Radio. Non c’è più la scala parlante sui ricevitori e quindi la loudness war per catturare l’utente in scansione non ha senso. Eppure…

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Loudness War (o Loudness Race): al tempo della scala parlante sull’apparato radio non era peregrina la volontà di suonare “più forte”. Alla presenza di una stazione con un livello superiore (ovviamente al di sotto della distorsione) la percezione era, infatti, di un segnale più potente, robusto. E quindi presente.
Ovviamente con l’evoluzione della ricezione radiofonica che ha eliminato la sintonia a scorrimento, la finalità strategica del volume superiore agli altri (e peraltro ai limiti di legge, se non oltre) ha perso di significato, in quanto le emittenti non sono intercettate, ma selezionate premendo il tasto, con una interruzione di continuità.
Semmai, sono altri gli strumenti di engagement nella fase attuale della radiofonia digitale: denominazioni evocative del contenuto (nomen omen), brand noti, loghi suggestivi, ecc.
Eppure la tendenza a suonare più forte sopravvive ancora. E non solo in Italia.
Perché?

Le premesse musicali

Nei primi anni 2000, l’industria discografica ha affrontato una problematica diffusa legata alla compressione eccessiva dei brani musicali, necessaria per competere nel mercato radiofonico e discografico.
Una pratica che ha avuto effetti negativi sul suono, sia tecnicamente che artisticamente: il problema principale era l’aumento della percezione del volume, ottenuto riducendo la dinamica musicale, abbassando i picchi e alzando le parti a volume più basso, fino al limite di -0,1 dBFS (Decibels relative to full scale), appena sotto la distorsione digitale.

Loudness War discografica

Da qui ha avuto origine, in ambito discografico, la cosiddetta Loudness War, che ha diviso musicisti, produttori e tecnici, sull’uso di livelli sonori estremi.
Il problema si è esteso poi anche all’audio televisivo e cinematografico, per garantire uniformità nel volume tra programmi e pubblicità.
L’importanza della questione ha indotto, nel 2011, l’Agcom ad intervenire attraverso una task force per far rispettare norme ITU ed EBU per regolare il volume sonoro.

Loudness War radiofonica

Un problema che ora si sta riproponendo in ambito digitale radiofonico, con una sorta di sopravvivenza della tendenza già ampiamente consolidata in epoca analogica. Anzi, a volerla dire tutta, possiamo sostenere come sia stata proprio l’industria radiofonica ad avviare la Loudness War.

L’ITU BS-412

Iniziamo osservando che il desiderio di avere una percezione del volume più alto giunge anche da territori sottoposti alla raccomandazione ITU BS-412 (Planning standards for terrestrial FM sound broadcasting at VHF), che dovrebbe impedire il superamento di determinate soglie.

Sempre più in alto!

Oggettivamente, il “pompaggio sonoro” (nei limiti della deviazione a +/-75 KHz) non era illogico in ambito FM, quando sui ricevitori radio vi era una scala graduata, solitamente visibile sul frontalino dell’apparecchio, che indicava le frequenze delle stazioni radio ricevibili su cui si muoveva una lancetta che si spostava quando si regolava la manopola di sintonia.

Come ti catturo l’utente suggestionandolo!

E ciò perché il volume superiore consentiva di catturare l’attenzione dell’utente durante  la scansione alla presenza di una stazione con un livello superiore (ovviamente al di sotto della distorsione). Non essendoci una interruzione della somministrazione sonora (una soluzione di continuità, quindi), la percezione del radioascoltatore era, infatti, quella di un segnale più forte, robusto e quindi presente.

Selezionare e non più intercettare

Ovviamente con l’evoluzione della ricezione radiofonica che ha eliminato la scala parlante, la finalità strategica del volume superiore ha perso di significato, in quanto le emittenti non sono intercettate, ma selezionate premendo il nome dell’emittente. Vi è quindi una interruzione nella somministrazione audio nel passaggio dall’una all’altra stazione. Una frazione di tempo che, ancorché ridottissima, è percepita dalle orecchie ad un livello sufficiente da vanificare la finalità originario dell’escamotage. 

