I conti radiofonici non tornano: secondo il TER la radio nel 2020 avrebbe perso solo il 3,3% degli ascolti; gli investimenti pubblicitari sono invece calati del 25%. Contro l’11.6% in meno della tv ed il -3,5% del web. Secondo gli editori radiofonici si tratterebbe di una disattenzione da parte dei pianificatori priva di motivazione. Ma è veramente così o la radice del problema è più profonda?
Il comunicato di FCP Assoradio
“Gli investimenti pubblicitari radiofonici del mese di dicembre, rilevati nell’ambito dell’Osservatorio Fcp Assoradio coordinato dalla società Reply, hanno registrato un – 13,7%. Il dato di chiusura dell’anno 2020 si attesta pertanto al – 25,0%”.
Default degli investimenti pubblicitari radiofonici spiegato in 4 fasi
Così una nota della FCP (Federazione Concessionarie Pubblicità) che spiega il default con un’analisi del 2020 in un grafico in 4 fasi.
La prima fase
“Il primo bimestre, che ha registrato risultati superiori a quelli storici (si ricorda peraltro che la radio stava vivendo un omento d’oro con aumenti costanti negli ultimi 5 anni)
La seconda fase
Il periodo marzo-giugno che ha maggiormente risentito dell’emergenza epidemiologica e dei provvedimenti restrittivi in termini di mobilità e chiusura/limitazione delle attività commerciali.
La terza fase
i mesi estivi (luglio-agosto) nei quali gli investimenti pubblicitari radiofonici si sono quasi allineati a quelli storici.
L’ultima fase
L’ultimo quadrimestre dell’anno, dove le iniziali aspettative di un possibile ritorno alla normalità sono state disattese, ma nonostante il difficile contesto di mercato i fatturati pubblicitari si sono mantenuti sensibilmente più sostenuti rispetto alla fase più critica dell’anno”.
Il miglioramento del secondo semestre non è stato sufficiente
Il secondo semestre dell’anno si chiude infatti con un fatturato pubblicitario pari al -12%, dato migliorativo rispetto al dato medio annuale ed in significativa ripresa rispetto al primo semestre. Ma certamente non sufficiente a colmare il gap accumulato. E, soprattutto, fortemente sbilanciato rispetto ad altri media.
Calo investimenti incoerente col calo dei dati d’ascolto
Secondo FCP, il calo degli investimenti pubblicitari non renderebbe giustizia ai dati di ascolto, che registrano una decrescita molto più contenuta (secondo i dati TER -3,3% sul 2019). Riscontri che, sempre secondo FCP, sarebbero particolarmente indicativi della fedeltà del pubblico radiofonico. Il quale avrebbe reagito positivamente al cambiamento del comportamento d’ascolto adottando nuove piattaforme digitali in luogo dell’autoradio forzatamente in garage.
Una spiegazione che però non ci convince.
Il sorpasso del web sulla tv
Il 2020 non è stato solo un anno tragico per la radio: per la prima volta il web ha superato la tv nella raccolta.
Secondo Nielsen nel periodo gennaio-novembre 2020 il 42% degli investimenti pubblicitari è stato assorbito dal web; il 41% dalla Tv; l’8% dalla carta stampata. Solo il 4% è stato indirizzato al mezzo radio.
Lo spaccato eterogeneo del 2020
Lo spaccato delle performance è però estremamente eterogeneo: tra gennaio-novembre la Tv ha raccolto l’11,6% in meno rispetto al 2019, mentre il web il -3,5%. E’ vero che sia la tv che il web col lockdown hanno aumentato gli utenti rispetto alla radio che invece (per quanto dichiaratamente in forma contenuta) ne ha perduti. Tuttavia, questo solo fatto non può spiegare l’abbandono di un medium ritenuto da sempre strategico da parte degli investitori.
E allora perché il -25% degli investimenti?
Secondo una scuola di pensiero una spiegazione potrebbe consistere nel fatto che nelle pianificazioni pubblicitarie multimediali (praticamente ormai tutte) la radio è considerata ancora sussidiaria; un complemento. Quindi, siccome non si possono bloccare completamente gli investimenti pubblicitari, si riduce la presenza sui mezzi “accessori”.
Non solo: la Radio, checché se ne dica, non è più un mezzo per giovani. La tv e il web invece sì
Di ciò occorre farsene una ragione, concentrando le (residue) forze sui target per cui la Radio è ancora importante. Esattamente come sta facendo la carta stampata e la televisione, che hanno focalizzato le risorse su segmenti promettenti, rinunciando a spremere la rapa. Diversamente operando, si disperdono le risorse a disposizione. Non così vaste.
La Radio punta ancora troppo sulla pubblicità sonora
Un’altra spiegazione potrebbe risiedere nel fatto che, nonostante le dichiarazioni di intenti a riguardo di ibridazione e presidio della multipiattaforma, la Radio indirizza ancora gran parte delle sue forze sugli spot sonori. I quali spiegano la massima parte della loro efficacia di un ambiente di fruizione totalmente assorbente, quale è l’automobile.
La comunicazione pubblicitaria radiofonica, una volta scesa dalle quattro ruote, perde gran parte della sua efficacia, divenendo di sottofondo, distratta. Soprattutto perché priva del principale strumento di cattura: le immagini, tipiche invece di tv e web.
Manca l’engagement
Infine, come autorevoli esponenti hanno osservato nel passato su queste pagine, alla radio italiana manca un engagement efficace. Che, al di fuori del confortevole abitacolo dell’autovettura, diventa ancora più importante. E complesso da conseguire. (M.L. per NL)