L’obbligo di tenuta del registro programmi ex Del. 54/03/CONS ai sensi dell’art. 20 c. 4 L. 223/1990 è da considerarsi vigente anche dopo l’abrogazione operata dall’art. 54 c. 1 lettera i) D. Lgs. 177/2005?
Come già illustrato in analisi precedenti, con parere reso in data 21/10/2010 dal Consiglio di Stato riunito in Adunanza Generale nell’ambito di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, con istanza di sospensiva, proposto da una radio locale contro l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, avverso la sanzione per una pretesa irregolare tenuta del registro dei programmi ex art. 20 c. 4 L. 223/1990, è stata dipanata la vexata quaestio sull’obbligo di tenuta del libro di stazione a seguito dell’abrogazione di tale norma operata dall’art. 54 c. 1 lettera i) del D. Lgs. 177/2005. Nel merito, la Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario con il quale l’emittente radiofonica aveva impugnato, chiedendone la sospensiva, una delibera del giugno 2009, con la quale l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva ingiunto di pagare la somma di € 1.032,00, per l’asserita violazione dell’obbligo di regolare tenuta del registro dei programmi, imposto dal citato art. 20, comma 4, della legge 223/1990. A sostegno del gravame, la ricorrente aveva dedotto una serie di censure, mentre l’Agcom, nelle proprie controdeduzioni, nel sostenere il permanere dell’obbligo di tenuta del registro dei programmi, anche successivamente all’entrata in vigore del D. Lgs. n. 177/2005, aveva concluso per l’infondatezza di tutti i motivi di gravame. Per parte propria, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel trasmettere il ricorso in parola per il parere di competenza, si era limitata a far proprio l’assunto dell’Agcom. Il ricorso era quindi stato trattato dalla Sezione nell’Adunanza del 29/09/2010, nella quale era stato deciso di rimettere l’esame all’Adunanza Generale del Consiglio di Stato. Nel disaminare la questione in sede non giurisdizionale, il supremo organo di giustizia amministrativa aveva considerato che il provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria, impugnato avanti Capo dello Stato, si sorreggeva sull’asserita violazione, da parte della ricorrente, del più volte citato art. 20, comma 4, della legge n. 223/1990 sotto il duplice profilo del mancato tempestivo aggiornamento settimanale del registro dei programmi e della irregolare scritturazione delle annotazioni sul registro. Con i primi tre motivi di gravame, che ad avviso del Consesso consultivo potevano essere congiuntamente esaminati, l’istante aveva denunciato l’illegittima applicazione del citato art. 20, comma 4, della legge n. 223/1990, dal momento che tale norma era stata abrogata dall’art. 54 del T.U. n. 177/2005. Né l’obbligo stesso avrebbe potuto essere rinvenuto nell’art. 51 dello stesso T.U. – che aveva contraddittoriamente mantenuto in vita la sanzione per la violazione dell’art. 20, comma 4, della legge n. 223/1990 -, posto che, non potendovi essere sanzione in assenza del presupposto obbligo, la sua persistenza nel T.U. del 2005, avrebbe dovuto essere ricondotta ad un mero difetto di coordinamento legislativo, derivante dalla circostanza che era, invece, restato in vigore il (diverso) obbligo, anch’esso sancito dall’art. 20, di conservare la registrazione dei programmi trasmessi per i tre mesi successivi alla data della loro trasmissione. Neppure l’obbligo in questione avrebbe potuto radicarsi nelle norme regolamentari emanate dall’Autorità, trattandosi di fonte secondaria, non suscettibile di sopravvivere, in ossequio al principio di legalità e di gerarchia delle fonti, all’abrogazione della norma primaria che ne era a fondamento. Osservava quindi l’Adunanza Generale che l’art. 20 della legge n. 223/1990, recante gli “obblighi concernenti la programmazione dei concessionari”, prevedeva, al