Il dibattito sulla vitalità della radio tradizionale è più acceso che mai negli Stati Uniti. Sul punto è intervenuto anche Eric Rhoads, direttore di RadioInk, testata di riferimento del settore radiofonico negli States, che in un editoriale ha risposto a chi ha parlato di morte della radio “as we know it” per mano dei podcast e – in generale – dell’on-demand.
Secondo Rhoads in quest’affermazione c’è molta esagerazione, che è una caratteristica della comunicazione enfatica dei media: “date ai media una piccola notizia cattiva, la faranno diventare una catastrofe; datagli una possibilità di colpire un medium avversario per qualche dollaro, faranno tutto quello che possono per distruggere il rivale – ha scritto nell’editoriale, aggiungendo anche che – sono sufficienti due fallimenti di realtà radiofoniche perché gli altri media dicano che la radio soccombe ai tempi moderni”.
I fallimenti cui il direttore si riferisce sono quelli dei due più grandi gruppi radiofonici USA, iHeart Radio e Cumulus, effettivamente presentati dai media come catastrofi indicative di un settore non più in salute e insidiato dall’on-demand.
Secondo Rhoads, invece, la radio è un’industria forte, in salute e produttiva e gli episodi citati sono fisiologici: entrambe le realtà avevano fatto ricorso al credito in misura esagerata, alimentando una politica di espansione poco oculata, fino al punto da non essere più in grado di saldare il debito accumulato. La controprova che Rhoads porta ad esempio è la prosperità degli affari di David Field: il CEO di Entercom Communications (broadcaster radio statunitense), infatti, sarebbe stato molto prudente in fatto di acquisti in un momento in cui altri gruppi sono stati molto più frenetici ed espansivi, resistendo alle critiche che lo avrebbero voluto non più competitivo nel giro di pochi anni. Secondo Rhoads, l’attuale solidità di Entercom è dovuta proprio al comportamento misurato e conservativo di Field.
Secondo questo modo di vedere, si tratta di una storia di modelli di business funzionali e non, che per questo sono stati corretti dal mercato, con la bancarotta. In definitiva, il fallimento è positivo per tutto il settore, che ne esce rafforzato nei suoi modelli più efficienti, ma anche per le stesse iHeart e Cumulus, che grazie alla bancarotta possono depurarsi della spada di Damocle dei debiti e continuare il proprio core business, che è invece solido e in crescita. Come solido resta il settore radio, secondo Rhoads, che sebbene abbia perso un po’ di ascolti, si difende molto meglio di televisione e stampa.
“Fear not (non abbiate paura, ndr) – conclude il direttore Rhoads – non ci sono cattive notizie; dobbiamo assicurarci di raccontare per intero e correttamente quello che accade e continuare a mostrare agli inserzionisti il ROI (return of investment, ndr) che la radio produce. Fear not, la radio è viva e vegeta”. (P.B. per NL)