L’ultima edizione della ricerca TER, con i suoi dati in forte decrescita per molte reti nazionali, ha sollevato vivaci discussioni. Abbiamo letto molte ipotesi a riguardo delle motivazioni del calo dell’ascolto del medium radiofonico in generale. Sono stati pubblicati (anche da noi) commenti su network specifici e sui social sono stati espressi dubbi sulla sostanza di qualche super performer dell’area nativi digitali. Ma questi dati hanno ancora un qualche valore?
I dati
Partiamo dai dati, ben esposti nella tabella riassuntiva pubblicata da Marco Biondi (direttore di stazione di Giornale Radio, cioè uno dei nativi digitali) su Linkedin. In due anni (secondo la società TER, partecipata solo da editori radio) il medium radiofonico avrebbe perso il 4.6 % degli ascoltatori.
Traffico di ascolti
Saltano all’occhio due risultati particolarmente negativi: quello delle due emittenti che forniscono un riconosciuto servizio per la viabilità e sono facilmente sintonizzabili ovunque. Parliamo, naturalmente, di Isoradio per le autostrade e di RTL 102.5 (con la sua quasi isofrequenza e il suo importante marchio Viaradio) per la rete stradale in generale.
Il calo della mobilità su strada
Prima considerazione: la decrescita di ascolto si correla con quella del traffico?
Proviamo a verificare l’indice di mobilità rilevato da Anas (detto IMR). Prendendo ad esempio il mese di marzo 2021, troviamo questa affermazione: “E’ del +48% l’aumento dell’IMR del marzo scorso (2021) rispetto a quello dell’anno precedente (2020) che era stato del –55% rispetto al 2019”.
Un calo del 33,4%
Detto così non pare immediatamente decodificabile.
Facciamo dunque il conto: posto 100 il 2019, abbiamo avuto una diminuzione del 55% nel 2020; a questo dobbiamo applicare un aumento del 48% nel 2021.
Risultato: il traffico a marzo 2021 era il 66.6% di quello a marzo 2019, ovvero una diminuzione del 33.4%.
Giustificazione
Non pare dunque particolarmente strano che le due radio con il miglior segnale in mobilità abbiano risentito del calo più delle altre.
Effetto Spotify?
Quanto al dato generale (ascoltatori –4.6%) molti ipotizzano si tratti di una migrazione verso le piattaforme di streaming. Spotify in primis.
Negli ultimi due anni (2019-2020) l’aumento degli utenti Spotify in Europa è stato mediamente di oltre 5 milioni/quarter con un CMGR (compound monthly growth rate) del 5.6%.
Sostenibilità
Notiamo per inciso che questo dato positivo è stato ottenuto a fronte di un contemporaneo aumento delle perdite operative della società, il cui business model continua a apparire non sostenibile (e lo spostamento verso il segmento podcast non pare affatto abbia giovato alla causa, argomento su cui torneremo).
Situazione in Italia
Per quanto riguarda l’Italia, il Global Music Report 2020 dell’IFPI afferma: “In Italy, Europe’s fifth largest market and one of the countries most affected by the COVID-19 pandemic, there was double-digit growth in streaming (29.5%), as well as in both paid subscription (29.8%) and ad-supported (31.6%) formats”. Aumento medio del 30% sulla base dei circa 10 milioni di abbonati per Spotify: significa 3 milioni di persone che potrebbero aver preferito questo servizio alla Radio.
Tutto chiaro? Non proprio
Esposto in questi termini sembrerebbe tutto chiaro: alcuni utenti preferiscono Spotify, Youtube, ecc. alla radio, Eppure non siamo totalmente convinti.
Due servizi differenti
L’ascolto radiofonico – almeno per le reti elencate nella tabella iniziale – non fornisce certamente solo musica: propone piuttosto un mix di musica, intrattenimento parlato e informazione. Pare improbabile che un ascoltatore abituato a questo tipo di servizio, improvvisamente, si accontenti di sola musica algoritmicamente scelta.