comma 4, che “I concessionari privati devono tenere un registro, conforme al modello approvato con decreto del Ministro delle poste e delle telecomunicazioni e bollato e vidimato in conformità alle disposizioni dell’articolo 2215 del codice civile, cui devono essere annotati settimanalmente i dati relativi ai programmi trasmessi, nonché la loro provenienza o la specificazione della loro autoproduzione”. La violazione di tale obbligo era sanzionata dall’art. 31 della stessa legge, ma l’art. 54, comma 1, lett. i) del D. Lgs. n. 177/2005, recante il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, aveva in realtà abrogato espressamente, al n. 9, l’art. 20 comma 4, e, al n. 13, l’art. 31 della legge n. 223/1990. Peraltro, mentre le sanzioni contemplate dall’art. 31 avevano trovato la loro nuova disciplina negli articoli 51 e 52 del T.U., l’obbligo di cui all’art. 20, comma 4 della legge n. 223/1990 non risultava più riprodotto. Sennonché, l’art. 51 del T.U., indicando le sanzioni di competenza dell’Autorità, recitava testualmente: “L’Autorità applica, secondo le procedure stabilite con proprio regolamento, le sanzioni per la violazione degli obblighi in materia di programmazione, pubblicità e contenuti radiotelevisivi, ed in particolare quelli previsti: (…) d) dall’articolo 20, commi 4 e 5, della legge 6 agosto 1990, n. 223, nonché dai regolamenti dell’Autorità, relativamente alla registrazione dei programmi”. Si era, quindi, determinato un paradossale contesto normativo in cui, a fronte dell’espressa abrogazione dell’obbligo di un determinato comportamento, sussisteva la sanzione per la violazione dell’obbligo stesso. L’Agcom, nelle proprie difese, affermava la persistenza dell’obbligo in questione sulla base di argomentazioni che, sia pure esprimendo esigenze meritevoli di considerazione, non erano apparse condivisibili dal CdS, in quanto, ad avviso del medesimo, acquistava rilievo determinante, in presenza dell’abrogazione espressa della norma fondatrice dell’obbligo di tenuta del registro e del conseguente venir meno della certezza circa la sopravvivenza di un tale obbligo, l’esigenza di un’interpretazione della normativa di settore orientata a privilegiare la libertà del soggetto rispetto alla soggezione alla sanzione, esigenza racchiusa nella formula del “favor rei”, applicabile all’esercizio di qualunque potere punitivo. I principi di legalità e di certezza del diritto postulavano, ad avviso dei giudici riuniti in funzione consultiva, “che le norme di condotta, la cui violazione debba essere giuridicamente sanzionata, siano poste con chiarezza e non siano, quindi, frutto di procedimenti ermeneutici, per loro natura opinabili“. Nel caso che interessava, andava poi detto, innanzitutto, che l’affermazione dell’Autorità circa l’eccesso di delega in cui sarebbe caduto l’art. 54 del T.U. n. 177/2005 nel disporre l’abrogazione dell’art. 20, comma 4, della legge n. 223/1990, da un lato non era idonea ad autorizzare l’applicazione, in via amministrativa, di quest’ultima disposizione, dall’altra non induceva, anche alla luce dell’ampiezza della delega conferita, dubbi di spessore sufficiente a consentire al Consesso chiamato ad esprimersi di sollevare la relativa questione di costituzionalità innanzi al giudice delle leggi. Né avrebbe potuto ritenersi che la sussistenza attuale dell’obbligo fosse desumibile dalla persistenza della sanzione: una siffatta affermazione postulava, infatti, una non consentita inversione della logica ermeneutica, dal momento che, nell’ordinamento giuridico, è la sanzione a trovare la sua ragion d’essere nella violazione di un obbligo di comportamento positivamente stabilito e non viceversa. Peraltro, nel caso di specie, non avrebbero potuto neppure invocarsi i principi elaborati con riguardo alle norme penali, secondo i quali dette norme contengono sia il