Stanno facendo discutere le indiscrezioni circolanti già dalla scorsa settimana tra gli operatori e raccolte e pubblicate ieri dal sito Dagospia sui dati (riservati) della prima sessione dell’indagine sull’ascolto radiofonico del nuovo istituto TER (Tavolo Editori Radiofonici), succeduta ad Eurisko, che aveva curato fino all’anno scorso la rilevazione Radio Monitor.
Secondo lo spoiler effettuato da Dagospia, le perfomance delle emittenti di Radiomediaset (R101, Radio 105 e Virgin, posto che la quarta emittente GBR/Orbital non è ancora oggetto di interesse editoriale, mentre Radio Subasio è un’acquisizione troppo recente sulle cui finalità ci sono ancora molti dubbi) sarebbero deludenti al punto da aver determinato reazioni piccate anche al vertice del gruppo multimediale di Cologno Monzese, soprattutto in conseguenza del fatto che la notevole esposizione mediatica garantita alle radio ex Finelco dalle reti televisive del Biscione non avrebbe sortito alcun effetto (così come gli interventi di potenziamento impiantistico).
In realtà, ammesso e non concesso che le indiscrezioni di Dagospia trovassero conferma allorquando i dati saranno resi pubblici, sull’indagine TER si sono formate da tempo molte nubi: un po’ per via del misterioso ritardo nella distribuzione proprio di questi dati riservati, che molti malumori ha sollevato tra gli editori e a cui non è stata fornita alcuna giustificazione (né plausibile, né meno) e un po’ per via dei riscontri sulle rilevazioni, che, secondo voci circolanti, in molti casi sarebbero del tutto incoerenti con quelli dei rilievi di Radio Monitor, soprattutto in presenza di andamenti finora costanti ma adesso profondamente stravolti (sia a riguardo di reti nazionali che locali, beninteso). Insomma, il quesito che molti si pongono è: quando i dati TER e Radio Monitor, nel bene o nel male, sono molto discordanti, a quale indagine occorre assegnare priorità di valutazione? A quella più consolidata (Radio Monitor) o a quella più recente (TER)? Il rischio di apportare correttivi in presenza di dati che si appurasse poi non essere del tutto affidabili potrebbe essere elevato. In realtà, come abbiamo più volte sottolineato su queste pagine, urge un intervento drastico sul modello stesso di rilevazione (peraltro già censurato da Agcom, che presto tornerà sull’argomento): non è possibile che nel 2017 in Italia si faccia ancora utilizzo di un sistema arcaico come il metodo telefonico CATI, basato su interviste telefoniche prevalentemente a numeri fissi (quando ormai questi ultimi sono da ricondurre ad un’utenza molto in là con l’età), dove l’effetto “ricordo” è da sempre contestato in quanto inquinato dalla notorietà del marchio a danno dell’effettivo ascolto. E ciò tanto più che attraverso gli smartphone (cioè il device in assoluto più diffuso e presente fisicamente nella vita) è ormai possibile sfruttare soluzioni software low cost che ne permettono l’utilizzo con meter in grado di profilare perfettamente l’ascolto fornendo elementi accessori utilissimi per la taratura del palinsesto impossibili da conseguire con le statistiche rese dal sistema attuale.
Non solo: è assurdo che un’emittente debba attendere mesi per conoscere il trend del proprio ascolto, rischiando di modificare il tiro su contenuti poco graditi quando ormai l’utenza è migrata verso altri player. D’altra parte, è anche vero che i riscontri oggettivi attraverso i social costituiscono sempre più spesso dati spendibili presso i centri media e gli inserzionisti che ormai non si sovrappongono o si affiancano a quelli dell’indagine ufficiale sull’ascolto, ma si surrogano al rilievo d’ascolto stesso. Insomma, mentre qualora i risultati che verranno resi noti non vengano validati da tutti i soggetti monitorati è alto il rischio che il tavolo salti nei prossimi mesi (quindi ben prima che Agcom possa imporre correttivi), non è da escludere che l’elaborazione dei riscontri d’audience via social determini la nascita di un’indagine spontanea (ed anarchica) a cui sempre più soggetti faranno riferimento. (M.L. per NL)