Con nota in data 10/06/2014 inviata a tutti gli I.T., la D.G.A.T. del MSE-Com ha inviato il parere sull’argomento espresso in data 04/06/2014 dalla D.G.S.C.E.R.P. a riguardo della vexata quaestio delle modifiche impiantistiche disposte dall’A.G.O.
Il parere della D.G.S.C.E.R.P., che di seguito si riporta integralmente, è relativo ad un provvedimento di disattivazione di un impianto radiofonico modificato a seguito di sentenza dell’Autorità Giudiziaria ed è stato formulato sulla base delle considerazione espresse dall’Avvocatura Generale dello Stato in data 14/04/2014 (integrale in calce al presente articolo): “Si comunica che, in base al parere espresso dall’Avvocatura Generale dello Stato in data 14.04.2014, questo Ministero, di fronte ad una pronuncia del Giudice Ordinario in merito a modifiche di impianti di radiodiffusione, non ha alcun obbligo di esecuzione. Nello specifico, a tutela del pre-uso di una banda di frequenze radiotelevisive, si ritiene ammissibile l’esercizio dell’azione possessoria dinanzi al giudice ordinario da parte di un’emittente radiofonica. Il giudice accerta l’esistenza di un possesso tutelabile, ma ogni questione riguardante la legittimità del possesso e la sua rispondenza ad un valido titolo è estranea al giudizio possessorio. Pertanto, l’esistenza e la legittimità dei provvedimenti autorizzatori adottati dall’Amministrazione non possono essere modificate da una sentenza adottata da un giudice ordinario e tanto meno si riconosce al giudice ordinario la facoltà di adottarne altri in loro sostituzione. In base al principio di separazione dei poteri cui fanno riferimento le norme indicate nell’allegato parere dell’Avvocatura di Stato, si esclude ogni ingerenza del giudice civile nell’attività provvedimentale che è riservata alla Pubblica Amministrazione. Non trova neanche applicazione il principio secondo cui la Pubblica Amministrazione sia tenuta a conformarsi alle statuizioni adottate dal giudice civile. Infatti, di fronte ad una sentenza pronunciata in una causa che si è svolta esclusivamente tra le parti private, il giudicato non è opponibile al Ministero e non si configura nessun obbligo di questa Amministrazione di conformarsi ad essa. Neppure si ritiene che la sentenza del giudice civile possa produrre effetti ai fini amministrativi in base all’art. 32 della legge 223/90 che faceva salvi “gli interventi derivanti da provvedimenti di organi giurisdizionali finalizzati al coordinamento e alla compatibilità elettromagnetica con impianti radioelettrici. Tale norma aveva, in primo luogo, carattere temporaneo, essendo destinata ad operare non oltre il termine di 730 giorni dalla sua entrata in vigore, e deve essere interpretata nel senso che gli impianti potevano essere modificati da provvedimenti giurisdizionali opponibili all’Amministrazione, e non pure da pronunce in giudizi ai quali sia rimasta estranea. Si ritine in conclusione che l’Amministrazione abbia l’onere di risolvere le situazioni interferenziali in base ai poteri attribuiti ad essa dalle legge, nel rispetto delle regole che disciplinano il procedimento amministrativo. Nell’espletamento di tale attività, conclude l’Avvocatura di Stato “si dovrà tenere in massima considerazione la consulenza svolta in sede civile e converrà discostarsi da quelle conclusioni solo in base a congrue e motivate ragioni”. Le conclusioni dell’Avvocatura, ad avviso di chi scrive, non colgono nel segno per le ragioni di diritto che di seguito si esprimono. Non è ovviamente in discussione il fatto che la sentenza maturata in un giudizio civile di carattere possessorio non possa essere vincolante per la Pubblica Amministrazione, dal momento che in questo tipo di giudizio civile il giudice non prende in considerazione questioni di legittimità, ma si limitata ad una tutela del mero stato di fatto (che può, quindi, non corrispondere a quello di diritto). Obbligare la PA – che, invece, “ragiona” solo in termini di legittimità e mai di fatto – a conformarsi ad una decisione presa su un piano meramente fattuale appare contrario alla natura stessa dell’attività del potere amministrativo. Tuttavia, nel caso di un giudizio ordinario “petitorio” si dovrebbe giungere a conclusioni diametralmente opposte, anche