Mondadori starebbe pensando di disfarsi della propria extension radiofonica che, nonostante il trascorso del primo lustro di consolidamento non starebbe dando agli azionisti le soddisfazioni economiche che l’investimento effettuato aveva fatto sperare.
Almeno questo è quello che da qualche settimana si sente raccontare, anche ad alta voce, non solo negli ambienti radiotelevisi, ma anche in quelli economico-finanziari. Può darsi che non ci sia nulla di vero, che siano bufale; ma potrebbe anche essere che Marina Berlusconi stia riflettendo se sia il caso di continuare su una strada che da subito era apparsi disallineata dalla regola fondamentale che si era dato l’illustre padre nella sua attività imprenditoriale tv: per sfondare a livello commerciale ed editoriale, in Italia, occorre avere 3 reti. E Monradio di reti ne ha una sola, anche se nel cassetto c’è ancora il titolo concessorio di GBR (relay VOA Voice of America), che nell’intento del fondatore di Radio 101, Angelo Borra, doveva fungere nel 2003 da vettore della stazione internazionale Rock FM Europe (probabilmente un progetto molto simile a quello poi attuato da Alberto Hazan con Virgin Radio). Comunque sia, alle voci che stanno girando su Monradio ha dedicato attenzione con un post articolato sul sito www.astorri.it Claudio Astorri, che del progetto R 101 è stato uno degli artefici, in qualità di advisor di spicco. "La notizia è stata diffusa da alcuni organi di informazione economica non sempre attendibili e tuttavia ha cominciato a circolare in modo insistente e al momento non è stata smentita: Mondadori avrebbe aperto il dossier “Monradio”, nel senso che avrebbe cominciato a considerare l’uscita della sua controllata dal settore radiofonico dopo le ripetute perdite accumulate in 5 anni", evidenzia il consulente editoriale. "Non so se credere alla prospettiva indicata dalla notizia, in quanto potrebbe essere stata anche confezionata e comunicata per giustificare i tagli e i recenti licenziamenti, in particolare della struttura commerciale. Curiosa contemporaneità. Strumentale o no, l’apertura del “dossier” avrebbe certamente molte ragioni soprattutto in base ai risultati, e non ci si riferisce tanto o soltanto a quelli della radio nazionale “R 101”. "Il dossier “Monradio” è stato da me invece chiuso. Il 31/1/2011 ho concluso il quarto anno (tre consecutivi, due di pausa, nuovamente uno) di consulenza editoriale. Persone piacevoli, veramente piacevoli, mezzi importanti ma… movimento dell’elefante, peraltro incerto, molto da carta stampata. La radio soffre in mezzo alla carta", chiosa Astorri. "L’esperienza lenta e alquanto inadeguata di Mondadori nella radio comincia comunque molto prima della creazione della “Monradio” srl. Cinque anni prima, nel 2000, il gruppo si occupa di RDS Radio Dimensione Suono. Sigla un pre-accordo e avvia una due-diligence". Poi però non se ne fa nulla. E secondo Astorri questa è una vera fortuna per Montefusco, editore di RDS. Per lui "è l’inizio del miglior decennio possibile". "Costretto a prendere atto della decisione, si scatena nello sviluppo dell’azienda creando valore immenso sulla sua radio nazionale, rilanciandola editorialmente, poi tecnicamente ma anche infine commercialmente attraverso una propria concessionaria di pubblicità". Peccato per Mondadori: se avesse comprato RDS nel 2000, anche solo in parte, oggi il “dossier” sarebbe quello di un gruppo da almeno 100 milioni di Euro di fatturato, magari "sospeso tra il dubbio se investire in acquisizioni di altre radio ancora in Italia o all’estero". Nel 2004 Mondadori vince l’asta per aggiudicarsi “Radio 101” dal custode giudiziale nominato dal Tribunale di Milano a seguito delle note vicissitudini penali che avevano interessato Angelo e Rino Borra, soci di Radio Milano International spa (titolare di 101), di One O One Radio Service srl (titolare di Rock FM) e di GBR spa (titolare del relay della VOA). "Cominciano i preparativi, il grande gruppo entra in fibrillazione per la sua radio. E’ l’occasione per portare innovazione nel mondo della radiofonia e creare le premesse