Altri metodi di engagement

D’altra parte, sono altri gli strumenti di engagement nella fase attuale della radiofonia digitale: come denominazioni evocative del contenuto (denominazioni nomen omen), brand noti, loghi suggestivi, ecc. Eppure la tendenza a suonare più forte sopravvive e non solo in Italia.

6 dBr: quando mai?

“Anche in altre nazioni si parte con richiesta di un buon suono e – quando lo si fa stando intorno a 6 dBr – iniziano a fare confronti con i competitors e a dirti: “Ma loro suonano più potenti e pieni; noi siamo piccoli e li devi portare anche loro ad 8”, commentava su queste pagine qualche mese fa Max Pandini, sound designer esclusivo per l’emisfero est mondiale (tutto il mondo tranne l’America) per Telos, azienda leader globale nel campo broadcast.

Loudness War insita nella natura dei direttori dei programmi

Sul Dab, dove non impongono i -14, gli editori vogliono stare ad almeno -9. La prima cosa che ti chiedono è “suonare bene e alto”, in qualsiasi nazione e latitudine. Dall’America alla Cina, è lo stesso; che ci vogliamo fare? È insito nella natura del direttore dei programmi”, spiegava Pandini.

Il suono è emozione

“Inutile fare la guerra tra ingegneri puristi della tecnica e direttori contenuti: il suono è anche emozione, oltre che tecnica. E lo è per molte più persone di quelle che si pensa. E non per forza addetti ai lavori.

Conciliare le esigenze

L’obiettivo è di suonare “potenti” come chiedono loro – che alla fine dirigono una radio – ma con un suono pulito e privo di distorsioni.

Processori obsoleti

Ed è qui che i processori di vecchio stampo non ce la fanno, mentre con quelli di nuova generazione puoi suonare ben definito e potente (o meno potente a seconda di come desiderato)”, sottolineava il sound designer.

Il colore dell’audio

Sul concetto di colorazione del suono Pandini ricorda che la radio – anche per sua natura tecnica – non è uno studio di registrazione e nemmeno un concerto live, sicché è d’obbligo creare la propria “impronta sonora sia in accordo con il proprio format che per il fatto che il suono è parte del viaggio emozionale e del prodotto che la stazione offre ai suoi ascoltatori.

Niente di nuovo

Questa non è un’invenzione di oggi: già se ne discuteva negli anni 70-80 in USA, progettando i formati delle stazioni e il loro relativo suono.

Formati

Del resto una stazione rock non può suonare come una stazione soft. Un suono per target adulto non può essere come quello di una fascia giovane, sia per caratteristiche dell’orecchio umano che per esigenze di carattere emozionale.

Distorsione piacevole…

Esiste una distorsione che l’orecchio cerca con piacere e una distorsione invece che l’udito rifiuta. La radio è distorsione se intendiamo con questo termine la variazione del suono originale. Lo è per sua natura tecnica ma lo deve anche necessariamente essere per esigenze artistiche ed editoriali.

… e rifiutata

Spesso si confonde la parola distorsione con altro che chiamerei in altri modi: saturazione, clipping. Queste forme sono la distorsione che vogliamo evitare.

Ascolto con le orecchie, non con l’analizzatore di spettro

Il suono per la gente comune è emozione prima che tecnica da addetti di lavori. Il pubblico sente con le orecchie il basso potente o la definizione, non con l’ausilio di strumenti e astruse teorie.

Tecniche di ingaggio

Del resto il suono è essenzialmente coinvolgimento per l’utente, mentre è, spesso, una peripezia e astratta teoria per gli addetti ai lavori“, concludeva Pandini.

LUFS: l’unità di misura per il volume audio

Ma quanto è sentimento e quanto tecnica?
Che non si tratti di concetti astratti, lo si rileva dalla codificazione della questione sul piano tecnico-giuridico con un termine: LUFS, acronimo di Loudness Units relative to Full Scale, misura standardizzata del volume audio che integra la percezione umana e l’intensità del segnale elettrico.

Il metro della Loudness War

Questa unità è utilizzata per stabilire gli obiettivi di normalizzazione dell’audio nei sistemi di trasmissione per streaming, cinema, TV, radio e musica.

Come si misura il volume audio?

I LUFS rappresentano il metodo più recente e preciso per misurare il volume audio.

Perché utilizziamo i LUFS?

