Un panorama eterogeneo quello delle radio locali, ma riconducibile, tra quelle che contano, a tre modelli codificati.
900 radio locali virtualmente esistenti. Meno di 500 quelle effettivamente in onda. 300 quelle con dignità d’impresa. 200 quelle che il mercato può sostenere.
Questi i numeri reali del mercato radiofonico italiano in corso di rapido assestamento.
In attesa che le nuove tecnologie, le sopravvenute abitudini d’ascolto e di fruizione del medium e le istanze dell’utenza riscrivano il layout del medium radiofonico (presumibilmente nella direzione dell’on demand), vediamo qual è il quadro italiano.
Come detto in apertura, sulla carta circolano in Italia 900 titoli concessori per radiodiffusione sonora in tecnica analogica locale, tra commerciali e comunitari. Tuttavia, al netto di seconde, terze e quarte concessioni del medesimo soggetto giuridico che non le esercita concretamente oltre al titolo che contraddistingue la stazione principale, le radio in onda in FM, con ogni probabilità, non arrivano a 500.
Di queste, quelle che hanno una dignità d’impresa per numero di dipendenti, fatturato, progetto editoriale e idoneità a reggere sul mercato sono 300.
Ma nella prospettiva di una ulteriore concentrazione delle risorse economiche causata dalla riduzione (o più probabilmente dell’azzeramento) delle contribuzioni pubbliche e dalla competizione con la pubblicità online, che continuerà a sottrarre spazi a quella radiotelevisiva, non è da escludere che tale numero si ridurrà nell’arco di un quinquennio a 200.
Volendo ora concentrare l’attenzione sulle 300 emittenti di cui sopra, registriamo la presenza di un panorama eterogeneo, ma sostanzialmente riconducibile al seguente cliché quanto a modelli: soggetti del tutto indipendenti a livello editoriale, cioè produttori in proprio dell’interezza di palinsesti originali; editori parzialmente dipendenti da contribuzioni di terzi player, coi quali hanno rapporti commerciali; operatori del tutto dipendenti dalla fornitura di programmi altri (con le formule delle syndication “estensive” o del franchising). Fuori dal novero dei 300, troviamo microradio commerciali, spesso in attesa dell’ultimo compratore di frequenze; ripetitoristi tout court; emittenti comunitarie (tra effettive e commerciali mascherate) e stazioni “di carta”.
Il primo caso dei tre modelli enunciati sopra, fa riferimento a grandi emittenti areali o spesso a superstation, per la quali la pubblicità nazionale rappresenta non raramente oltre il 50% dei ricavi, mentre la locale è splittata su più reti, ma con la tendenza alla diminuzione degli spazi della seconda a favore della prima in quanto meno dispersiva. Si tratta di prodotti che, in occasione dell’avvento delle nuove piattaforme distributive (visual radio DTT ed IP), con ogni probabilità assumeranno connotazioni indistinguibili da quelle delle stazioni nazionali anche sotto il profilo diffusivo (non è un caso che alcune di queste emittenti abbiano acquisito – nell’ambito della visual radio DTT – autorizzazioni per la fornitura di servizi di media audiovisivi nazionali).
Il secondo, fa riferimento a soggetti ben assestati sul mercato locale, che attingono per la veicolazione di programmi d’appeal a prodotti di terzi, con i quali hanno stretti rapporti commerciali. E’ questo, per esempio, il caso delle emittenti aderenti al circuito RDS 100% Special Radio, espressione del gruppo radiofonico nazionale omonimo, che, per voce del direttore della concessionaria (captive) RDS Advertising, Monica Gallerini, “ha superato ogni nostra più ambiziosa aspettativa e al tempo stesso certifica un profondo e vivo interesse del mercato a maggiormente geolocalizzare le campagne usufruendo di realtà leder nel territorio. Le adesioni al circuito sono in costante fase di crescita e la copertura ha raggiunto quasi il 60 % del territorio nazionale. Ogni anno entrano nel circuito in media 2-3 emittenti locali e questo ci consente di sviluppare la nostra proposta commercial e aumentare il numero degli ascoltatori”.
Un circuito di radio che vuole “Accogliere nel circuito nuove emittenti areali”, spiega Paolo Bonardi responsabile di RDS 100% Special Radio, il cui prossimo obiettivo è “di andare a coinvolgere emittenti locali in aree attualmente scoperte per aumentare la penetrazione del Circuito su ampie parti del territorio nazionale”.
Il terzo tra i modelli (non in termini gerarchici, ma meramente rappresentativi del quadro esistente) è quello che vede invece editori che hanno deciso di abdicare completamente al ruolo produttivo, demando a terzi tale compito per concentrarsi nella raccolta pubblicitaria locale. E’ questo il modello di syndication (nella più vasta accezione del termine) che, con varie formule, coprono quote rilevanti del palinsesto con sei ore di programmi in interconnessione supportando il presidio delle restanti oppure quello di soluzioni basate sul franchising attraverso contratti atipici di cessione del format lungo le 24 ore con contestuale licenza di sfruttamento locale del marchio.
Questi ultimi prodotti, si pongono, ça va sans dire, a metà strada tra emittenti nazionali a tutti gli effetti e superstation, più che tra network e radio locali.
Un sistema eterogeneo ancora prevalentemente legato ad un ecosistema tutto italiano ma che, gradatamente, si sta normalizzando rispetto ai modelli presenti nel resto dell’Europa. In attesa, come detto sopra, che il layout radiofonico sia completamente riscritto dai nuovi sistemi di fruizione. Di questo e di altro si parlerà nel convegno sulla Radio 4.0 organizzato dalla Regione Lombardia il 21/11/2018 dalla 9,30 alle 13.30 al Palazzo Pirelli. (M.L. per NL)