precetto sia la sanzione, essendo il primo, normalmente, non enunciato esplicitamente, ma soltanto sottinteso nella determinazione della seconda. Le norme penali, infatti, nelle ipotesi in cui non muniscono di sanzione precetti che già trovino la loro fonte e il loro riconoscimento originario in altri rami del diritto, contengono, comunque, la descrizione del fatto penalmente rilevante nel quale è insito il precetto. Nella questione trattata, invece, la sanzione era stata comminata, dall’art. 51 del T.U del 2005, con riferimento alla violazione di un comportamento preso in considerazione solo in quanto imposto da un’autonoma prescrizione, onde, una volta espunta quest’ultima dall’ordinamento giuridico, sarebbero venuti a mancare gli elementi essenziali per ricondurre all’interno della disposizione sanzionatrice anche la fattispecie infrattiva. Del resto, nella legge n. 223/1990 precetto e sanzione erano disciplinati separatamente, la seconda come conseguenza della violazione del primo, onde non si vedeva come l’art. 51 del T.U. n. 177/2005 – che aveva recepito solo il contenuto dell’art. 31 – potesse essere interpretativamente dilatato per farvi rientrare l’affermazione di un obbligo che, nel testo di provenienza, gli era sicuramente estranea. Le argomentazioni di cui sopra valevano anche a confutare l’assunto dell’Autorità secondo la quale la persistenza dell’obbligo di cui trattasi sarebbe stata confermata dalla novella legislativa del 2008, che, innalzando l’importo della sanzione, avrebbe presupposto la sua attuale applicabilità. Ed invero, l’art. 8-decies del D.L. del 2008, nell’adeguare gli importi edittali delle sanzioni di competenza dell’Autorità, ad avviso del Consesso, si limitava a fare rinvio tralaticiamente, tra le altre, anche alla previsione di cui alla lettera d) dell’art. 51, che richiamava a sua volta, come si era detto, l’abrogato comma 4 dell’art. 20, onde non si rinveniva in esso alcun elemento indicatore di un’espressa e consapevole volontà del legislatore, volta a confermare la persistenza dell’obbligo di cui trattavasi. Quanto, poi, alla possibilità, prospettata dall’Autorità, di rinvenire l’obbligo di tenuta del registro nelle disposizioni regolamentari da essa dettate, il CdS osservava che, in disparte il rilievo che il potere regolamentare poteva esplicarsi su materie autorizzate dalle norme primarie o espressamente da queste delegificate, ma mai in contrasto con queste ultime, stava di fatto che la sanzione prevista dall’art. 51 del T.U., per quel che riguardava la tenuta del registro dei programmi, faceva riferimento esplicito alle ipotesi di violazione dell’obbligo di cui all’art. 20, comma 4, della legge n. 223/1990, mentre richiamava i regolamenti dell’Autorità solo per quel che concerneva la “registrazione dei programmi”, che era fattispecie (diversa) contemplata dal comma 5 dell’art. 20, non abrogato. In ogni caso, la stessa Autorità, nel provvedimento impugnato, si era limitata a richiamare unicamente la delibera n. 54/03/CONS del 19/02/2003 e, in particolare, l’art. 3, comma 1, lettere a), b) ed f), nonché la delibera n. 136/06/CONS. Orbene, la prima di tali delibere dettava solo i criteri per la compilazione del registro dei programmi, sul presupposto evidente dell’esistenza dell’obbligo di tenuta di cui all’art. 20, comma 4, della legge n. 223/1990 ; mentre la seconda delibera riguardava le procedure per la irrogazione delle sanzioni. Quanto, poi, al regolamento n. 435/01, invocato, peraltro, solo in sede di memoria difensiva, anche a voler ritenere che esso fosse stato “legificato”, secondo l’affermazione dell’Autorità, in forza del richiamo contenuto nel T.U. del 2005, lo stesso affermava, bensì (art. 6), l’obbligo di cui era causa , ma esclusivamente con riguardo alla radiodiffusione televisiva terrestre in tecnica digitale, onde non sembrava potersi applicare