Diciamolo da subito: le doglianze sui dati sull’ascolto radiofonico del TER (Tavolo Editori Radio) del primo semestre 2019 di Roberto Sergio, direttore di Radio RAI, di cui di seguito diamo conto, non sono un caso solitario.
I malumori a riguardo di un’indagine d’ascolto che per la sua metodologia tende a privilegiare il ricordo (e quindi la notorietà del brand) non sono solo una presa posizione di Roberto Sergio. Sono invece estremamente diffusi; non solo tra le emittenti minori (quelle che per esiguità del campione subiscono fluttuazioni devastanti), ma anche tra le nazionali che stanno a media classifica.
Senza considerare che all’interno della compagine del controllore degli ascolti ci sono solo i controllati e manca la rappresentanza del soggetto più interessato ai dati: l’UPA, Unione Pubblicitari Associati, cioè l’ente esponenziale che raggruppa gli investitori che fanno arrivare agli editori 440 mln di euro annui. Circostanza già posta in evidenza dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
Raggiunto da NL, Roberto Sergio (che già su queste pagine qualche mese fa aveva manifestato perplessità sulla metodologia TER) ha ribadito le dichiarazioni rese all’indomani della pubblicazione dei dati del primo semestre 2019 del Tavolo Editori Radio, che non hanno premiato RAI (anche se, in realtà, la gran parte delle nazionali non ha di che gioire).
(Newslinet) – Inutile chiedere se RAI è soddisfatta delle ultime indagini TER…..
(Roberto Sergio) – Insoddisfatta dei dati, insoddisfatta del modo in cui vengono rilevati, insoddisfatta della continua fuga di notizie. Certamente i dati Ter sono un’occasione per noi per fare autocritica e analisi. Ad esempio, mi sembra evidente che l’indicazione che emerge nel complesso da questa indagine è che le persone hanno voglia di ascoltare musica, o, all’opposto, sentire dibattiti su radio quasi esclusivamente di talk. Il modello misto che ha funzionato per decenni mostra gravi perdite. Ma resta il problema di uno strumento di indagine non adeguato alla materia che analizza. Stiamo misurando abitudini di ascolto sempre più sfuggenti e fluide con una delle metriche più obsolete che possano esistere.
(NL) – Tutti sono d’accordo sul fatto che alle soglie del 2020 non si possa ancora valutare l’ascolto radiofonico attraverso le anacronistiche indagini telefoniche. Eppure si continua a farlo. Problemi di costi o paura di cambiare il modello?
(RS) – Credo che sia più che altro la paura dell’ignoto. Oggi sappiamo più o meno cosa aspettarci e il panorama di massima è noto perché il modello è di fondo immutato da anni. Una nuova metodologia che vada oltre le dichiarazioni di ascolto potrebbe davvero proporre scenari totalmente nuovi e imprevedibili. E per questo temibili.
(NL) – Gli studi effettuati negli altri paesi hanno dimostrato che con passaggio dal CATI al meter ne risentono soprattutto le top station, quelle che godono della maggiore rendita da notorietà del brand ….
(RS) – Ne sono convinto. Oggi si chiede di ricordare quale radio si è ascoltato nell’ultimo periodo. E’ chiaro che i risultati siano fortemente influenzati dalla brand awareness delle radio più forti, nonché dalla campagne di comunicazione che – non a caso – vengono fatte in concomitanza con le rilevazioni Ter. Una indagine basata su altre metodologie, come i meter, sicuramente sarebbe più veritiera.
(NL) – RAI sta investendo tantissimo sul digitale, ma si fa rilevare in….analogico. Tra breve, con l’avvio del PER (Player Editori Radio), di fatto ci sarà un meter senza costi. I dati di fruizione dell’aggregatore potranno essere resi pubblici?
(RS) – L’aggregatore di PER sarà certamente in grado di fornire i dati di accesso alle singole radio. Ancora non si sta ragionando sul loro utilizzo. Personalmente mi farò portavoce dell’opportunità di rendere pubblici i dati di ascolto da PER, non appena questi avranno raggiunto una consistenza solida. Realisticamente, entro il 2020.
(NL) E’ stato ventilato un aut aut: o si cambia o RAI esce dal TER. Se accadesse, di fatto ci sarebbe un altro default alla Audiradio….
(RS) – Un’assenza di indagini di ascolto non fa bene a nessuno. Agli editori, agli investitori. Quindi spero che non si arriverà al default. Ma la nostra posizione è chiara: cambiare metodo. Modificare la Cati, inserire i dati di fruizione on-line, e, appena disponibili, i dati Per.
(NL) – Prevarrà il buon senso o la nota litigiosità radiofonica prenderà il sopravvento?
(RS) – Per quel che dicevo prima credo che prevarrà il buon senso, per il semplice motivo che dei dati servono. Uno stop bloccherebbe il sistema in un momento cruciale di trasformazione, con la conseguenza che gli investitori e i centri media sarebbero costretti a fare analisi in autonomia e finirebbero con il premiare di nuovo le radio più note, prescindendo dai contenuti, e sposterebbero probabilmente molti investimenti sulle piattaforme native digitali che intanto sfornano dati estremamente precisi (E.G. per NL)