Stiamo seguendo con attenzione il fenomeno dell’integrazione del medium radiofonico su altre piattaforme diverse dalla FM (in termini tecnici “ibridizzazione”) e in particolare sul DTT e su Internet, nella consapevolezza che la radio che si ascolterà, vedrà e leggerà nei prossimi cinque anni sarà multisensoriale, con sempre maggiori velleità audio-visivo-testuali ed un vincolo più che una propensione all’adattabilità ad ogni dispositivo in grado di ricevere flussi a/v.
Relativamente al DTT, la tendenza delle emittenti radio a domiciliarvisi discende dalla constatazione che da almeno un ricevitore FM/AM nel 99% delle abitazioni dotate di allacciamento elettrico del 1990, si è scesi all’attuale 55% in progressiva, rapida, diminuzione.
Ciò significa che mentre sul 100% delle autovetture prodotte da almeno 15 anni a questa parte è installato uno strumento di ricezione radiofonica, fruito da oltre l’80% degli ascoltatori della radio, nel 45% delle case degli italiani se si vuol ascoltare le trasmissioni radiofoniche si deve attingere allo smartphone, al pc o, quasi sempre, alla tv.
Causa ed effetto della situazione di cui sopra è la progressiva scomparsa nei punti vendita di elettronica del ricevitore radio, sia nella sua declinazione tradizionale che in quella dell’autoradio.
Si tratta di un segno di un profondo cambiamento dei tempi in atto ormai da qualche anno: nessuno compra più un ricevitore radiofonico per il semplice motivo che non ve n’è esigenza: l’ascolto in cuffia è appannaggio dello smartphone, quello casalingo avviene attraverso il pc o la tv, quello in auto con autoradio captive, quasi sempre impossibili da sostituire perché un tutt’uno con il cruscotto.
A rafforzare la tendenza, la decisione, già trapelata in diversi cda di storici produttori di ricevitori FM portatili, di cessarne la produzione in un lasso di tempo di 5 anni, andando meramente ad esaurimento con le scorte.
Ma che fine farà l’FM?
Sul punto appare credibile che la Modulazione di Frequenza abbia ancora una importanza significativa nei prossimi 15 anni, ma con un’erosione costante da parte degli altri device nell’ordine del 5-10% annuo, con l’effetto che anche i valori economici degli impianti dovrebbero ridursi secondo percentuali simili, anche se non necessariamente identiche.
La rinnovata corsa all’acquisto degli impianti FM da parte dei player radiofonici più importanti trova una precisa logica nella combinazione di quattro fattori:
• la crisi di quelle piccole radio locali incapaci di rimanere su un mercato in corso di completa modificazione;
• il crollo dei valori delle frequenze FM, che le rende molto più accessibili;
• la necessità di consolidare posizioni da parte dei grandi operatori favorendone le rendite in attesa di un confronto tra fornitori di contenuti puri, privi di controllo proprietario o possessivo dell’infrastruttura diffusiva;
• la valutazione che la sostituzione dei ricevitori in modulazione di frequenza in dotazione alle automobili con quelli IP abbraccerà un periodo connesso alla progressiva sostituzione del parco auto in esercizio.
Con questa chiave di lettura trovano interpretazioni convergenti azioni tattiche superficialmente tra loro scollegate, come il presidio radiofonico del DTT e del sat con soluzioni di “radiovisione” e “audiografica”, il consolidamento degli aggregatori di flussi streaming per l’ascolto indoor e outdoor e l’impiego del formato DAB+.
La radio locale continuerà ad esistere, ma distinta non già in funzione dell’area di copertura, quanto dal progetto editoriale che troverà la sua conclamazione nella geolocalizzazione: le autoradio ci indicheranno oltre alle radio divise per tema anche quelle specifiche di un dato territorio.
Ciò comporterà la definitiva archiviazione delle distorsioni attuali basate sulle infrastrutture diffusive: non vincerà più chi ha segnali migliori ma chi saprà attirare e trattenere più a lungo o più frequentemente l’utente.
Ad ovviare al rischio di una frammentazione del comparto, posta l’accessibilità a mezzo milione di flussi streaming soccorreranno, per organizzare e selezionare, i citati aggregatori, veri e propri motori di ricerca che agevoleranno la creazione di un menù di 35 stazioni suggerite sulla base delle abitudini del suo utilizzatore, fermo restando il libero arbitrio.
Il principale collettore di flussi streaming è il noto TuneIn (proiettano verso 150.000 canali), mentre altri aggregatori di rilievo sono: My Tuner (40.000 stazioni), Internet Radio (39.000 stazioni), Radio.it (30.000 stazioni), Radio Guide, Streema (10.000 stazioni) ed il nazionale FM-World. Funzioni aggregatrici sono poi svolte indirettamente da iTunes per conto di costruttori di IP Radio.
E’ facilmente intuibile che le applicazioni degli aggregatori radiofonici sostituiranno in breve le singole app, sia perché è impensabile che l’utente possa congestionare il desk-top telefonico con le icone delle varie radio, sia perché le applicazioni bouquet risulteranno sempre più efficienti senza esigere continui (e costosi) upgrade da parte degli editori.
Non solo, è molto probabile che gli aggregatori (quantomeno i più importanti) divengano indicatori per la rilevazione dell’ascolto e importanti snodi per il digital audio broadcasting, evoluzione della pubblicità radiofonica con promettenti margini di sviluppo per il futuro.
Sull’argomento torneremo con ulteriori successivi approfondimenti, data la sua importanza e rapida evoluzione. (intervento esclusivo di Massimo Lualdi per il blog Consulenza Radiofonica)