Con due sentenze gemelle depositate in questi giorni, il TAR Lazio ha avallato, poiché motivato in maniera “completa e congrua”, l’orientamento recentemente espresso dal Dipartimento per le Comunicazioni del Ministero dello Sviluppo Economico in merito alla legittimità di impianti radiofonici ceduti da soggetti non concessionari ed operanti in regime di sospensiva a soggetti muniti di concessione, a nulla rilevando, per i successivi passaggi di proprietà, la declaratoria di perenzione del giudizio di impugnativa sul mancato rilascio del decreto concessorio.
L’orientamento espresso dal Collegio merita di essere esaminato per gli interessanti profili affrontati (costituendo un importante precedente giurisprudenziale aderente all’orientamento dottrinale più volte avallato su queste pagine). Andando per ordine, c’è subito da chiarire che le compravendite oggetto d’esame giudiziale sono quelle poste in essere dopo l’entrata in vigore della L. n. 122/1998 (30/04/1998), autorizzate dall’innovazione introdotta dal suo art. 1, comma 7. A tal proposito, nei giudizi de quibus, era sorta contestazione tra la ricorrente (asseritamente pregiudicata nei suoi interessi legittimi dall’esercizio del diffusore controverso) ed il resistente Ministero su quale interpretazione dovesse essere fornita all’espressione “provvedimenti della magistratura”, in riferimento alla possibilità di disporre liberamente delle detenute risorse radioelettriche, assentita anche a quei soggetti che avevano proseguito l’attività in forza di ordinanza cautelare di sospensione degli effetti del diniego ministeriale al rilascio della concessione per lo svolgimento dell’attività di radiodiffusione. Sul punto, l’adita Autorità giudiziaria ha evidenziato che il legislatore ha chiaramente sposato un’accezione ampia del termine “provvedimenti” (tesi della controinteressata titolare del diffusore acquisito a titolo derivativo ex art. 1 c. 7 L. 122/1998), non intendendo limitare la portata della norma esclusivamente a quelli definitivi (tesi della ricorrente). Il TAR, difatti, non ha ritenuto all’evidenza ragionevole l’interpretazione restrittiva della disposizione – che avrebbe rischiato di porsi in contrasto con la ratio legislativa (di natura sanatoria) – per ribadire un principio già radicato nel nostro ordinamento giuridico. La norma avrebbe dovuto essere letta, per intenderci, in chiave derogatoria della precedente disciplina di cui al D.L. n. 546/1996 – convertito con modificazioni dalla L. n. 650/1996 – poiché, se l’intendimento del legislatore fosse stato quello di riferirsi ai soli provvedimenti definitivi (le sentenze passate in giudicato, per intenderci), il tema delle cessioni tra soggetti eterogenei dal punto di vista amministrativo (soggetto concessionario e soggetto in aspettativa di concessione) non si sarebbe neanche posto. Gli effetti di un’eventuale sentenza di accoglimento del ricorso, infatti, avrebbero rimosso quelli pregiudizievoli del rigetto ministeriale opposto, costituendo titolo per il rilascio della concessione. A supporto del proprio convincimento, inoltre, il Collegio ha attinto alle linee guida emanate dal Ministero delle Comunicazioni ai fini dell’interpretazione dell’art. 1 della L. n. 122/1998 – recante la data del 04/11/1998 – dalle quali ha tratto conferma di come la disciplina di cui al sopra richiamato comma 7 dovesse applicarsi a tutti i soggetti che nel settore della radiodiffusione operavano in forza di titoli di genesi amministrativa ovvero giudiziale. In stretta connessione con il thema decidendum, poi, il TAR si è pronunciato sulla natura e sugli effetti della c.d. perenzione. Come noto, a seguito della recente riforma del processo amministrativo, l’A.G.A. ha dovuto – per quanto concerne il settore di nostro interesse – mettere mano a tutti quei giudizi instaurati dai soggetti che, avendo ricevuto diniego al rilascio della concessione ex L. n. 223/1990, si erano rivolti al Giudice amministrativo (molte volte ottenendo la sospensione dell’atto impugnato) omettendo poi di procedere alla formulazione dell’istanza di prelievo per incentivare la decisione nel merito del ricorso. In tali casi – ha chiarito il Collegio – la pronuncia di rito (il decreto di perenzione), quale provvedimento estintivo del giudizio, “incide solo sul rapporto processuale tra le parti in causa”, discendendo da ciò che “(…) una volta intervenuta la sospensiva ai fini dell’esercizio della radiodiffusione, e non essendo stata successivamente pronunciata sentenza irrevocabile di rigetto (…), debbono ritenersi legittimi sia il pregresso esercizio dell’attività (…) sulla base delle mera presentazione della domanda di concessione ai sensi della legge n. 223/1990, sia il successivo atto di disposizione medio tempore (…) posto in essere, con la cessione del ramo di azienda (…)”. Ovviamente, il quadro di riferimento tracciato dall’intervenuto Collegio non prescinde dagli altri requisiti dettati dall’art. 1, comma 7, della L. n. 122/1998 per impianti asserviti ad emittenti operanti in regime di sospensiva. Tali risorse, difatti, non devono essere risultate inattive ai controlli effettuati dalla competente Amministrazione ed operare in condizione di non interferenzialità con terzi legittimi utilizzatori dello spettro radioelettrico di riferimento (nel senso evidentemente di non risultare produttrici di turbative e non già di essere sottoposte a interferenze, patendo le stesse ma non arrecandole). Concludendo, non si può fare a meno di evidenziare la breccia che la pronuncia in questione aprirà nelle stanze di taluni Ispettorati Territoriali del MSE-Com, con particolare riguardo a quello per la Lombardia, inclini ad un’interpretazione restrittiva della normativa de qua. Mutatis mutandis, non vi è dubbio che la pronuncia costituisca – ad oggi e salvo smentite nell’eventuale successivo grado di giudizio – un importante precedente che ben potrebbe essere posto alla base di istanze di riesame di provvedimenti restrittivi adottati dagli organi periferici sulla specifica materia. (S.C. per NL)