per il lancio di una nuova business unit nell’azienda. Si comincia con molte analisi e molte riflessioni e si coglie comunque, almeno con nitidezza, l’idea di un posizionamento sul segmento adulto del mercato degli ascoltatori e dei clienti pubblicitari. In estrema sintesi dato che Radio Capital era vulnerabile (News vs. Music, inconsistenza musicale, altri evidenti punti di debolezza, ecc.) e Radio Montecarlo si trovava almeno allora in una certa fuga verso i giovani, ci si pone l’obiettivo di realizzare la prima "vera" Adult contemporany italiana. Si trattò di un’ottima premessa strategica, coerente anche alla vocazione commerciale di Mondadori Pubblicità, mai a successo con iniziative tramite mezzi giovani o teen. Buon inizio ma poi…". Astorri affronta poi in maniera compiuta i singoli elementi del progetto, partendo dalla "marca". "Pur facendo presente che per tutti i precedenti 15 anni Radio 101 era risultata in Audiradio sempre l’ultima delle radio nazionali nell’ascolto, il tutto certificato con certezza da ricerche di tipo qualitativo anche sulla povertà dei valori della marca riconosciuti dal pubblico a livello italiano", un nome di spicco del direttivo "non volle sentir ragioni per il cambio del nome della radio: "anche se ora ha solo 6-700.000 ascoltatori nel giorno medio, non provate a togliermeli cambiando il naming di 101". Nel cambio di format ne avrebbe persi comunque molti più della metà. I vertici del gruppo registrarono ma non si opposero ad un gravissimo errore di marketing dal monento che, per un cambio di marca c’era già pronto un budget (notevole, ndr) di promozione pubblicitaria a disposizione per il solo lancio; date le condizioni di disastro sugli ascolti e sul percepito della marca "Radio 101", era chiaro che sarebbe stato assai più vantaggioso investire quel danaro su una nuova marca, magari coerente al nuovo posizionamento, piuttosto che stra-spendere per un’inutile tentativo di rianimazione. Venne aggiunta una "R" a 101 ma si tolse per sempre la possibilità di costruire una nuova marca". Sul fronte del personale, questo è il pensiero dell’allora consulente di Monradio: "Uno sganciamento di coerenza dal posizionamento concordato all’origine si ebbe anche nella scelta delle figure chiave". Secondo Astorri ci furono valutazioni poco accorte nella nomina di alcune figure chiave: scelte che, in tempi brevi o lunghi, hanno portato ad allontanamenti e sostituzioni nelle aree commerciali ed editoriali. "E’ severamente vietato sbagliare nelle start-up, laddove esperienza e dinamismo devono essere al timone e non si deve cogliere il controllo remoto come primo impatto. E’ poi stupefacente come, a fronte di investimenti importantissimi nella ricerca, si lasci il personale nella arbitrarietà e non nella imprescindibilità dell’uso dei quadri di riferimento acquisiti", stigmatizza Astorri nel suo post. Sul capitolo strategico, secondo il consulente "La logica del grande gruppo prevede che le decisioni importanti di una unità di business siano condivise anche dai responsabili delle altre. Più che una logica di squadra, che prevederebbe comunque una visione unificante ma poi ruoli definiti sul campo, sembra essere tuttavia una logica di assenso o sbarramento, un sistema di bit, aperto o chiuso, quasi plebiscitario (…). Questo tipo di processo decisionale aumenta il fattore "bradipo" notevolmente, spedendo l’elefante talora sulle sabbie mobili o nell’acqua dove non tocca. Non c’è dubbio che il progetto "R 101" non si è mai realmente concretizzato o forse solo in piccola parte, essenzialmente a causa di scelte di management non propriamente felici o forzate da logiche non favorevoli e che l’intera comunità della radio ha osservato. Quello che la comunità della radio certamente non ha potuto osservare è tutto quello che il gruppo ha cercato di fare per estendere le proprietà nazionali nella radiofonia, argomento sul quale la deontologia impone di non esprimere nulla se non lo stupore per le occasioni mancate e non per il dossier aperto", conclude la sua lucida analisi Claudio Astorri. (M.L. per NL)