Logica e buon senso vorrebbero che un settore strategico e fondamentale in ambito sociale, economico, culturale e politico, qual è quello radiofonico, fosse sempre oggetto di attenta pianificazione, quantomeno nel suo fondamento tecnico.
In particolare, assunto che lo spettro radioelettrico (cioè la gamma delle frequenze adatte a veicolare le trasmissioni) è per sua natura numerus clausus, l’occupazione del medesimo dovrebbe, senza eccezione, essere subordinata ad una pianificazione preliminare, sia sotto il profilo della ripartizione delle frequenze che dell’assegnazione delle stesse.
In particolare, assunto che lo spettro radioelettrico (cioè la gamma delle frequenze adatte a veicolare le trasmissioni) è per sua natura numerus clausus, l’occupazione del medesimo dovrebbe, senza eccezione, essere subordinata ad una pianificazione preliminare, sia sotto il profilo della ripartizione delle frequenze che dell’assegnazione delle stesse.
Entrando nel merito dell’argomento in discussione, la porzione dello spettro radioelettrico d’interesse, la Modulazione di Frequenza (cd. “F.M.”) è, a livello europeo, generalmente occupata nel range da 87,6 MHz a 107,9 MHz (87.5-108).
All’interno di questa frazione dello spettro radioelettrico convivono un certo numero di stazioni radiofoniche, il cui numero varia a seconda di parametri, da una parte di carattere sociale, politico, economico e culturale (tesi, normalmente, a favorire esigenze di pluralismo in stretta correlazione con fattori territoriali, quali l’aspetto demografico, la rilevanza economica, le esigenze commerciali, ecc.), dall’altra di stampo tecnico, quali la spaziatura, l’ambito territoriale (dove cessa l’illuminazione – rectius il servizio con “campo minimo utile” – di un dato impianto, la relativa frequenza può essere riutilizzata da un altro impianto), il posizionamento geografico, ecc.
In funzione di ciò, nell’ambito del territorio entro il quale esercita la propria sovranità, uno Stato pianificherà sulla base del “Piano Nazionale di Ripartizione delle Radiofrequenze”, il quale – recependo indicazioni di stampo internazionale – stabilisce, in ambito nazionale, l’attribuzione ai diversi servizi delle bande di frequenza, specificando altresì le categorie di utilizzatori per ciascuna banda.
Più a fondo in questo argomento, va precisato come l’attribuzione delle frequenze dello spettro radioelettrico alle varie utilizzazioni rientri tra i compiti specifici dell’UIT (Unione Internationale Telecomunicazioni) – cui aderiscono quasi tutti i Paesi del mondo – e come i rapporti internazionali in materia siano disciplinati dalla Convenzione adottata a Nairobi il 6 novembre 1982 e dal Regolamento delle radiocomunicazioni adottato nella Conferenza amministrativa di Ginevra del 1979, in applicazione del quale è stato emanato il Piano Nazionale di Ripartizione delle Frequenze italiano.
Sulla base del P.N.R.F., il singolo Stato potrà procedere alla stesura del conseguente “Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze” (P.N.A.F.), cioè la normazione di utilizzo.
E’ ovvio che la determinazione del P.N.A.F. è strettamente congiunta alla definizione dell’intero sistema radiofonico (e televisivo), sia sotto un profilo politico (tendenzialmente sotto l’aspetto democratico, che si concreta nell’assicurazione dell’effettiva garanzia del valore fondamentale del pluralismo) che tecnico (gradazione qualitativa). A seconda che venga privilegiata la qualità (della ricezione) piuttosto che la quantità (il numero delle stazioni), si avrà un livello interferenziale tra le emissioni minore o superiore, quindi un minor numero di stazioni meglio ricevibili, oppure un maggior numero di stazioni soggette a fenomeni interferenziali più o meno rilevanti.
Il P.N.A.F. avrà cura, tra l’altro, di disciplinare l’occupazione dello spettro radioelettrico nelle aree di confine, in considerazione del necessario riutilizzo delle stesse frequenze nel territorio degli Stati limitrofi.
Per questo motivo, il coordinamento internazionale nell’impiego di trasmettitori/frequenze nelle aree estreme dei territori interni è indispensabile, soprattutto in quei casi in cui non vi siano caratteristiche naturali (es. ostruzioni orografiche) che agevolino il contenimento delle emissioni entro i bacini di pertinenza.