Video didn’t kill the radio star
C’è poi un altro fenomeno storico acclarato: i nuovi tipi di contenuto/medium spesso si affiancano ai vecchi senza necessariamente ucciderli, nonostante la retorica comune tenda a far credere il contrario.
Qualche esempio: il cinema è sopravvissuto a decenni di TV; la TV non ha ucciso la radio; gli eBook non hanno strangolato i libri cartacei. E potremmo proseguire.
AND, not OR
Ci pare più probabile che chi ascoltava la radio possa oggi utilizzare anche Spotify per la musica, ma che poi torni al tradizionale medium per i notiziari, la cronaca di una partita o ascoltare una voce amica. E poiché questa statistica dei contatti giornalieri non include la durata dell’ascolto (si vedrà coi dati completi), questo non dovrebbe avere influenza sui numeri dell’indagine.
Bouquet nativi digitali
Per complicare la questione nel frattempo alcune emittenti analogiche hanno abbracciato la distribuzione 100% digitale senza timore. Alcuni tra i principali editori italiani hanno infatti lanciato bouquet composti da radio 100% digitali vere e proprie, ovvero non solo software di automazione ma anche speaker, palinsesti e playlist curate da umani.
Utenti invisibili al TER
E proprio sul punto dei nativi digitali, non si può soprassedere sull’assurda incapacità (rectius, volontà) di TER di rilevare il fenomeno. Questi bouquet utilizzano correttamente il brand principale anche per le radio digitali: esattamente come la BBC utilizza il forte marchio di BBC Radio 1 per BBC Radio 1Xtra. Ebbene, se TER operasse nel Regno Unito 1 Xtra non sarebbe censita, e eventuali ascoltatori di BBC Radio 1 che fossero migrati a 1Xtra sparirebbero dal radar, penalizzando erroneamente il broadcaster inglese.
No comment
Abbiamo provato a chiedere ad alcuni importanti editori (tra le TOP 5) se fossero disponibili a condividere con NL i numeri (facilmente ricavabili dagli streaming server) dei contatti tramite i canali IP, ma ci è stato fatto notare come, in mancanza di un ente certificatore indipendente, questi numeri non sarebbero comunque affidabili. E si presterebbero a critiche anche rilevanti.
Giornale Radio, 350.000 contatti. Really ?
Veniamo a Giornale Radio. Si è detto “esordio col botto”, con 350.000 contatti/giorno. Scontate le argomentazioni di chi contesta il dato: “Giornale Radio” è lo stesso nome dell’appuntamento storico con le notizie di Radio RAI.
Occhio al vero problema
Tuttavia il problema non è Giornale Radio, ma il metodo TER.
Acqua sporca e bambino
Se si assume che il secondo sia affidabile, si deve accettare il risultato della prima. Se si contesta il dato di Giornale Radio, si deve avere il coraggio di dire che la rilevazione TER non è attendibile. Tertium non datur.
Reality Check
D’altra parte, l’effetto ricordo + notorietà brand sulla rilevazione TER è da sempre oggetto di critiche. Prendiamo il caso di Radio 24 Il Sole 24 ore, Radio News 24 e la new entry Italia News 24. Abbiamo messo in tabella i dati relativi insieme a quelli di un’ipotetica Radio *24 (cioè Radio “qualunquecosa” + 24) data dalla somma di tutte le tre “Radio 24”.
I numeri parlano da soli: Radio *24 ha un numero di ascoltatori stabile e credibile. Ciò lasciarebbe ipotizzare che effettivamente l’indagine TER non sia in grado di distinguere tra la radio del gruppo Il Sole e le altre.
Lenti percettive a 24 diottrie
Tuttavia, analizzando i dati senza lenti percettive preconcette, si noterà che dopo che Radio News 24 è stata ridenominata Radio News (peraltro la questione è sub judice), Radio 24 ha progressivamente… perso ascolti! E ciò anche durante il periodo del Covid, cioè quando la richiesta di informazione aveva premiato qualsiasi medium somministratore di contenuti informativi.
Ma gli ascolti li ha persi anche Radio News (senza 24).
Chi aiuta chi
Come è possibile, quindi, che 2+2 faccia 3?
