Diretta o trasmissioni pre-registrate? Torniamo dopo qualche mese su un argomento che certamente riscalderà gli animi dei sostenitori dell’essenza della live radio.
E’ questo il dilemma che la gran parte degli operatori radiofonici si è posta almeno una volta. Sebbene possa sembrare una scelta quasi ininfluente ai fini della messa in onda, in realtà si tratta di due modalità profondamente differenti con cui costruire l’identità della propria stazione, in grado perfino di incidere sulle preferenze degli ascoltatori e sulla loro fidelizzazione. Come spesso accade in questi casi, risulta difficile sostenere l’assoluta convenienza dell’una soluzione piuttosto che dell’altra, presentando entrambe pro e contro.
C’è chi guarda alla diretta come una scelta limitante dal punto di vista dell’originalità e della sperimentazione, tipica di una radio troppo tradizionale e soggetta ad imperfezioni – o addirittura ad errori – del messaggio trasmesso.
James Cridland, studioso del settore nonché “radiofuturologo”, ha addirittura definito la diretta radiofonica come una roulette russa, proprio a sottolineare l’aleatorietà che la caratterizza. Al contrario, la post produzione consente un maggior controllo dei contenuti e riduce praticamente a zero il rischio di scivoloni in cui persino gli speaker professionisti possono incappare. Si pensi, ad esempio, al momento dell’intervista in diretta: essa richiede un’elevata capacità di gestione non solo del tempo ma anche dell’interlocutore, il quale non sempre risulta avvezzo ai ritmi radiofonici e la cui capacità di comunicazione e sintesi può lasciare a desiderare.
La post produzione riduce a zero tali inconvenienti del mestiere, ma non solo. Essa consente anche di sperimentare soluzioni innovative e tecnologiche che rendano il format fortemente riconoscibile e, in alcuni casi, decisamente all’avanguardia, portando al contempo la qualità del suono a livelli ottimali grazie ad interventi tecnici a posteriori (secondo quanto sostenuto dallo stesso Cridland sulle pagine di radioinfo).
Allora cosa spinge la maggior parte delle radio che ascoltiamo a prediligere la soluzione della diretta? Di fatto, essa sembra ancora essere considerata l’essenza stessa della radio.
Niente di retorico se si pensa a tutto ciò che il live è in grado di offrire all’ascoltatore rispetto ad una registrazione. La perfezione della trasmissione pre-registrata finisce alla lunga con l’appiattire il format, sottraendolo al “brivido” che solo la diretta è in grado di assicurare. L’errore umano può quindi diventare un efficace spunto per vivacizzare un blocco di programma o per dare il via all’improvvisazione.A ciò si aggiungono le breaking news, il cui commento e approfondimento può essere garantito solo dal live, che consente agli speaker di “stare sul pezzo” e di tenersi pronti a dar spazio ad aggiornamenti e novità.
La diretta, in fondo, è da sempre parte integrante del lavoro del professionista radiofonico – sia esso giornalista, tecnico o conduttore – e la bravura sta proprio nel gestirla e nel cavalcare eventuali inconvenienti o errori con naturalezza e prontezza di spirito.
Si pensi soltanto ad alcuni dei mattatori per eccellenza della radiofonia (primo fra tutti Fiorello), per i quali la diretta costituisce un terreno in cui dar sfogo alla propria creatività, approfittando di ogni spunto – e, quindi, anche di imprevisti, errori o interviste sui generis – per fare spettacolo e liberarsi dalla gabbia della scaletta.
In definitiva, la versatilità e l’imprevedibilità sono parte del bello della radio, oltre che elementi determinanti per chi punta al coinvolgimento dell’ascoltatore. (A.C. per NL)