Tre emittenti locali di spessore hanno lasciato l’etere nel mese di giugno 2017. L’evento non farebbe particolare notizia – considerato che negli ultimi due anni la riduzione del novero delle 900 stazioni locali concretamente attive (a fronte di 1.100 titoli concessori in circolazione) è una tendenza che si è molto intensificata – se non fosse che tutte e tre avevano sede nel ricco Veneto. Ad aver cessato le trasmissioni sono Top Radio (ex Top Oderzo Centrale), storica emittente che aveva sede nell’omonima cittadina in provincia di Treviso con diffusione a cavallo tra Veneto e Friuli; Radio Adige, importante stazione veronese fondata da Antonio Grigolini – l’imprenditore del Pollo Arena – nel 1976 con grande dispiego di mezzi e la combattiva Radio Universal, anch’essa con sede a Verona. Le prime due sono state acquistate dal gruppo RTL per potenziare l’emittente principale e l’emergente rock station Radio Freccia; la terza è stata rilevata, caso piuttosto infrequente di questi tempi, da un’altra radio locale (la vicentina Stella FM). Dicevamo che è un trend che non stupisce: prima la crisi economica (che pure si sta risolvendo), poi il tramonto di un certo modello di radiofonia (quello tradizionale locale), indi l’avvento di nuovi competitori sul piano pubblicitario (verso i quali reggono il confronto solo strutture radiofoniche in grado di offrire volumi di audience consistenti) e contestualmente la riduzione degli storici potenziali inserzionisti (i piccoli operatori locali, fagocitati dalla GDO, che a sua volta ora sente il fiato sul collo della concorrenza degli OTT della vendita online). Per converso, come abbiamo avuto modo più volte di scrivere, i grandi player radiofonici hanno la necessità di consolidare le proprie posizioni di dominio in vista di un avvicendamento tecnologico (quello IP) che spazzerà via le attuali e antiche regole, prima fra tutte la titolarità della piattaforma distributiva dei contenuti. In un lasso di tempo da qui a 10-15 anni le grandi emittenti dovranno drenare quante più risorse possibili, perché poi lo schema di business cambierà nella direzione delle soluzioni “rich media”, tipiche dei formati pubblicitari online che uniscono audio, video, animazioni con l’obiettivo di creare un’esperienza sempre più interattiva e coinvolgente per il fruitore, organizzata secondo modalità che non si potrebbero ottenere con i singoli mezzi considerati separatamente, in linea coi principi guida dell’evoluzione dei media: la metamorfosi e l’ibridazione (di cui la cd “programmatic adv” è una declinazione). Non è infatti un caso che quegli stessi player che stanno comprando a man bassa impianti FM (anche, va detto, in considerazione del crollo dei valori, ridottosi di 3/4 rispetto a 10 anni fa e con una tendenza alla diminuzione progressiva del 5-10% annuo in quelli a venire) stanno alacremente procedendo proprio nell’ibridazione del medium, non solo presidiando piattaforme differenti da quella in modulazione di frequenza (in primis DTT, poi IP, sat, DAB+), ma anche rendendo la radio sempre più visual, con la radiovisione o l’audiografica statica o dinamica, in genere interregno per passare alla soluzione visiva completa. E’ un ciclo che si chiude contestualmente all’apertura di un altro: come quando nel 1976 tramontò l’epoca del monopolio di una RAI ingessata e non più allineata ai mutamenti socio-culturali-economici, lasciando ampio spazio a quelle radio locali e libere che oggi escono di scena; come quando, nella metà degli anni ’80, la televisione commerciale scippò ai grandi giornali il primato della raccolta pubblicitaria grazie a possibilità comunicative immediate e dinamiche, che oggi – in rigida applicazione della legge del contrappasso – gli OTT sfruttano per sottrarre risorse pubblicitarie ai broadcaster; come quando il supporto audiovisivo smaterializzato cambiò il modello di business dell’impresa discografica. Che dopo un prolungato stordimento comprese il cambiamento, adattandovisi e tornando a crescere. Come accadrà alla radio. (M.L. per NL)