La verità è che l’utilizzo, per dirla con l’art 2, comma 2-bis D.L. n 15/1999, convertito nella L. 78/1999 (peraltro nelle scorse settimane oggetto di un emendamento poi ritirato), “di un marchio, una denominazione e una testata identificativi che richiamino in tutto o in parte quelli di una emittente nazionale“, non è affatto detto che danneggi, anziché potenziarlo, il brand nazionale. Beninteso, semmai il numero 24 possa essere considerato un segno distintivo; circostanza sulla quale qualsiasi esperto di tutela di marchi sarebbe disponibile a disquisire a lungo.
Il sistema TER
Imfatti, il “sistema TER” (o meglio, l’arcaico metodo CATI), basato quasi esclusivamente sul ricordo e sulla potenza del logo radiofonico, all’evidenza determina interazioni impossibili da tradurre in teoremi. Cosicché si potrebbe discutere all’infinito senza giungere ad una conclusione valida.
Chi risponde al telefono?
Ultima considerazione. L’analisi CATI è effettuata tramite chiamate telefoniche. Chi di noi risponde oggi a numeri sconosciuti? Non molti e ancora meno sono quelli disponibili a perdere 20 minuti del prezioso tempo della giornata a rispondere a domande su un argomento, diciamolo francamente, non considerato di essenziale importanza. Il che ci fa immaginare quanto sia difficile per chi gestisce la ricerca parlare con persone davvero parte del campione desiderato.
E a casa, dove sull’apparecchio fisso non si vede chi chiama?
Qualcuno ci ha fatto notare come “il fisso” sia ancora utilizzato quasi solo dalla popolazione più anziana, quella più legata ai classici canali radio e tv contraddistinti da numeri identificativi molto bassi (minori o uguali a tre, ad esempio). Con un probabile bias dei risultati di ascolto a favore di questi ultimi.
Abroad
Infine: chi chiama i circa 50 milioni di Italiani residenti all’estero (o almeno i 5 milioni di nuovi emigrati, quelli con grado elevato di scolarità e potere d’acquisto?).
Conclusioni
Concludiamo queste riflessioni con un’ipotesi, una costatazione ed un auspicio.
Ipotesi
L’ipotesi (peraltro non nuova, ma qui verificata coi numeri) è che il calo degli ascolti radiofonici sofferto da alcuni network sia dovuto in una parte non trascurabile al poco tempo passato in auto nei mesi della pandemia. Se non ci sarà una nuova ondata di chiusure e se l’abitudine al telelavoro non avrà cambiato troppo le cose potremmo ipotizzare un recupero nel prossimo semestre. Time will tell.
Constatazione
La constatazione è che quando si sceglie la denominazione di una nuova stazione nell’alveo dei nativi digitali sia buona norma scegliere bene il nome. Questo deve essere facile da ricordare, richiamabile da smart speaker, ma anche scevro da ambiguità, visto che allo stato attuale è impossibile provare – cifre alla mano – in che misura eventuali assonanze possano ingannare la rilevazione TER. Si tratta del famoso principio del nomen omen.
Rompere il ghiaccio
L’auspicio ovviamente è la rapida adozione di una metodologia di rilevazione inattaccabile quale Mediacell o sistemi analoghi. Nell’attesa le emittenti radiofoniche potrebbero promuovere un’operazione trasparenza, mettendo in chiaro le pagine dei server Icecast che riportano i numeri delle connessioni.
Quadro realistico: nativi digitali + autoctoni analogici
Integrando l’ascolto IP dei nativi digitali con quelli delle reti FM – rilevate da TER – si avrebbe una fotografia più realistica dell’ascolto radiofonico.
La Transizione Digitale
Si potrebbe fare senza paura, anche in caso i numeri risultassero deludenti per i motivi di cui abbiamo scritto. L’Italia ha in questo momento storico la fortuna di avere un ministro come Colao al dicastero per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale: non dubitiamo che – se correttamente sollecitato a fronte di un’eventuale penalizzazione del settore sullo streaming – potrà contribuire ad aiutare il comparto radiofonico in questa delicata transizione. (M.H.B. per NL)