se la P.A. non sia stata parte del Giudizio. Tutta la regolamentazione amministrativa del settore radiofonico, non essendo mai stata svolta una pianificazione dell’analogico, è basata sull’autorizzazione temporanea alla prosecuzione di esercizio nelle condizioni censite ex art. 32 L. 223/1990 e/o modificate a seguito di successivi provvedimenti resi dagli organi competenti. Il Legislatore del 1990, pur intendendo conferire legittimità alla situazione fotografata col censimento, conscio delle criticità presenti in quella fotografia (ma anche della giurisprudenza civile consolidatasi già prima che la “foto” venisse scattata) ha sempre lasciato la porta aperta ad interventi modificativi della magistratura ordinaria. Inizialmente col secondo comma dell’art. 32 della L. 223/90, e via via – in termini letterali pressoché identici – fino al quarto comma dell’art. 27 del D. Lgs. 177/2005 e ss. mm. e ii., che consente il trasferimento degli «impianti di radiodiffusione sonora e televisiva ed i collegamenti di comunicazioni elettroniche, legittimamente operanti in virtù di provvedimenti della magistratura, che non siano oggetto di situazione interferenziale e non siano tra quelli risultati inesistenti nelle verifiche dei competenti organi del Ministero». Tale norma, che l’Avvocatura pretermette, è oggi in pieno vigore (è bene evidenziarlo: senza nessuno dei limiti applicativi che l’Avvocatura attribuisce all’art. 32 della l. 223/1990). D’altra parte sarebbe impensabile escludere l’intervento della magistratura civile nelle controversie relative alle condizioni di esercizio degli impianti, perché ciò significherebbe negare i gravi riflessi delle situazioni interferenziali sulla concorrenza tra le imprese del settore; riflessi che ricadono interamente in ambito civilistico e sulle quali la magistratura amministrativa non potrebbe in alcun modo intervenire, perché vincolata a decidere sulla base di norme poste a presidio di tutt’altri interessi giuridici. E, tuttavia, la pretesa storica della P.A. di poter ignorare le sentenze rese dal Giudice Ordinario nei conflitti interferenziali tra emittenti radiotelevisive (pretesa oggi rafforzata dal recente parere dell’Avvocatura), si traduce esattamente in questo: nella negazione della dimensione economico-imprenditoriale dell’emittente radiotelevisiva . Sotto altro profilo, il parere dell’Avvocatura rafforza la convinzione dei sostenitori del coinvolgimento del Dipartimento Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico nei giudizi civili tra emittenti radiofoniche, quantomeno nel momento in cui emerga con sufficiente chiarezza che per la tutela dei diritti azionati si rende necessaria la modifica delle condizioni di esercizio degli impianti già autorizzate dal Ministero. Questo, da un lato, consente di superare la pretesa di estraneità della P.A. al giudizio, vincolandola al rispetto della sentenza ai sensi dell’art. 4 l. 2248/1865, in coerenza con l’interpretazione cui l’Avvocatura dello Stato aderisce, mentre, dall’altro, garantisce una certa “correttezza” nei rapporti con la P.A., consentendole di contraddire nel corso del giudizio civile, senza doverla poi porre di fronte al fatto compiuto, obbligandola a ratificare l’esito di un giudizio cui non ha preso parte. Occorre, però, ribadire che come si tratti quasi esclusivamente di un “atto di cortesia”, dal momento che la dizione letterale dell’art. 4 l. 2248/1865 non obbliga le parti private a coinvolgere nel giudizio civile la P.A., ma si pone quale argine tra potere esecutivo e ordine giudiziario, assegnando al secondo la decisione su diritti lesi da provvedimenti del primo, ma senza consentire all’A.G.O. un intervento di modifica diretto, riservando tale intervento diretto alla P.A., obbligata, però, a conformarsi ex post alla decisione del Giudice Ordinario, senza alcun margine di discrezionalità, “tecnica” o meno. D’altra parte, sin qui, i supremi organi della magistratura (civile, penale ed amministrativa) hanno mostrato un orientamento assolutamente contrario a quello tracciato dall’Avvocatura Generale dello Stato nel parere in disamina. Sul punto, nel passato, su queste pagine avevamo posto attenzione ad un’importante decisione della Suprema Corte di Cassazione