E’ assolutamente inutile che le emittenti investano denaro nello sviluppare app per l’ascolto in streaming delle proprie trasmissioni sui vari device con tecnologie eterogenee.
A parte la necessità di un continuo aggiornamento e i sempre maggiori vincoli per l’accesso agli store dei sistemi operativi (Apple in primis), va detto che è impensabile che un utente possa riempire il proprio dispositivo (smartphone soprattutto) di singole app per ciascuna delle emittenti ascoltate. Statistiche alla mano, infatti, l’utente tipo mediamente ascolta da 6 a 35 stazioni, ragion per cui è evidente che possa privilegiare l’installazione di una singola app che funga da aggregatore. Lato emittente, essere presenti su una piattaforma aggregatrice determina il vantaggio di non dover costantemente aggiornare la propria app in funzione delle modifiche dei sistemi operativi, con particolare riferimento a quelli variegati delle smart tv. Ma non è questo il solo vantaggio. Il Comitato Economico Sociale Europeo (CESE) ha da poco (Gazzetta Ufficiale della UE del 21/04/2017) espresso il proprio parere su due importanti documenti elaborati in sede comunitaria sul diritto d’autore: la «Proposta direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore nel mercato unico digitale» e la «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce norme relative all’esercizio del diritto d’autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici“, di cui abbiamo dato conto su queste pagine. E’ evidente che l’ascolto oltre confine di contenuti tutelati (come la musica), per i quali le stazioni hanno l’autorizzazione all’impiego (in termine di diritto d’autore e diritti connessi) solo nazionale espone in astratto le stesse alla presentazione di conti salati dagli enti collettori di diritti negli altri stati sovrani dove ha luogo la diffusione. La soluzione a tale problema, salva l’acquisizione di licenze sovranazionali (peraltro allo studio), non può che consistere nel geo-blocking, cioè una misura di protezione tecnologica attraverso la quale l’accesso ai contenuti Internet è limitato in base alla posizione geografica dell’utente. In uno schema di geo-blocco, la posizione dell’utente viene calcolata utilizzando tecniche di geolocalizzazione, ad esempio controllando l’indirizzo IP dell’utente o su una lista nera o in una lista bianca. Il risultato di questo controllo viene utilizzato per determinare se il sistema approverà o negherà l’accesso al contenuto. Il geo-blocking è comunemente utilizzato per limitare l’accesso ai contenuti multimediali premium su Internet, quali film e spettacoli televisivi, principalmente per motivi di copyright e licenze (ma anche per prevenire frodi e gioco d’azzardo online, dove le leggi di gioco variano in base alla regione). La gestione di un sistema protettivo di tale natura da parte della singola emittente è complicata e molto costosa, mentre collocata all’interno di un aggregatore evoluto (che lavorerebbe su di una economia di scala) sarebbe di norma gratuita. In tal senso stanno lavorando i principali aggregatori mondiali (come TuneIn – che intanto è partito anche in Italia in maniera consistente col digital advertising geolocalizzato, cfr. foto allegata – e MyTuner), ma soprattutto nazionali, come FM-World, che peraltro sta studiando a fondo l’aspetto comportamentale degli utenti che, prima facie, appare avere caratteristiche molto più simili alle abitudini televisive di quanto si potesse pensare. (M.L. per NL)