Le crisi economiche, è noto, le pagano quasi sempre i soggetti più deboli. Non si sottrae alla crudele regola il mercato radiofonico italiano, che in queste ultime settimane sta registrando i primi s.o.s. disperati. Che ovviamente provengono dalle piccole stazioni, soprattutto quelle editorialmente fragili, che stavano aspettando il momento giusto per vendere baracca e burattini, puntando sul costante rialzo del mercato delle frequenze che, fino ad ora, non aveva mai fatto registrare tonfi, ma solo rilanci. Però poi è arrivata la crisi e i cordoni delle borse dei (soliti) compratori si sono stretti. Così più di qualcuno che aveva tentato l’azzardo è rimasto con le pive nel sacco. Perché ora, con zero pretendenti fuori dalla porta, volenti o nolenti occorrerà rimboccarsi le maniche e cercare di sopravvivere fino alla ripresa del mercato, quando, probabilmente, si ravviverà anche il trading delle frequenze che, ormai si sa, probabilmente si fermerà quando il mercato si sarà stabilizzato a livello editoriale, commerciale e finanziario. E la maturazione definitiva del settore radiofonico è stimata dagli analisti da tempo intorno ai 500 emittenti tra commerciali e comunitarie (rapporto 200/300), oltre ad una cinquantina di superstation e le solite nazionali (oggi, complessivamente, operano circa un migliaio di emittenti in mano a circa 800/900 soggetti; NB: nel 1990 erano quasi 5000!). E, a proposito di nazionali, da qualche settimana a questa parte si è tornato a parlare di un probabile prossimo avvicendamento nella proprietà di una nota emittente nazionale da tempo corteggiata da un gruppo multimediale desideroso di raddoppiare la propria presenza in FM. I nomi del venditore e del compratore si sussurrano, ma non si dicono. Ma tanto è il segreto di pulcinella…