che si era inserita nel solco di precedenti orientamenti analoghi in forza dei quali era stata riconosciuta la devoluzione al giudice ordinario delle controversie instaurate da emittenti radiofoniche o televisive per far cessare i disturbi provocati da successivi utilizzatori della medesima frequenza. Tale principio, inizialmente stabilito con riferimento a condotte poste in essere prima della entrata in vigore della L. 223/1990, era stato in seguito riaffermato anche in relazione a fatti commessi in epoca successiva da soggetti muniti delle prescritte concessioni che erano sempre rilasciate con salvezza dei diritti dei terzi. In ossequio alla costante propria giurisprudenza, la Cassazione aveva dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario, osservando come, in sostanza, non fosse in discussione la legittimità della concessione rilasciata dalla P.A., quanto il comportamento tenuto dalla controparte in violazione del diritto della ricorrente di non subire interferenze nello svolgimento dell’attività radiodiffusiva. Una vertenza del genere non poteva, quindi, che appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario, in quanto non poteva essere racchiusa nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo e nemmeno in quella esclusiva di cui alla L. 1034/1971, artt. 5 e del D. Lgs 80/1998, art. 33, così come modificati dalla L. 205/2000, art. 7. Approfondendo questo ultimo aspetto, i giudici di legittimità avevano rimarcato, come, nel caso esaminato, non si vertesse in tema di pubblici servizi, ma di attività commerciali svolte da imprese private in regime di concorrenza senza delega di poteri e che, comunque, nel riservare a Giudice Amministrativo la cognizione delle cause in materia di concessioni di beni e servizi pubblici, le predette disposizioni avevano inteso riferirsi alle controversie promosse nei confronti della Pubblica Amministrazione e non a quelle fra privati, ancorché estese al contenuto od alla legittimità del provvedimento che avesse consentito ad uno di essi di svolgere l’attività che l’altro riteneva lesiva del proprio diritto. La Corte, nel suo excursus, aveva altresì esaminato l’eccezione secondo la quale non sarebbe stata soltanto la normativa generale, ma pure quella specifica di settore a radicare, nella specie, la giurisdizione del G.A., e questo perchè la L. 223/1990, art. 3 e la L. 122/1998, art. 1, avrebbero attribuito in via esclusiva alla P.A. la competenza a risolvere i problemi cagionati dalle interferenze, cosicché non avrebbe potuto essere adito il G.O. ma, al più, sollecitato l’intervento dell’Amministrazione e, eventualmente, attaccati gli atti davanti al T.A.R. Tuttavia, le Sezioni Unite non avvallarono tale ragionamento, osservando come la L. 223/1990 e le sue successive modificazioni ed integrazioni avessero conferito alla P.A. una serie di poteri di vigilanza e di controllo che, pur assurgendo a notevoli livelli d’intensità, non consentivano però di affermare che, di fronte alle interferenze, l’interessato non disponesse di altre forme di tutela se non quelle rappresentate dai predetti poteri e dal ricorso al G.A. contro il loro mancato o scorretto esercizio. Anche la tradizionale censura basata sul fatto che eventuali decisioni giudiziali destinate a gravare sugli assetti impiantistici avrebbero inciso sull’atto amministrativo in sé, determinando un’ingerenza del potere giudiziario intollerata dall’ordinamento, non era stata accolta dalla Corte, atteso che, per giurisprudenza costante, nelle controversie fra privati il divieto imposto dalla L. 2248/1865, all. E, art. 4, non atteneva alla giurisdizione, bensì al merito in quanto, data l’estraneità della P.A. al giudizio, aveva tema esclusivo soltanto nell’individuazione dei limiti interni posti dall’ordinamento alle attribuzioni del giudice ordinario. Alla luce dell’importante decisione, si preconizzava come, probabilmente, sarebbe diminuito fortemente il numero dei giudici di merito che si sarebbero dichiarati incompetenti a conoscere delle cause aventi ad oggetto le situazioni interferenziali tra emittenti radiotelevisive e, a maggior ragione, che sarebbe risultato particolarmente critico, da parte del MSE-Comunicazioni, non ratificare o comunque