Due notizie: una (forse) buona, l’altra (sicuramente) cattiva.
Partiamo dalla buona: forse, almeno una volta – e su un singolo punto – la Radio non sarà la sorella minore della televisione: come auspicato su queste pagine da tempo (questo periodico da sempre ha contestato la mancanza di uniformità sul punto del D. Lgs. 177/2005), è approdata nel preconsiglio dei ministri (CdM) – nell’ambito della riforma del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (TUSMAR) – la nuova formulazione del livello di diffusione delle radio locali. Finalmente equiparato a quello della tv, come da noi auspicato.
Meno nanismo, più utenti
Potrebbero così essere spazzate via anacronistiche tendenze al nanismo dall’interno della radiofonia locale stessa, consentendogli di fare un passo avanti. Se tutto andrà come speriamo, chi vuole – e ne ha la possibilità -, potrà espandersi fino a 30 mln di abitanti. Così come avviene già per le tv locali.
La definizione
Il testo che arriverà al CdM di oggi pomeriggio (ore 16.00) – che NL ha potuto esaminare – prevede che per “ambito locale radiofonico”, si intende “l’esercizio dell’attività di radiodiffusione sonora, con irradiazione del segnale fino a una copertura massima del 50% della popolazione nazionale”.
Pericolo alla finestra
Ora passiamo a quella cattiva.
Se, quindi, buon senso e adeguamento al mercato potrebbero avere ragione, altrettanto non si può dire per un altro elemento critico. Anzi, certamente pericolosissimo: quello della gestione della FM, principale asset della radiofonia in questa fase di avvicendamento tecnologico.
Spegnimenti progressivi e prospettici
Chi aveva pensato che l’ipotesi di uno s.o. FM/DAB+ potesse essere stata neutralizzata, deve ricredersi. Dalla finestra ha, purtroppo, fatto ingresso un altro pericolo insidioso: quello degli spegnimenti programmati. Ancora una volta, tentiamo di decrittare l’oscuro testo normativo.
Mina vagante
Come avevamo già evidenziato in altri articoli, la mina vagante è contenuta nell’art. 50 del nuovo testo del TUSMAR in valutazione al CdM, rubricato: “Gestione dello spettro elettromagnetico e pianificazione delle frequenze per il servizio di radiodiffusione terrestre“.
Cinquantino
Un articolo, il 50 (oggi 42 del D. Lgs. 177/2005) del nuovo TUSMAR su cui NL nei giorni scorsi aveva già puntato i riflettori, diffondendo contenuti che irresponsabilmente erano stati tenuti riservati agli interessati e mettendo in guardia gli operatori. Favorendo così un opportuno fuoco di copertura in sede di preconfronto istituzionale la cui efficacia è però ancora da valutare.
Nuova formulazione
Sennonché la nuova formulazione del c. 10 dell’art. 50 è ancora allarmante. Anzi, per molti versi lo è ancora più di prima.
Patto scellerato?
La nostra sensazione è che tutto nasca da un patto scellerato siglato con paesi radioelettricamente confinanti, a mente del quale l’Italia, per ottenere il massimo numero di risorse da destinare al DAB+, potrebbe essersi impegnata a risolvere questioni interferenziali FM non solo storiche, ma anche potenziali.
In sicurezza solo RAI
In pratica, si sarebbe svenduta la FM non coordinata a livello UIT (Unione Internazionale delle Telecomunicazion). Cioè tutte le frequenze FM italiane. Tranne quelle della RAI, che alle conferenze internazionali è sempre stata presente con proprie delegazioni.
Testo e testate in CdM
Il testo recita “L’Autorità adotta il piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica, tenendo conto del grado di sviluppo della radiodiffusione sonora in tecnica digitale. Nelle more di una effettiva diffusione della radiodiffusione sonora in tecnica digitale, il Ministero, in coordinamento con l’Autorità, procede ad attività di ricognizione e progressiva razionalizzazione dell’uso delle risorse frequenziali in tecnica analogica in particolare al fine di prevenire o eliminare situazioni interferenziali con i paesi radio-elettricamente confinanti, ed incoraggiare l’efficiente uso e gestione delle radiofrequenze, tutelando gli investimenti e promuovendo l’innovazione”.
Traduzione
Tradotto, il Mise (rectius, gli Ispettorati Territoriali) dovranno effettuare una “ricognizione” delle situazioni interferenziali FM esistenti con gli Stati esteri e risolverle attraverso una “razionalizzazione dell’uso delle risorse frequenziali in tecnica analogica“, incoraggiando “l’efficiente uso e gestione delle radiofrequenze, tutelando gli investimenti”.
Tentativi e intenti
Prima facie, sembrerebbe un bell’intento. Se non fosse che per attuarlo occorrerà (e qui cerchiamo di tradurre l’intento sotteso) spegnere le emissioni interferenti attuali e potenziali (quindi quelle che potrebbero interferire frequenze assegnate agli stati esteri, anche se non utilizzate), dando agli attuali utilizzatori frequenze di altri in (apparente) esubero.
Ridondanza. Inesistente
Il problema è che le seconde frequenze, se sono state acquisite, una ragione ce l’hanno. E quindi, se venissero forzatamente revocate per riassegnarle a terzi, determinerebbero un deficit di copertura.
Inoltre, l’occupazione di fatto della FM non è gestibile come con un piano delle frequenze originario (ex ante) e quindi ogni situazione è di fatto singolare e difficilmente replicabile.
Nessuna equivalenza
Quindi una frequenza revocata a qualcuno in un sito, da destinare a qualcun altro in una postazione differente, potrebbe innescare interferenze interne. Vanificando decenni di autoregolamentazione. (M.L per NL)
foto antenne di Floriano Fornasiero