(La Stampa.it) – Tra le tante megacompagnie che di questi tempi navigano in cattive acque, ce n’è anche una che ha direttamente a che fare con musica e tecnologia: Sirius XM. Il simbolo della radio satellitare Usa è sull’orlo della bancarotta, alle prese con una tranche di debito da 175 milioni di dollari in scadenza e con il disperato tentativo di trovare un partner o un acquirente per evitare il fallimento.
Un’impresa non da poco, se si considera che il debito complessivo dell’azienda supera i 3 miliardi di dollari e che il suo modello di business presenta diversi punti deboli che lo rendono assai poco accattivante, soprattutto in questo periodo storico: dal filo diretto che la lega con la sofferente industria automobilistica (la maggior parte dell’ascolto di Sirius XM avviene tramite i sintonizzatori installati sulle automobili) alla concorrenza spietata di servizi Web più economici da gestire e più vantaggiosi per i consumatori.
C’è molto da imparare dalla travagliata esperienza della radio satellitare negli Stati Uniti. Dopo aver ottenuto le licenze per trasmettere programmi radiofonici via satellite nel 1992, le due società rivali Sirius e XM hanno impiegato un decennio per costruire e rendere operative le infrastrutture necessarie. Quando hanno finalmente iniziato a trasmettere i loro programmi, come scrive Fahrad Manjoo su Slate, erano già obsolete.
La progressiva concorrenza di Internet non ha però agito soltanto sul piano della tecnologia (dove indubbiamente l’avvento delle web radio e la distribuzione universale di musica online hanno fornito agli utenti un’alternativa più ricca e interattiva alla radio tradizionale). Sirius XM ha patito ancora di più il cambiamento dei paradigmi industriali (e del clima finanziario), che hanno reso il suo modello insostenibile dal punto di vista economico.
In quanto a offerta radiofonica, Sirius XM infatti funziona più che bene. I suoi canali tematici offrono contenuti di qualità, piacciono al pubblico, al punto che sono quasi venti milioni i cittadini americani che spendono circa tredici dollari al mese per ricevere la radio satellitare. Eppure, non bastano. Tutti i soldi degli abbonamenti finiscono in un maelstrom che ingoia cento milioni di dollari all’anno per la manutenzione dei satelliti e oltre un miliardo di dollari per le spese in royalties, stipendi e altri costi di programmazione.
A fregare Sirius XM, insomma, è la sua struttura pachidermica, costosissima, resa ancor più pesante dalla decisione di pagare super-stipendi ai suoi conduttori più famosi, per portarli in esclusiva sul satellite (da Oprah Winphrey a Marta Stewart, da Bob Dylan fino al record di Howard Stern, pagato 500 milioni di dollari in cinque anni).
La Internet imprenditoriale risorta dal crollo della “new economy” del 2001 ha insegnato l’arte della leggerezza, dell’agilità imprenditoriale, dei costi ridotti all’osso (e dei profitti e degli stipendi ricalibrati di conseguenza). Un esempio che esula dal mondo della radio ma che ci fa capire bene alcune proporzioni: la società di blogging Twitter ha ricevuto nei giorni scorsi un finanziamento di 35 milioni di dollari, con il quale – si legge su Wired – potrebbe andare teoricamente avanti per anni a offrire il suo servizio, gratis, a milioni di utenti. Con gli stessi soldi, Sirius XM pagherebbe giusto quattro mesi di stipendio a Stern.
Si ripete spesso, anche a ragione, che una delle grandi pecche del Web è la sostanziale assenza di un reale ed efficace modello di business in molte delle sue attività più conosciute (da Facebook a MySpace, passando per i giornali online). Il gratis è talmente diffuso che anche le aziende spesso non guadagnano un euro. Non deve essere però molto più sano un sistema in cui, pur avendo dicianove milioni di utenti paganti, una società rischia il fallimento.