prendere atto delle modificazioni tecniche ordinate dall’A.G.O. ex art. 32 c. 2 L. 223/1990 alla presenza dei presupposti di legge , al fine di coordinare gli impianti radioelettrici. Orbene, a riguardo di quest’ultimo argomento, informavano nell’occasione che già nel recente passato la D.G. dell’allora Ministero delle Comunicazioni avesse avuto modo di pronunciarsi positivamente a riguardo. Nel dettaglio, interpellata a riguardo dell’obbligo o meno del dicastero di intervenire (per quanto di competenza) affinché fosse rispettato il decisum del G.O. che aveva disposto una serie di modifiche ad impianti di radiodiffusione, la D.G., richiamando un proprio precedente parere, aveva osservato come “le pronunce del giudice civile possono rappresentare motivo per chiedere la modifica degli impianti di radiodiffusione in ottemperanza ad un obbligo di legge, ai sensi dell’art. 1, comma 4, della legge n. 122/98”. Sul piano procedurale, l’organo superiore dell’attuale MSE-Comunicazioni aveva ritenuto poi che “la parte a cui la sentenza del giudice civile fa obbligo di modificare gli impianti oggetto della concessione, debba inoltrare, ai sensi della legge 122/98, istanza di modifica degli impianti di cui trattasi al competente Ispettorato, il quale provvederà ad autorizzare la modifica imposta dal giudice, fatti i diritti dei terzi e nel rispetto della legge 122/98. Qualora la parte non si attivi presso l’Ispettorato per chiedere la modifica degli impianti oggetto della sentenza civile, la parte lesa potrà richiedere al giudice civile di far eseguire la sentenza tramite il giudice dell’esecuzione, ordinando la presentazione dell’istanza di modifica degli impianti”. Piuttosto, appariva controverso in dottrina se le emittenti destinatarie di provvedimenti di organi giurisdizionali incidenti sull’assetto radioelettrico dovessero inoltrare istanza di ratifica delle condizioni operative ai sensi e per gli effetti dell’art. 28 c. 3 D. L.vo 177/2005 agli Ispettorati territoriali competenti, affinché questi ultimi, accertata l’inesistenza di pregiudizi per i terzi e, in genere, i requisiti ex lege, potessero autorizzare sul piano amministrativo le modifiche disposte dall’A.G.O. ovvero se dovessero ottemperare alle diposizioni impartite dagli organi giurisdizionali meramente trasmettendo il contenuto del provvedimento ai fini della presa d’atto ex art. 32, c. 2, L. n. 223/1990 ed ex art. 28, c. 3, D. Lgs. n. 177/2005 e s.m.i. (“ottemperanza agli obblighi di legge”), nonché in relazione a quanto previsto dall’art. 10, c. 1, lettere “n” e “o” D.P.R. n. 166/1995 e a mente dell’art. 4 allegato E L. 2248/1865 (Legge sul contenzioso amministrativo), laddove prescrive che le autorità amministrative “si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso” previo ricorso per la modifica dell’atto amministrativo “in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”. Ciò posto, si osservava incidentalmente con circolare del 23/01/2014 (in SIT Online su www.newslinet.it) come il Consiglio di Stato, con decisione depositata il 27/08/2010 (N. 05983/2010 REG. DEC. N. 06601/2005 REG. RIC.), avesse trattato della questione, confermando la vigenza della titolarità in capo all’A.G.O. del potere di ordinare modifiche impiantistiche ex art. 32 c. 2 L. 223/1990. Nel merito, il supremo organo di giustizia amministrativa, dibattendo sulla natura di provvedimento di organo giurisdizionale ex art. 32 c. 2 L. 223/1990 della “conciliazione giudiziale”, ha ritenuto che essa non potesse rientrare nella succitata previsione normativa. Secondo il Cds, infatti, “nella conciliazione giudiziale l’effetto di coordinamento e compatibilità tra impianti non può dirsi prodotto da provvedimento del giudice in senso proprio, essendo l’intervento di questi, come visto, funzionale all’autonomo effetto della chiusura del processo (senza efficacia di giudicato; Cass. Civ., sez. Lav. 04/12/1986, n. 7193), non alterando la natura consensuale dell’atto di composizione che le parti volontariamente concludono e dovendosi perciò ritenere la formula “Il Tribunale… autorizza”, adottata nella specie, non costitutiva di effetti sostanziali ma di quello, processuale, proprio dell’atto”. Il passaggio rilevante della decisione era