Il rapporto dello studioso americano Larry Miller racconta di una generazione Z lontana dal mezzo radiofonico tradizionale a favore delle piattaforme digitali.
NAB, l’associazione nazionale dei broadcaster americani, controbatte con tutta una serie opposta di motivazioni.
A vista d’occhio, comunque, che la modulazione di frequenza abbia perso da tempo fascino nei confronti dei giovani, è almeno in Italia, sicuramente più di una sensazione.
Di contro non si può certo pretendere il fanatismo di chi ha cominciato negli anni ’70 vivendo in prima persona una vera e propria rivoluzione, guardando con curiosità alla miriade di antenne che si posizionavano su terrazze, balconi, ovunque ci fosse un’ipotetica visuale.
L’impatto con voci che per la prima volta sentivi vicine a te, che utilizzavano un linguaggio diverso rispetto a quello canonico e formale della RAI, fu sicuramente una sensazione fortissima, di quelle che ti rimangono cucite sulla pelle a lungo.
Fu consequenziale per quella generazione innamorarsi della radio; ai tempi l’unico modo per ascoltare musica era tramite l’acquisto dei dischi, quindi la radio dava la possibilità di immergersi gratuitamente in un mondo magico. Le migliaia di emittenti nate ovunque tra mansarde, garage, cucine, con trasmettitori situati nel bagno, davano a tutti la possibilità di diventare protagonisti, di raggiungere con la propria voce amici vicini e lontani.Assolutamente normale che quell’alone di popolarità riservato agli speaker dell’epoca, ognuno con un proprio pubblico, generasse un processo di emulazione che spingesse tutti ad avvicinarsi a questo mondo da protagonisti o da ascoltatori.
Aurea magica che ha resistito sino agli anni ’90 contribuendo a creare grandi gruppi ma anche tanti piccoli laboratori in cui molti hanno avuto la possibilità di sperimentare e divertirsi.
La tanto temuta/attesa regolamentazione del settore arrivata con la legge Mammì ha impresso un altro passo a questo percorso, facendo scomparire diverse piccole realtà che non potevano adeguarsi.
Nel frattempo faceva capolino internet e quindi nuove possibilità per ascoltare la musica e impiegare il tempo libero. Quella luce fortissima che irradiava gli studi man mano cominciava a spegnersi, non più luoghi in cui la passione muove mari e monti e dà un senso a tutti i sacrifici, ma luoghi di lavoro in cui si pretende tanto, spesso in cambio di nulla: un’equazione difficilmente sostenibile.
Vanno in archivio quei proprietari che erano un misto tra il professore matto di ”Ritorno al futuro” e Quentin, il gestore di Radio Rock in ”I love radio rock”, figure mitologiche metà uomo metà mixer che investivano risorse e tempo contro ogni logica inseguendo un sogno.
Rimangono piano piano solo coloro che riescono a costruire delle aziende o quelli che cercano di farlo senza successo e spesso anche senza cuore.
Ma in questo nuovo mondo non c’è più spazio per i giovani, per la passione, per un luogo sospeso tra musica e parole dove ci sia qualcuno che possa insegnarti qualcosa.
Gli studi diventano uffici con impiegati dal capo chino sul foglio delle fatture o lo sguardo fisso sul computer; di risate, gioie, emozioni neanche l’ombra e tutto diventa un film che pochi vogliono vedere.
Il telefono smette di squillare; quel trillo che per molti è stata una droga, un segnale inequivocabile che il programma stava funzionando, viene sostituito dai dati di ascolto, numeri scritti su tabulati che diventano l’unica assoluta ”inconfutabile” verità.
Tutto quello che viene chiesto al conduttore è in funzione di queste indagini; nessun rischio, piccola follia, originalità viene più ammessa, bisogna stare allineati e coperti e pensare a fare fatturato.
Gli speaker che avevano cominciato negli anni ’70, nel frattempo diventati uomini maturi, capiscono che è il momento di smettere; viene negata la possibilità di esprimersi in cambio di incerte contribuzioni ed è chiaro che continuare seriamente in una realtà medio piccola non conviene più a nessuno.
E con un scenario simile come poter chiedere a dei giovani di impiegare tempo in questo contesto, non puoi più trasmettere la musica che ti piace, non puoi più inventare nulla, non hai nessuno scambio emozionale all’interno degli studi, il direttore artistico non ha alcun momento da dedicarti in quanto è nello stesso tempo fonico, agente pubblicitario, dee jay e, qualche volta, pure editore.
La radio rimane un feticcio per i vecchi ma diventa uno sport minore per la generazione Z, uno di quelli da guardare o praticare nei ritagli di tempo, se proprio si deve, ma privo di qualsiasi appeal.
Le emittenti universitarie nate nella seconda metà degli anni 2000 avrebbero dovuto dare nuova linfa a questo settore e diventare un polo di attrazione per i giovani essendo situate all’interno degli atenei e con la possibilità per tutti gli studenti di cimentarsi in quest’arte.
Ma una svolta che negli anni ’70 avrebbe generato risse da stadio per strappare un minuto al microfono, non riesce a diventare per molteplici motivi la rivoluzione annunciata cioè il recupero di questo media da parte dei millenial.
Identico risultato al momento per le web radio locali, per costi, facilità di accesso e diffusione del segnale, in teoria una manna, in pratica invece solo la sconfortante sensazione provocata dal guardare i dati degli utenti connessi sul server. Il linguaggio è giovane, il mezzo pure, ma i risultati non cambiano.
Orde di facce senza rughe si vedono solo ai provini per i talent radiofonici televisivi o musicali che siano, ma in una nazione che offre poche possibilità di lavoro sembrano per lo più folle spinte maggiormente dal desiderio di trovare una sistemazione, qualunque essa sia, che non addetti ai lavori mossi da competenza e passione.
Pochi giovani dentro le radio, e ancora meno quelli che l’ascoltano, poco attratti dalle parole e molto più bendisposti verso piattaforme digitali consone ad essere personalizzate in virtù dei propri gusti soggettivi.
Esauriti con esito infausto anche i tentativi di imporre in FM youtuber e personaggi più o meno televisivi graditi ad una specifica fascia d’età, non resta che impiegare tempo e risorse a caccia di soluzioni che diano davvero dei risultati prima che scorrano i titoli di coda. (U.F. per NL)