Nel caso italiano, assurdamente, l’assegnazione di frequenze radiofoniche (fatta esclusione per quelle RAI) non ha mai avuto luogo ed essa potrebbe essere resa effettiva solo dopo una serie di coordinamenti tecnici con altre Amministrazioni di telecomunicazioni dei Paesi confinanti, quali per esempio Francia, Svizzera e le nazioni opposte alla costa adriatica. Infatti la propagazione delle onde elettromagnetiche nello spazio non conosce confini territoriali e – come in precedenza anticipato – le stesse frequenze usate in Italia possono essere utilizzate nei Paesi vicini, in quanto il Regolamento delle Radiocomunicazioni attribuisce le stesse bande per tutti i Paesi della Regione 1 (Europa ed Africa) e risulta quindi basilare, per eliminare la possibilità di reciproche interferenze, ricorrere di volta in volta ad accordi con detti Paesi.
Una volta definito, da parte del P.N.A.F., il numero degli impianti installabili sul territorio, essi potranno essere oggetto di “assegnazione” attraverso gli istituti giuridici delle concessioni o delle autorizzazioni (nell’ambito di specie, nel nostro Paese il legislatore ha privilegiato il criterio concessorio, seppur, come detto, in assenza di una pianificazione preventiva).
Se il principio suesposto è quello normalmente adottato da ogni nazione UE (e tendenzialmente da ogni membro dell’UIT), l’Italia fa purtroppo eccezione.
Nel nostro Paese, invero, il rilascio delle concessioni non è stato preceduto dalla stesura di un Piano Nazionale di Assegnazione delle Frequenze, avendo l’occupazione delle frequenze anticipato il rilascio delle concessioni, determinando così:
• l’occupazione “selvaggia” della banda F.M., anche in aree critiche (di confine), senza nessun coordinamento a livello internazionale;
• una deregulation basata sull’adozione di impianti di diffusione con caratteristiche tali da determinare un debordo non naturale dei segnali radioelettrici oltre confine (generalmente come conseguenza dell’utilizzo di potenze di trasmissioni sempre più elevate per sovrastare/contrastare emissioni concorrenti/interferenti);
• la nascita di impianti F.M. addirittura dedicati al servizio internazionale (installati su alture prospicienti territori esteri, con la finalità di illuminare aree esterne a quelle nazionali, per particolari scopi, generalmente di natura commerciale);
• l’insorgenza (colposa) di pesanti interferenze con impianti stranieri.
Interessante pare evidenziare come la prima “giustificazione” istituzionale alla mancata attuazione del P.N.A.F. sia stata ufficializzata in una relazione predisposta dal Ministero P.T. su richiesta del Tribunale di Milano (con l’Ordinanza 474/85).
Tale relazione venne poi acquisita dalla Corte Costituzionale nei giudizi di legittimità costituzionale di alcuni articoli delle LL. 103/75, 693/75, 10/85,23 cui aveva dato impulso una progressione di ordinanze pretorili emesse nel 1982, 1985 e 1986 nell’ambito di procedimenti civili e penali che coinvolgevano le da poco sorte reti nazionali Canale 5, Rete 4 ed Italia 1 (in quanto operanti in ambito ultralocale).
In proposito, scrive la Consulta nella sentenza 826/88: “Il Ministero P.T. ha fatto presente di non aver potuto procedere all’elaborazione del Piano nazionale di assegnazione delle frequenze, in quanto nell’art. 2 l. n. 10 del 1985 non sono precisati i criteri da seguire al riguardo e la loro determinazione è stata a suo avviso rinviata alla legge generale. In mancanza del piano, “da considerare come termine di paragone”, non è stato neanche possibile valutare “in termini quantitativi” la “disponibilità di frequenze, intesa come numero di emittenti che potrebbero essere messe in funzione senza turbare l’assetto costituito”. Compito del pianificatore – precisa il Ministero – è in realtà quello di conseguire l’ottimale utilizzazione delle frequenze in termini di aree di servizio e di popolazione servita, e quindi la diffusione del maggior numero di programmi al maggior numero di utenti, peraltro tenendo conto dell’esigenza di consentire un’equilibrata gestione economica delle emittenti interessate. Per acquisire gli elementi necessari all’elaborazione del piano ed ottenere una ricognizione aggiornata dell’emittenza privata, il Ministero ha costituito il 20 ottobre 1984 due Commissioni di studio, che hanno peraltro riscontrato nei dati forniti in occasione del censimento numerose inesattezze ed errori: tale analisi non è stata quindi completata, e ciò è indispensabile per definire le linee direttive da seguire per l’elaborazione del piano”.
Sono passati 21 anni da quella sentenza e 19 dal censimento della legge 223/1990. Troppo poco, evidentemente.
fonte: M. Lualdi – “Aspetti giuridici delle interferenze in Modulazione di Frequenza tra Stati confinanti (Italia – Svizzera)" – Planet – Milano, 2004.