evidentemente quello in cui gli stessi giudici amministrativi mostravano di concordare sulla natura (concorrente a quello della P.A.) del potere dell’A.G.O. di autorizzare modifiche impiantistiche (ovviamente nel rispetto dei diritti incomprimibili dei terzi). L’enunciazione del principio avveniva allorquando i giudici richiamavano la previsione dell’art. 32 L. 223/1990 (pag. 13 decisione) “che, nell’autorizzare, al comma 1, la prosecuzione dell’esercizio degli impianti in essere alla data di entrata in vigore della legge, e nel vietare la possibilità della “modificazione della funzionalità tecnico-operativa” dei detti impianti, consente, in via transitoria, l’eccezione di tali interventi di modificazione se derivanti da “provvedimenti di organi giurisdizionali” (così come da identici provvedimenti del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni) volti al “coordinamento e alla compatibilità elettromagnetica con impianti radioelettrici” anche “delle emittenti private già esistenti”. Lungi pertanto dal trovare una conclusione, la questione evolverà certamente nelle sedi giudiziarie presumibilmente proprio nell’ambito del procedimento a riguardo del quale l’Avvocatura Generale dello Stato ha espresso il proprio parere. (M.L. per NL)
Parere Avvocatura Generale dello Stato del 14/04/2014 – Affare Ct 10897/14 – Sez. II –
Con la nota in riferimento codesta Amministrazione chiede il parere di questa Avvocatura in merito all’efficacia della sentenza del Tribunale di (…omissis…) del (…omissis…) n. (…omissis…, integrata da una successiva ordinanza del (…omissis…) che – nell’ambito di un giudizio possessorio intrapreso dalla soc. (…omissis…) e sulla base di una consulenza tecnica di ufficio all’uopo disposta – ha ordinato alle parti di esercire i propri impianti secondo le modalità individuata dal C.T.U.
Questa Avvocatura osserva che – secondo i principi generali dell’ordinamento, recepiti da un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato – è ammissibile l’esercizio dell’azione possessoria dinanzi al giudice ordinario a tutela del pre-uso di una banda di frequenze radiotelevisive, che sia turbato da un altrui comportamento (cfr. Cass., SS.UU, 10 ottobre 2012, n. 17243; Cass., SS.UU, 28 luglio 2009, n. 17465); e ciò sia quando la condotta lesiva si manifesti apertamente attraverso lo spoglio degli impianti eserciti o il trasferimento di quelli concorrenti, sia quando si verifichino situazioni interferenziali per l’effetto dell’irradiazione di segnale di altre emittenti, non compatibili con la situazione preesistente (cfr. Cass., 6 giugno 2000, n. 7553).
Secondo le regole del diritto civile, il giudizio di reintegrazione del possesso tende ad assicurare la conservazione della situazione di fatto previgente, prescindendo dall’accertamento dell’esistenza di un valido titolo giuridico a suo sostegno. Pertanto, nell’ambito di tale giudizio il giudice adito “deve da un lato accertare l’esistenza di un possesso tutelabile e di una azione integrante gli estremi di uno spoglio, mentre ogni questione riguardante la legittimità del possesso e la sua rispondenza ad un valido titolo è estranea al giudizio possessorio, nel quale i titoli di proprietà possono venire in rilievo solo “ad colorandum possessionis” (Cass, 15 maggio 1998, n. 4908). Per questi motivi, deve ritenersi estranea all’ambito di tale giudizio ogni questione attinente alla esistenza e/o alla legittimità dei provvedimenti autorizzatori eventualmente adottati dall’Amministrazione a beneficio delle parti in causa. A fortiori, deve essere esclusa la possibilità di modificare tali provvedimenti o di adottarne altri in loro sostituzione.
Ulteriori limitazioni della potestà giurisdizionale del giudice adito derivano dai principi generali dell’ordinamento stabiliti dalla legge abolitrice del contenzioso amministrativo. Secondo l’art. 4 della l. n. 2248 del 1865, infatti, “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunale si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative…”. Il successivo art. 5, poi, concede al giudice ordinario il solo potere di disapplicare gli atti amministrativi ritenuti illegittimi, escludendo qualsiasi potere di annullamento, di modificazione o di revoca degli stessi.
