Dalla giornata di venerdì 06/11/2020 e almeno fino al pomeriggio del 08/11/2020 molte società italiane che forniscono servizi di hosting web e streaming audio a centinaia di emittenti radiofoniche per l’ascolto delle trasmissioni via internet, hanno subito la paralisi delle proprie infrastrutture server.
Lo streaming black out
Da quanto successivamente accertato l’interruzione è stata conseguenza di un sequestro comportante inibizione all’accesso a masse di indirizzi IP impartito dall’A.G. ed attuato dalla Guardia di Finanza, intervenendo presso i principali operatori di rete nazionali.
Centinaia di stazioni offline
“Dalle informazioni raccolte presso i predetti operatori, sembra che il procedimento penale impulsivo della misura cautelare sia stato istruito dalla Procura della Repubblica nell’ambito di un’operazione di contrasto alla pirateria audiovisiva. Il blocco, ordinato ai richiamati operatori italiani, ha reso impossibile la fruizione (oltre che delle piattaforme pirata) di centinaia di stazioni regolarmente autorizzate all’esercizio dell’attività di radiodiffusione”, spiega Stefano Cionini, avvocato di MCL Avvocati Associati, studio incaricato di intervenire sulla vicenda da alcuni dei principali streaming provider italiani.
Le ipotesi
“In un primo momento gli enti interessati avevano ipotizzato un problema tecnico sulla rete italiana. Tuttavia, già nelle prime ore di sabato 07/11/2020, le notizie dell’azione repressiva della GdF verso siti e piattaforme ospitanti contenuti illeciti avevano indirizzato l’accertamento della disfunzione verso l’ipotesi di un blocco di indirizzi IP riconducibili a tali attività. Inibizione che, però, per cause ancora da verificare, aveva interessato anche streaming (radiofonici) assolutamente legali“, interviene Massimo Rinaldi, ingegnere di Consultmedia.
Pesca a strascico?
“Perché ciò possa essere accaduto non è al momento chiaro. L’inibizione degli streaming legali potrebbe essere stato causato da un effetto “pesca a strascico” che, agendo su gruppi di indirizzi IP attraverso il blocco di maschere di sottorete (subnet mask), ha inibito la funzionalità di servizi estranei alla vicenda. Tuttavia, alcuni enti sono venuti a conoscenza che all’interno delle piattaforme illegali erano proposte anche liste di radio nazionali e locali, attraverso la collazione di IP pubblici dei servizi di streaming leciti”, osserva Rinaldi.
Le richieste alla Procura
“Alla luce di quanto sopra, anche in considerazione del fatto che per ripristinare – comunque con l’inevitabile ritardo – l’operatività delle stazioni ingiustamente compromesse, i provider di streaming hanno dovuto, con notevole dispendio tecnico ed economico, attuare nuove configurazioni, è in corso un accertamento sulla questione“, sottolinea l’avv. Cionini.
Riflessioni sulle infrastrutture tecniche dell’emittenza italiana
Se da una parte i principali provider di servizi streaming italiani hanno ovviato all’inconveniente reindirizzando le emittenti clienti al massimo nell’arco di 36 ore (come nel caso di NewRadio, InMyStream, Fluidstream e XDevel, dimostratisi estremamente tempestivi), dall’altra si sono registrati fermi ben più prolungati, che hanno posto in evidenza la fragilità di taluni servizi.
Criticità che impongono un rapido ed efficace adeguamento, per evitare l’esposizione ad altri casi del genere.
Il lockdown, quand’anche soft, valorizza l’ascolto IP
Tuttavia, l’incidente ha portato alla luce la reale portata dell’ascolto in streaming, da qualche editore considerato fino a qualche giorno fa poco più che un accessorio. Anche e soprattutto in quanto intervenuto in un week-end di sostanziale lockdown in numerose aree del territorio italiano (si noti, sul punto, la ripartizione degli ascolti di un caso tipico rilevata da Statcast nell’immagine d’apertura).
E’ il momento di aggiornare il modello allo streaming professionale
“Dopo il week-end di fuoco, Consultmedia mi ha chiesto uno studio su quanto accaduto per la propria clientela”, spiega Giorgio Barinetti, datacenter designer & network engineer.
“In prima battuta ho quindi tracciato alcune linee guida e le prime verifiche da effettuare sugli streaming audio e video, demandando approfondimenti sui casi specifici di ogni stazione”, continua l’informatico.
I suggerimenti di Barinetti
“In primo luogo, l’attuale indirizzo esportato verso gli aggregatori non dovrebbe essere propagato in forma numerica, ma come nome DNS. Nel caso l’indirizzo di streaming pubblicato sia numerico, è necessario creare la entry DNS dal pannello di controllo del gestore del dominio internet dell’emittente che punti verso l’IP dell’attuale streamer.
Indi, occorre aggiornare le terze parti e gli eventuali puntamenti dagli streamer sulla regia. Effettuato ciò, è consigliabile adottare più server. Nella configurazione del DNS si andranno quindi a definire più server con lo stesso nome host”, conclude Barinetti.
Upgrade.stream
Sulla stessa linea di intervento un altro tecnico noto nel settore, Adriano Ronchi (che di recente su queste pagine ha trattato compiutamente il tema dell’audio design IP): “L’emergenza dello scorso week-end ha accelerato un processo che avevamo avviato attraverso il dominio upgrade.stream (di proprietà della società Upgrade s.r.l. di Milano, ndr), per cui è terminata ieri la propagazione definitiva”.
La soluzione definitiva
“Ad esempio, dal nome DNS upgrade.stream:9280 (cioè lo streaming definitivo della stazione, ndr), in caso di necessità, è possibile reindirizzare il flusso su un’altra macchina mantenendo invariato l’indirizzo sia per encoder che per i vari device. Quindi senza la necessità di doverlo aggiornare presso un centinaio di aggregatori, con tempi di inattività anche di diverse settimane“, conclude Ronchi. (E.G. per NL)