Ne avevamo già dato conto quando ancora girava la bozza dell’infausto D.L. 34/2011 (c.d. "decreto omnibus"), che con ogni probabilità diverrà legge senza modifiche rispetto al testo governativo.
La necessità di sfruttare ogni ritaglio di frequenza UHF e VHF per salvare quante più possibile tv locali, private, tanto per cominciare (perché, come anticipato, non finirà qui), di 9 essenziali frequenze (i canali 61/69 UHF) per dare ai telefonici la materia prima per sviluppare la banda larga mobile, taglierà le gambe anche allo sviluppo del DAB+ per indisponibilità di risorse radioelettriche. L’argomento merita il necessario approfondimento, anche perché per nulla trattato non solo dai media specializzati, ma anche e soprattutto dalle disattente associazioni di categoria delle radio e tv locali, puntuali solo nei lamenti a cose fatte. Per disaminare alcuni aspetti della controversa questione, ancora una volta, ci affidiamo a una riflessione del giornalista esperto di cose radiofoniche Andrea Lawendel, che, come noi, ha letto nel D.L. 34/2011 un ulteriore ostacolo per l’affermazione della radio digitale terrestre, peraltro in un momento tecnologico in cui, viceversa, sarà dato un colpo di frusta all’espansione del mobile streaming (sia per il citato potenziamento programmato della banda larga in mobilità, che per l’inizio della distribuzione di autoradio connesse ad internet). "Io non contesto il fatto che l’Italia si sia in qualche modo adeguata a normative che sono anche europee", esordisce Lawendel commentando l’introduzione dell’ordinamento di regole attraverso l’inusuale formula del decreto legge, peraltro modello Finanziaria dei bei tempi (si fa per dire) che furono. "A fare specie è il solito stile dei decreti "omnibus", che certo non fanno il gioco della semplificazione e di una generale mancanza di trasparenza procedurale che oltretutto non favorisce l’approccio consultivo e partecipativo che dovrebbe essere tutelato da Agcom. Ripeto per l’ennesima volta che non sono un giurista, ma noi stiamo scontando ancora adesso il peccato originale di una legge, la Mammì, che ha fotografato e trasformato in norma non più aggirabile la totale anarchia che aveva caratterizzato una ventina d’anni di corsa degli imprenditori radiotelevisivi locali e di violento consolidamento (altrettanto anarchico, e mi spiace utilizzare questo termine quando si dovrebbe parlare semplicemente di illegalità) che ha portato alla costituzione di un duopolio circondato da una miriade di emittenti locali prive o quasi di qualsivoglia peso politico – precisa Lawendel – Non è colpa del Ministero o di Agcom, intendiamoci, ma è chiaro che la situazione attuale non fa altro che sancire quello che si sapeva da anni: all’epoca della Mammì non c’era altra soluzione che azzerare tutto, mettersi intorno a un tavolo e riassegnare pazientemente le frequenze sulla base di una accurata analisi e una altrettanto severa pianificazione. In quella sede avremmo anche dovuto indennizzare e incentivare gli editori rimasti inevitabilmente fuori. Lo spettro è una risorsa limitata e in Italia, praticamente unico caso al mondo, per i vent’anni che hanno precedeuto la Mammì abbiamo fatto tutti finta di ignorare questo elementare principio. E adesso ci ritroviamo con una dicotomia tra due editori di serie AAA+ qualcuno di serie B e una miriade di serie Z. In più, uno dei due editori di serie AAA+ è anche titolare del potere di governo". "Diciamo però la verità – precisa sulla questione della radio digitale uno dei maggiori esperti italiani della materia – sul destino probabilmente infausto del DAB in Italia pesa molto di più la triste vicenda della possibile cessione della proprietà infrastrutturale della RAI, oggi gestita da RaiWay. Oggi questa proprietà rientra in quella rischiosa categoria dei "gioielli di famiglia" che nelle nazioni in crisi come la nostra (oltretutto privi di reale volontà di pianificare una exit strategy degna di tale nome) inducono a fare cassa chiudendo gli occhi su ogni possibile prospettiva futura. Vista la sua centralità nell’ambito di una cooperazione pubblica-privata in cui la RAI è chiaramente il soggetto principale, nel momento in cui RaiWay non dovesse più controllare la, la progettazione, la manutenzione e l’evoluzione dell’infrastruttura trasmissiva, la prima vittima sarà il piano di sviluppo di una rete DAB oggi quanto mai carente. Mi spiace dover continuamente assumere il ruolo del profeta di sventura, ma con le prossime elezioni ammnistrative siamo ufficialmente entrati in una campagna elettorale che durerà due anni e in cui il berlusconismo – non inteso come futuro politico di Berlusconi, che ha davanti unicamente una lunga e serena vecchiaia, ma come sopravvivenza di un’intera generazione di mediocri complici del regime – giocherà tutte le sue carte: frantumazione anche costituzionale del potere indipendente della magistratura e definitiva, granitica assunzione del principio, anch’esso neocostituzionale, che l’Italia è una repubblica fondata sul lavoro di Mediaset. Tutto il resto non conta assolutamente nulla e in un tale contesto la radio digitale è e sarà sempre l’ultima delle nostre preoccupazioni". (A.M. per NL)