Come è noto, queste regole sono espressine del principio di separazione dei poteri e, nel riconoscere il potere/dovere del giudice civile di assicurare la tutela dei diritti dei cittadini che si assumono lesi dai provvedimenti adottati dall’Autorità Amministrativa, escludendo ogni sua ingerenza nell’attività provvedimentale che è riservata alla Pubblica Amministrazione (in dottrina, da ultimo, R. De Nictolis, “Giurisdizione ordinaria e pubblica amministrativa: limiti interni”, in “Diritto on line”, www.Treccani.it). Nel rispetto di questo principio, il citato art. 4 della legge abolitrice del contenzioso amministrativo rimette alla stessa Amministrazione – alle condizioni che saranno di seguito specificate – l’obbligo di adottare i provvedimenti necessari per adeguarsi al giudicato.
Queste regole appaiono manifestamente violate dalla sentenza del Tribunale di (…omissis…) in esame, che – nell’ambito di un giudizio di carattere possessorio, astrattamente finalizzato a reintegrare la ricorrente nella situazione di fatto lesa dall’azione di spoglio della convenuta – ha disposto l’osservanza di una serie di prescrizioni relative all’esercizio degli impianti, così invadendo le sfere del potere autorizzatorio di codesta Amministrazione definite dall’art. 2, comma 5, della l. 30 aprile 1998, n. 122, e dall’art. 28 comma 2, del d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177. Tale sconfinamento avrebbe potuto essere dedotto dinanzi alle Sezioni Unite della Cassazione mediante regolamento di giurisdizione, da promuovere ai sensi dell’art. 41, secondo comma, c.p.c. entro i prescritti termini di impugnazione.
La mancata attivazione del suddetto strumento di tutela giurisdizionale non comporta tuttavia conseguenze sfavorevoli per codesta Amministrazione, perché non incide in alcun modo sull’esercizio dei propri poteri. Non trova infatti applicazione, nel caso di specie, il già richiamato principio secondo cui la Pubblica Amministrazione è tenuta a conformarsi alle statuizioni adottate dal giudice civile (art. 4, secondo comma, ultimo periodo, l. n. 2248 del 1865). Infatti, questo obbligo è riferibile al solo caso in cui l’Amministrazione sia stata parte in causa; in caso contrario il giudicato intervenuto tra le parti non è ad Essa opponibile, per quanto disposto dall’art. 2909 c.c. Poiché la sentenza in esame è stata pronunciata in una causa che si è svolta unicamente tra le parti private, non si può configurare nessun obbligo di codesta Amministrazione di conformarsi ad essa.
Neppure si ritiene che la sentenza del giudice civile possa produrre effetti ai fini amministrativi in base alle previsioni dell’art. 32, secondo comma, della l. n. 223 del 1990, che vietava la modificazione della funzionalità tecnico-operativa degli impianti eserciti alla data di entrata in vigore di tale legge, facendo salvi “gli interventi derivanti da provvedimenti di organi giurisdizionali…, finalizzati al coordinamento e alla compatibilità elettromagnetica con impianti radioelettrici…”. Tale norma per un verso aveva carattere temporaneo, essendo destinata ad operare fino al momento del rilascio della concessione prevista dall’art. 16 della stessa legge, e comunque non oltre il termine di 730 giorni dalla sua entrata in vigore; per altro verso, deve essere interpretata nel senso che gli impianti potevano essere modificati da provvedimenti di organi giurisdizionali opponibili all’Amministrazione, e non pure da pronunce emesse in giudizi ai quali sia rimasta estranea.
Si ritiene dunque che codesta Amministrazione abbia l’onere di risolvere le rilevate situazioni interferenziali in base ai poteri ad essa attribuiti dalla legge, nel rispetto delle regole che disciplinano il procedimento amministrativo. Nell’espletamento di tale attività, si dovrà tenere nella massima considerazione la consulenza svolta in sede civile, alla quale il Tribunale di (…omissis…) si è uniformato, e converrà discostarsi da quelle conclusioni solo in base a congrue e motivate ragioni.