DAB+ o (DAB) Ip? Su questa domanda, dall’apparenza semplice ma che nasconde in realtà una questione molto complessa, si giocherà il futuro della radio, in termini distributivi (diverso è il fronte contenuti) tutto incentrato sulla scelta dello standard fra radio digitale e web radio che condurrà al tramonto (tra 10/15 anni) dell’FM.
Il DAB+ è nato nel 2006, come ulteriore affinamento di una tecnologia già esistente da metà anni ’80; nonostante le diverse sperimentazioni e le prospettive di una qualità migliore rispetto alle trasmissioni FM, non ha mai avuto la "fortuna" spettata alla versione televisiva del digitale terrestre. Le motivazioni sono state principalmente l’assenza di uno switch-off coattivo e netto come avvenuto per la tv ma, soprattutto, l’assenza di un numero sufficiente di frequenze per creare mux capienti anche solo per ospitare l’esistente in FM (senza quindi parlare di nuovi prodotti o nuovi fornitori di contenuti, come invece ha avuto luogo per la televisione) e i costi che il passaggio di tecnologia comporta e che possono essere assorbiti solo da operatori dotati di notevole consistenza finanziaria annichilendo il comparto prettamente locale. E così, il risultato è che ancora oggi la trasmissione in FM rimane lo standard dominante, nonostante il DAB+ sia argomento largamente dibattuto sia fra le varie sperimentazioni attive nel settore che a livello regolamentare (questo nonostante sia ormai oggettivamente una tecnologia superata). All’attuale situazione della radio digitale, che già sembra un disastro annunciato così com’è, si aggiunge anche la minaccia serissima rappresentata (per il DAB-T, beninteso) dalla IP radio. Se prima, infatti, la trasmissione via internet era solo una prospettiva che presentava tante problematiche, adesso la minaccia si fa sempre più reale visto che la connessione, grazie al così detto internet delle cose, raggiungerà anche il luogo di fruzione che maggiormente porta ascolti radiofonici: l’automobile (che pesa per l’80%). Il mondo del web è fino ad ora rimasto pressoché fuori dalle autovetture, permettendo così ad FM e (ancorché con valori percentuali pressoché insignificanti) DAB+ di essere gli unici standard possibili per ricezione delle trasmissioni radiofoniche nel veicolo. Come però stiamo scrivendo da tempo, le cose stanno cambiando molto velocemente: entro fine marzo 2018, tutte le autovetture di nuova immatricolazione dovranno contenere una sim card dedicata, allo scopo di effettuare una e-call, ovvero una chiamata di emergenza in caso di incidente. Ma se quella sim potesse trasportare anche il traffico dati? Secondo uno studio condotto da Accenture lo scorso anno, su 88 mln di veicoli venduti, solo 16 mln erano direttamente connessi in rete, 6 lo erano indirettamente e altri 9 attraverso smartphone; il totale attestava quindi che era il 35% delle auto vendute ad essere collegata in rete. Tuttavia, per il 2020, Accenture prevede che questa percentuale raggiunga il 98%, arrivando alla totalità dei veicoli nei cinque anni successivi e, per gli scettici, basta guardare il modo in cui internet si sia intrufolato in qualsiasi prodotto esistente. Prima è stata la volta delle console e dei videogame, che hanno abbandonato le copie fisiche in favore di download e versioni digitali; poi sono arrivati gli smartphone, che con l’innovazione portata nella telefonia mobile hanno persino seppellito compagnie storiche come la Nokia, ridisegnando completamente il settore, ora dominato da Apple e Google, player del tutto nuovi. E lo stesso discorso potrebbe farsi sui portatili: notizia recente è che le vendite dei Chromebook, i portatili super economici e interamente funzionanti con app e cloud di Google, hanno superato per la prima volta nelle vendite i Macbook. Se questo non dovesse bastare, allora non rimane che constatare come gli stessi operatori dell’automobile abbiano fiutato il pericolo, iniziando sempre di più a tentare di rendere i loro prodotti smart; esempio calzante è l’accordo fra Google ed FCA, per produrre smart car che saranno addirittura in grado di guidarsi da sole. Un modello che, oltretutto, rappresenta la possibilità che chi oggi produce auto possa limitarsi alla mera creazione hardware, lasciando il lato smart a chi in quel campo ci sa fare davvero e quindi dividendo la produzione in due, come del resto già avviene per smartphone e pc. Con l’evoluzione dell’automobile, la capillarizzazione della diffusione a 4 e 5G e gli strumenti di buffering per evitare la caduta di connettività in movimento, quella della radio diventerà quasi scontata e naturale: la web radio non ha i costi di avvio del DAB+ (e con le imminenti tariffe flat nemmeno l’utente avrà costi aggiuntivi per il consumo di banda), consente di misurare con estrema precisione gli ascolti (senza fare nemmeno una telefonata) e inoltre elimina le barriere territoriali di diffusione. Nascono a questo punto due problematiche: se, com’è quasi certo, la radio Ip sarà il futuro del mezzo, le definizioni che la normativa di settore ha sviluppato per emittenza locale o nazionale o i bacini di utenza perderanno di significato; tutti saranno diffusi in tutto il mondo (salvo limitazioni coattive di singoli paesi) perché dopotutto, la cosa bella di internet, è proprio la sua capacità di arrivare ovunque e che, in questo caso, richiederà al legislatore di ridefinire la normativa di settore, una ridefinizione che sarebbe bene iniziare ora, quando ancora non è nato un problema, piuttosto che aspettare e poi, dopo il solito circo anarchico, essere costretti a prendere atto di situazioni già consolidate. In seconda battuta, c’è una problematica non indifferente: come trovo una radio che viaggia sul web? Oggi sintonizziamo i nostri apparecchi FM trovando la frequenza giusta o al limite assegnando il compito al Radio Data System (RDS). Ma le radio Ip hanno un indirizzo univoco per lo streaming poco agile da digitare interamente; inoltre, un sistema di identificazione di tipo numerico (LCN) sicuramente non funzionerebbe, dato che i bassi costi porterebbero senza dubbio ad una mole di emittenti nell’ordine delle migliaia, non categorizzabili con il logical channel numbering a fronte di una tendenza dell’ascoltatore a selezionarne non più di una quindicina (nelle migliori delle ipotesi). L’unica alternativa che rimane è quella già nota al web e ai primi apparecchi che utilizzano questo tipo di standard radiofonico: aggregatori di ricerca. Immaginate di avere, oltre a Google Search per ricerche generiche, Google News per cercare notizie o Google Images per cercare immagini, Google Radio, per cercare le emittenti radiofoniche (con privilegio di collocazione a pagamento, ovviamente); e il nome Google non è scelto a caso: parliamo di quella stessa Google che, come detto sopra, ha un accordo per inserire il suo sistema operativo nelle future smart car di FCA. Anche qui, sarebbe il caso di attivarsi in tal senso invece di aspettare di essere travolti dal treno di Mountain View; anche perché, ormai l’esperienza del web ce lo ha insegnato, i motori di ricerca significano in sostanza avere il potere di controllare chi ha più visite, chi è più popolare e cosa, soprattutto, è davvero importante. Oggi Google ha praticamente il monopolio delle nostre ricerche online, ma le radio Ip ancora sono un terreno tutto da esplorare. (E.V. per NL)