La maggior parte dell’audio che si ascolta quotidianamente è prodotto per suonare tendenzialmente al meglio nell’ambiente specifico in cui viene riprodotto. Film, TV, radio e servizi di streaming utilizzano un processo audio disegnato per funzionare su ogni piattaforma, cedendo così – inevitabilmente – ad una serie di compromessi.

Standard audio

Per raggiungere questo obiettivo, sono stati pertanto stabiliti standard audio specifici per ogni mezzo. I LUFS sono uno degli strumenti più recenti sviluppati da ingegneri e ricercatori per facilitare queste decisioni. Integrando il volume dei segnali audio e la percezione umana su un’unica scala, essi fungono da unità per misurare il volume audio.

Volume nella produzione musicale

E qui nasce il problema: il volume è uno dei maggiori ostacoli per ottenere un suono coerente su diversi mezzi di riproduzione.

Figure specialistiche e processori di nuova generazione per uniformare il volume su apparati eterogenei

Anche se potrebbe sembrare semplice, in realtà uniformare il volume su vari sistemi di riproduzione è complicato al punto che sono nate figure altamente specializzate e processori audio sempre più evoluti per riuscire a dare il meglio su sistemi ad alte prestazioni come quelli del car-entertainment, dei tv con Dolby Surround, ma anche con gli auricolari/cuffiette dello smartphone, dalle casse del pc o dall’altoparlante dello smart speaker.

Percezione

D’altra parte, il livello in dB sui fader della traccia come indicativi del volume è solo uno degli aspetti del problema: si tratta di una proprietà dei segnali che non si traduce direttamente nella percezione del volume da parte dell’orecchio umano.

Come utilizzare i LUFS

La misurazione dell’audio con i LUFS è diversa dalle altre misure di volume, perché non esamina il singolo componente, ma il complesso.

L’esempio del film

Prendiamo la colonna sonora di un film, con scene rumorose e altre silenziose. Per giudicare il volume complessivo del mix, bisogna considerare l’intera durata, chiamata volume integrato, misurato in LUFS. Film e TV hanno standard rigorosi per il volume integrato espresso in tale unità di misura.

Gamma dinamica

Le dinamiche sono cruciali in qualsiasi audio registrato ed i LUFS aiutano a determinare la differenza tra il volume alto e basso nel tempo, fornendo una misura corretta della gamma dinamica.

LUFS a breve termine (3 secondi)

Mentre i LUFS integrati forniscono informazioni sull’intero file audio, quelli a breve termine offrono una misura del volume percepito negli ultimi tre secondi di audio.

LUFS momentaneo (400 ms) 

Il LUFS momentaneo è la misurazione LUFS di periodo più breve, valutando il volume negli ultimi 400 ms di audio. È simile alla misurazione del picco elettrico, ma basata sulla percezione del volume.

Importanza dei LUFS

Durante la guerra del volume nell’industria musicale, si pensava che registrazioni più forti fossero preferite dagli ascoltatori. Tuttavia, con l’avvento delle piattaforme di streaming come Spotify e Apple Music, l’enfasi si è spostata a misurare il volume percepito.

Richiesta non peregrina

Nonostante l’avvento del digitale e la perdita della necessità di competere sul volume come accadeva con le vecchie radio analogiche, la Loudness War continua anche nelle trasmissioni radiofoniche DAB e in streaming essenzialmente per una ragione di impatto emotivo.

Sensazione di potenza e presenza

Il suono è la componente chiave dell’esperienza d’ascolto, ed un volume più alto, se ben gestito, trasmette una sensazione di maggiore potenza e presenza. Questo aiuta a catturare e mantenere l’attenzione, soprattutto in ambienti dove la radio è spesso in sottofondo, come in auto o luoghi pubblici.

Connessione emotiva

Inoltre, un suono più robusto e “pieno” può creare una connessione emotiva più forte con l’ascoltatore, migliorando il ricordo del brand radiofonico (l’identità sonora). Anche se tecnicamente non necessario, questa strategia di engagement, unita a processori di nuova generazione, risponde alle aspettative di un pubblico che, quand’anche erroneamente, associa il volume alla qualità e al coinvolgimento emotivo.  (M.R. per NL)

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