Il report rilasciato da Edison Research sugli ascolti di radio tradizionale e podcasting (negli Stati Uniti) continua a suscitare commenti e reazioni dagli esperti del settore.
Tra questi, James Cridland, che si autodefinisce “futurologo della radio” e di mestiere fa il consulente per aziende radiofoniche e il conferenziere tematico, ha detto la sua sulla temuta eventualità che il podcasting possa rappresentare la pietra tombale delle trasmissioni della radio terrestre.
Cridland inizia la sua analisi da un dato che sembra confortante: gli ascolti degli americani sono costituiti ancora per il 58% dalla radio (AM, FM, sat, piattaforma, quest’ultima, che negli USA coincide di fatto con Sirius XM) e solo per il 4% dal podcasting. Lo stesso studio di Edison esalta la crescita dell’ascolto di contenuti Personal on Demand, che sarebbe duplicato negli ultimi quattro anni, ma è palese come la percentuale sia ancora sbilanciata verso la radio.
Secondo Cridland, gli ascoltatori del broadcasting e del podcasting seguirebbero pattern di comportamento molto diversi. Ascoltare la radio, infatti, sarebbe un’abitudine così radicata da diventare automatica: accenderla è un gesto che compiamo naturalmente ogni volta che saliamo in auto, proprio come premere la frizione all’avvio; senza contare che ancora diversi americani (anche se sempre meno, va detto per conseguenza della scomparsa dei ricevitori FM stand-alone) hanno una radio-sveglia sul proprio comodino.
L’ascolto del podcast, invece, sarebbe frutto di una scelta deliberata e, considerato che si tratta molto più frequentemente di contenuti parlati che di musica, l’ascoltatore vi dedicherebbe la sua completa attenzione. Cridland, inoltre, si discosta da chi sostiene che la diffusione dei podcast venga facilitata dagli smart speaker domestici (recentemente sbarcati in Italia), perché l’ascolto verrebbe preferito – dice l’esperto – in cuffia.
Sulla prevalenza del primo dei due comportamenti, i numeri parlano chiaro. Ma la radio tradizionale non può sentirsi del tutto al sicuro: Cridland sposta la lente di ingrandimento su un altro aspetto del report, quello che rivela come, tra le persone che ascoltano podcast, ben un terzo dichiara di averne ascoltato almeno uno nelle ultime 24 ore, mentre solo il 30% ha ascoltato anche la radio. In soldoni, l’ascolto di podcast potrebbe cannibalizzare quello della radio (ammettendo, beninteso, che entrambi vivano sotto lo stesso tetto, assunto tutto da dimostrare).
A detta dell’esperto, comunque, le radio non sarebbero così impreparate e starebbero attuando strategie sia di contenuto, sia fondate sull’advertising: i big player del broadcast infatti, avrebbe iniziato a collocare sul mercato in abbinamento spazi nelle trasmissioni via etere e nel Personal Option Digital Casting (di cui il termine podcasting è acronimo).
Dal punto di vista del contenuto, invece, sono diversi i broadcaster che producono podcast “spezzettando” le proprie trasmissioni on-air (ad esempio, UK’s Global che produce “best of podcast” della trasmissione Chris Moyles Show di Radio X), anche se questo, secondo Cridland, determinerebbe una sottovalutazione delle potenzialità dei programmi downloadabili.
In definitiva, Cridland ritiene che le compagnie radiofoniche siano ancora molto lontane dal percepire l’occasione che il podcasting costituisce per il mercato radiofonico. Le previsioni del “futurologo” sono quelle di contenuti non-broadcasting, cioè pensati e strutturati per il solo downloading, perché mirati proprio ad “acchiappare” quella fetta di consumatori che già si sta orientando per un comportamento di ascolto diverso da quello dell’ascoltatore tipico della radio. (V.D. per NL)