paper e pressappoco suona così:
Editore: “Ma chi gestisce questi dati?”;
White Paper: “Nelle nostre norme è evidenziato come i dati siano trattati da terzi, indipendenti e certificati al fine di garantire trasparenza nel processo.” (Ecco, ci risiamo, la stessa meccanica richiesta per l’ambito del copyright, solo che qui pare lo facciano davvero, nda);
Editore: “Ma io ho la possibilità di conoscere i dati di chi è colpito da questo advertising?”.
A questo il White Paper non risponde con precisione e rimanda al futuro quando questo tema “verrà affrontato secondo le nuove norme in materia di privacy applicabili a partire da Maggio 2018”, ma dal fondo della sala è un programmatore informatico che, a bassa voce, sostiene che “va da sé: qualsiasi sito/app internet ben costruita non ha alcun problema nel rivelare questo tipo di dato (e molti altri) al proprietario del sito stesso”.
È dunque il caso, per gli editori, di accantonare per qualche tempo i manuali dei processori audio e iniziare a familiarizzare con i concetti del mondo digitale, anche se in ritardo?
Il dubbio che rimane è quello classico: editori e mercato, in Italia, sono pronti a far parte di questo scenario o si stanno accontentando di essere comparse per quanto il panorama di cui si gode su un traliccio sia ancora in buono stato?
Un orizzonte che mette in primo piano il Programmatic, gli aggregatori (anche qui con diverse zone d’ombra quale ad esempio comprendere se è l’aggregatore che porta pubblico alla radio o il contrario o ancora possa esistere un equilibrio di partnership), i cruscotti delle auto multimediali può essere abitato da chi ha in garage, accanto ai vinili e ai cd raccolti in tanti anni di duro lavoro gli attrezzi giusti per poterlo affrontare da protagonisti. E li sa utilizzare correttamente.Non si tratta di fare la rivoluzione, ma semplicemente di non farsi sorpassare dalla realtà, diversa spesso da quella che vediamo dalla nostra finestra.
Una considerazione finale: sarebbe proprio brutto vedere che anche la radio, dopo la discografia e la stampa, non riesca a sincronizzarsi con la realtà dei tempi. (F.N. per NL)