per analogia alla radiofonia, tenuto conto, oltretutto, che la regolamentazione di quest’ultima, sempre in tecnica digitale, era demandata, dall’art. 19 del T.U. al diverso regolamento di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 112/2004, i cui estremi l’Autorità neppure aveva citato. D’altra parte anche la pronuncia del T.A.R. del Lazio, n. 2767 del 07/06/2007 (richiamata dall’Agcom), che aveva affermato che “l’obbligo di tenuta del registro dei programmi, nonostante l’intervenuta abrogazione dell’art. 20, IV comma, della legge 6/8/1990, n. 223, sembra permanere alla stregua di quanto prescritto dall’art. 51, I comma, lett. d) del T.U.R. (D. lgs. 31/7/2005, n. 177) in combinato disposto con la fonte regolamentare dell’Agcom”, appariva scarsamente indicativa, trattandosi di pronuncia resa in sede cautelare, a seguito di sommaria valutazione, la quale, oltretutto, neppure citava il regolamento dell’Autorità al quale aveva inteso riferirsi. Aggiungeva quindi il Consesso che anche ove, in ipotesi, si fosse voluto accedere alla tesi dell’Autorità, secondo la quale il precetto contenuto nell’art. 6 del reg. n. 435/01 sarebbe stato idoneo a supplire all’abrogazione del più volte citato art. 20, comma 4, tale conclusione non avrebbe precluso l’accoglimento del gravame, giacché, in disparte il rilievo che l’art. 6 citato non risultava essere stato posto a fondamento del provvedimento impugnato, lo stesso imponeva la compilazione del registro dei programmi con periodicità “mensile”, laddove la sanzione era stata comminata alla ricorrente per violazione dell’obbligo di tenuta “settimanale”, alla stregua di quanto sancito dalla norma primaria. Per completezza, andava, ancora, affermato che la sanzione non avrebbe potuto considerasi legittimamente irrogata neppure con riguardo all’affermata non conformità delle annotazioni al modello predisposto. A tale riguardo, infatti, risultava fondato, in parte qua, il quarto motivo di ricorso, con il quale l’interessata aveva dedotto la mancata menzione, in sede di contestazione , di tale infrazione e la necessità non solo di una nuova comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio, ma anche quella di una previa diffida volta a consentire al destinatario di emendare la (diversa) irregolarità riscontrata. Per le ragioni sopra esposte secondo il CdS il ricorso straordinario doveva essere accolto, restando assorbita dalla decisione di merito quella sull’istanza cautelare. Il parere del CdS ha all’evidenza una portata potenzialmente dirompente, potendo incidere sulle centinaia di sanzioni irrogate dall’Agcom che, se non revocate in autotutela, determinerebbero palesi disparità di trattamento. Pur nella sua chiarezza interpretativa, il parere del CdS ha tuttavia ancora alcuni aspetti da approfondire, quali, ad esempio, alcuni obblighi positivi dell’ordinamento giuridico che richiamano il vincolo alla tenuta di un registro di programmi che, in punto di diritto, è stato abrogato dall’entrata in vigore del D. Lgs. 177/2005. E’ il caso, ad esempio, del vigente art. 3 del D.P.R. 680/1996 che prevede l’obbligo di esibizione del registro programmi ex art. 20 c. 4 L. 223/1990. Nulla quaestio, invece, e come detto in narrativa, sulla vigenza dell’obbligo di tenuta della registrazione magnetica degli ultimi 90 giorni di programmazione sancito dall’art. 20 c. 5 L. 223/1990. In definitiva, nelle more di una definitiva consacrazione delle espressioni del CdS o di una (probabile) reintroduzione della norma abrogata nell’ordinamento giuridico nell’ambito del primo provvedimento legislativo utile, le emittenti analogiche sono vivamente consigliate, anche per ragioni di convenienza (provvidenze/contributi), a proseguire nella tenuta del registro programmi, anche se il non farlo non potrà costituire ragione di contestazione da parte degli organi di vigilanza. (M.L. per NL)