Cosa ne è stato di tutto quel fermento insopprimibile che all’inizio degli anni 70, prima in maniera clandestina e poi liberalizzata dalla nota sentenza 202/1976 della Corte Costituzionale, sconvolse la modulazione di frequenza (e la vita di tantissime persone)?
Pian piano ma inesorabilmente gran parte di quelle frequenze conquistate faticosamente a colpi di portanti mute, fischi, sovramodulazione, sono state acquisite da grandi reti nazionali, in parte per un processo di sviluppo forse inevitabile, per altri versi anche per tare endemiche di un modo di intendere il mezzo tipico di certi editori più avvezzi a montare tralicci e montare trasmettitori che non a trasformarsi in imprenditori con una visione del futuro.Oltre 30 anni fa come in una sorta di follia collettiva chiunque correva a posizionare antenne su balconi e terrazze creando studi improvvisati in mansarde o garage; non abbiamo mai avuto in Italia emittenti clandestine su una nave situata al largo delle acque territoriali (anche se fonti accreditate affermano che uno degli editori più importanti della prima era sia andato molto vicino alla creazione di un progetto del genere, anteriormente alla creazione poi definitiva sulla terra ferma) ma quasi in ogni condominio c’era comunque un’emittente libera, per quanto fosse complicato e spesso costoso creare una sede, i problemi e pensieri non frenavano comunque una crescita divenuta abnorme e incontrollabile in pochissimo tempo.
Era quindi possibile ipotizzare che la libertà, l’economicità e la facilità di ingresso sul web tanti anni dopo avrebbero rimesso in gioco vecchi pionieri sfrattati dal progresso e atavici appassionati del medium, ma è stato cosi solo in parte e non sicuramente con gli stessi numeri e, anche se è impossibile da misurare, neanche lontanamente con lo stesso entusiasmo.
Se pur creare una radio amatoriale sul web risulta abbastanza semplice e poco oneroso, non si è verificato nessun assalto in massa alla diligenza per una serie di molteplici motivazioni, alcune spiegabili altre meno.E’ sicuramente venuto a mancare quell’aspetto di piccola rivoluzione che ha contrassegnato il passato e che ha rappresentato per molti una molla importante, il poter finalmente fare sentire a tutti parole e musica non convenzionali ha certamente determinato in molti la ferrea volontà di intraprendere questo percorso.
Oggi la stessa rete che semplifica la start up di una radio crea in ogni caso grazie ai social innumerevoli possibilità di connessione e possibilità di comunicare rendendo meno efficace l’impatto radiofonico.
E se agli inizi della modulazione di frequenza anche l’emittente più piccola e dotata di pochi watt poteva comunque sognare di avere un seguito vastissimo, oggi la cruda realtà degli utenti connessi elimina qualsiasi forma di illusione ed è probabilmente questo l’aspetto più deterrente.
Il morboso legame con l’antico ”ferro” e la poca propensione alla modalità on line da parte degli ex giovani pionieri ha ulteriormente frenato la rinascita di piccole storie locali che in rete avrebbero potuto rivivere.
Insieme alle tante trasmissioni perdute, molte mai registrate e altre affidate alle insidie del nastro magnetico con una difficoltà di archiviazione che oggi fa sorridere ma che ai tempi rappresentava un ostacolo insormontabile, sembra comunque essersi perduta in molti casi anche la voglia di rimettere in moto la passione di un tempo, e per chi invece era troppo giovane per giocare a creare una radio nel 1975 oggi anche la beffa di essere cresciuto troppo nel frattempo per vivere con l’entusiasmo di un ragazzino la nuova avventura telematica.
Non torneranno più i tempi in cui si litigava per accaparrarsi un’ora di trasmissione nel primo pomeriggio, lo spazio più ambito, niente più guerre alla ricerca di dischi da suonare prima dell’emittente rivale, oggi nell’epoca della musica liquida fare radio è sicuramente più facile ma anche meno ribelle. (U.F. per NL)