Le frequenze FM, la concessione commerciale nazionale, il grande archivio di Radio Radicale alla RAI, che sfrutterebbe l’opportunità per mettere fine al mai veramente digerito obbligo di gestire la quasi inutile GR Parlamento e al contempo di ottemperare all’obbligo di sviluppare un canale DTT istituzionale e di potenziare la propria offerta radiotelevisiva in linea con le esigenze della Radio Tv 4.0.
Sembra quasi che ci abbiano presi alla lettera. Ricordate il nostro articolo di qualche giorno fa a riguardo della querelle sui finanziamenti governativi a Radio Radicale?
Senza nulla togliere al ruolo informativo, culturale e politico svolto in tutti questi decenni da Radio Radicale ed anzi riconoscendo l’immenso patrimonio editoriale e storico messo a disposizione (quasi mezzo milione di contributi audio), ci eravamo chiesti su queste pagine se, nel 2019, avesse ancora veramente senso spendere 14 mln di euro annui per mantenere in vita in FM una stazione che, per il particolare seguito che ha, potrebbe essere diffusa, oltre che su IP e DAB+ (dove c’è già), sul DTT (per un costo annuo di “soli” 500.000 euro), considerata l’importante componente stanziale del suo ascolto.
A seguito della pubblicazione di tale articolo, su vari gruppi Facebook e Linkedin era nato un proficuo dibattito, che vedeva contrapposti, ovviamente, sostenitori e contestatori del finanziamento.
Nel merito, avevamo ipotizzato una cessione dell’asset frequenziale FM unitamente alla concessione nazionale commerciale, che avrebbe consentito di far cassa per almeno 15 mln di euro e di ridurre contemporaneamente i costi di gestione annui di almeno 5.
Ora, se la concessione commerciale nazionale e le quasi 300 frequenze FM interessano certamente a diversi grandi gruppi radiofonici privati che devono competere con Radiomediaset (quest’ultima invece non potrebbe concorrere per vincoli Antitrust ancora per qualche tempo), gli stessi avrebbero zero interesse a preservare e sviluppare i contenuti di Radio Radicale.
Interesse che invece potrebbe avere RAI, il cui contratto con lo Stato (attraverso il Ministero dello Sviluppo Economico) impone la creazione di un canale tv nazionale di tipo istituzionale (messo a budget insieme a quello in lingua inglese per 60 mln di euro), che ben potrebbe attingere dall’archivio di Radio Radicale e sviluppare profonde sinergie, evitando di determinare un prodotto malfatto perché conseguente ad un obbligo e non ad una scelta editoriale e commerciale.
Senza considerare che in caso di acquisizione di Radio Radicale, RAI potrebbe finalmente rinunciare dall’impegno di gestire GR Parlamento, un obbligo che la concessionaria pubblica non ha mai mostrato di veramente gradire e che coi suoi oltre 100 impianti costituisce un gravame di non poco conto.
Così l’ipotesi di una acquisizione da parte di RAI di Radio Radicale ha iniziato a farsi strada nella Commissione di Vigilanza, tanto che il presidente Barachini avrebbe incontrato il direttore della Radio, Alessio Falconio e si sarebbe fatto promotore di una mediazione con la concessionaria pubblica per valutare quantomeno una cogestione che permetterebbe di preservare e potenziare l’archivio dell’emittente voluta da Pannella insieme ai suoi 53 lavoratori (di cui 22 giornalisti) che potrebbero operare insieme ai 40 di GR Parlamento anche per la produzione di un canale DTT nazionale.
Una soluzione che potrebbe essere gradita sostanzialmente a tutte le forze politiche e che quindi troverebbe veloce e positivo accoglimento, consentendo da una parte di mantenere immutato il valore storico e culturale di Radio Radicale, dall’altra di aggiornarne le piattaforme distributive dei contenuti alla luce degli avvicendamenti tecnologici e del cambiamento di abitudini dell’utenza e infine di soddisfare le esigenze governative di spending review. (M.L. per NL)