Pagine web non funzionanti, grafiche sconnesse, dati non aggiornati e scarsa adattabilità a browser diversi da Internet Explorer: così può essere sintetizzato lo scenario costituito dalla maggior parte dei siti web delle emittenti private (radio e tv) italiane.
Un panorama vecchio di oltre dieci anni e paragonabile a quel periodo in cui i siti web venivano realizzati per lo più da utenti inesperti con software di fortuna (e rigorosamente gratuiti). Questi sono i colori della triste realtà multimediale italiana, dove molti di coloro che, dalla fine degli anni ’90 in poi, hanno pubblicato siti web per la propria radio o tv si sono dimenticati di aggiornarli (qualcuno perfino di averli, a quanto pare). E non ci si riferisce esclusivamente al pessimo senso estetico di molti di questi, ma anche a date e palinsesti, talvolta abbandonati a se stessi e contenenti informazioni vecchie di mesi, forse addirittura di anni; a problemi tecnici rilevanti, dove l’intro è sempre (e piacevolmente) “skippato” perché lento, pesante e aritmico; a loghi inguardabili e mai rinnovati perché – è una scusa per non pagare debitamente un grafico o un web designer – considerati un pezzo di storia dell’emittente del caso, che non deve obbligatoriamente rimanere al passo coi tempi, quando per farlo sarebbe sufficiente delineare meglio i bordi pur senza cambiare il soggetto (ed invece si finisce per sfoggiare immagini e scritte paragonabili ad incisioni rupestri). Senza contare che in molti casi la navigazione sui relativi domini è garantita solo per mezzo di Microsoft IE e diventa impossibile con qualunque altro dei browser più comunemente utilizzati dagli utenti (Mozilla Firefox, Google Chrome, Apple Safari), così tralasciando l’importanza di avere un dominio fruibile su più piattaforme. A questo si aggiungano poi anche stralci di codici HTML purtroppo riconoscibili, flussi streaming inadeguati e template caotici, tanto da non permettere la distinzione delle voci dei diversi menù. Viene naturalmente da chiedersi quale sia la ragione di questo generale disinteresse. Sembra, infatti, che da molti editori il web non sia mai stato percepito come uno strumento versatile e multimediale, nonché utilizzabile per promuovere la propria attività o (molto più importante) fidelizzare i propri utenti e permetterne l’integrazione con i propri beniamini (conduttori e dj). Insomma, fatta esclusione degli operatori nazionali, la maggiorparte delle emittenti locali non ha ancora trovato il modo (o non l’ha cercato?) per sfruttare il web a proprio vantaggio. Ed il panorama delle telecomunicazioni italiano è ora abbastanza vasto e multimediale da consentire l’integrazione tra i diversi mezzi sia per la creazione di palinsesti misti (radio e tv), sia per l’innovazione delle strategie pubblicitarie online che, sebbene ancora lontane dal divenire indipendenti dal resto, potrebbero facilmente integrarsi ai metodi tradizionali di raccolta pubblicitaria. Ma l’Italia rimane ferma al paleolitico di internet, forse convinta che ascoltatori e telespettatori si accontentino dei contenuti e poca importanza attribuiscano al resto. Ma i contenuti delle emittenti incriminate (fare nomi non è necessario) sono davvero così moderni da giustificare la scarsa evoluzione dei propri spazi sul web? Forse, come suggerisce qualcuno nei più affollati forum di radioamatori, i numeri del web (accessi, utenti unici e attivi, frequenze dei click) spaventano l’emittenza locale perché rivelano una realtà scomoda, che la diffusione in etere non potrà mai completamente svelare: quanti sono gli ascoltatori effettivamente sintonizzati? Su internet, purtroppo, mentire è impossibile. (M.M. per NL)