Come preannunciato qualche mese fa su queste pagine, è iniziata la vendita presso la grande distribuzione delle prime autoradio IP (cfr. foto).
L’iniziativa è ovviamente da ricondurre ai due noti fenomeni di cui abbiamo parlato a fondo: l’avvento delle automobili interconnesse (anche in conseguenza ad un protocollo di sicurezza internazionale) e lo sviluppo della connettività in mobilità in vista dell’introduzione delle nuove stazioni di telefonia a 5G, a regime dal 2020. Inoltre, dal 2017 dovrebbero essere resi disponibili i primi pacchetti per la connessione via smartphone con tariffe flat che consentiranno (a certe condizioni) di superare il deterrente del limite mensile di GB all’ascolto radiofonico (Vodafone ha già lanciato la sua offerta per una fruizione senza limiti di GB a 4G ed è atteso per il 2017 un provvedimento UE sulla materia, sotto la forma giuridica di un regolamento, di una direttiva o anche solo di una decisione o di un parere, posto che sono giacenti a Bruxelles molti stimoli in materia). Considerato che la radio è per quasi l’80% un mezzo fruito in automobile, è chiaro che lo sviluppo del car-web (verso il quale le case automobilistiche hanno un’attenzione massima, come dimostra questo intervento di Michael Hill al Radio Days Europe) porterà a riscrivere molte dinamiche consolidate dell’era FM: dagli aspetti amministrativi (ad esempio ambiti diffusivi ormai anacronistici, quali la differenziazione tra locale e nazionale, per la quale urge un intervento del legislatore) a quelli della rilevazione d’ascolti (oggi si confrontano mele con pere, facendo paragoni assoluti sul contenuto tra radio che servono il 70% della popolazione ed altre che ne illuminano il 95%, col rischio di determinare inopportune correzioni su format che in realtà andrebbero benissimo come sono), dall’approccio commerciale (lo spot lascerà sempre più spazio alla gestione degli eventi e soprattutto alle quote di retrocessione da parte degli operatori tlc verso i fornitori di contenuti che svilupperanno valori aggiunti) alla produzione di contenuti specifici in conto terzi (attraverso un’evoluzione del superato modello di radio instore). Medio tempore l’ascolto della radio sarà multipiattaforma, probabilmente attraverso l’utilizzo di un codice trasversale che darà modo al ricevitore di commutare il contenuto da FM a DAB e IP – e viceversa – in caso di caduta del segnale, in attesa che, entro una quindicina d’anni, il vettore sarà esclusivamente domiciliato su un protocollo internet (in alcuni paesi del nord Europa l’ascolto indoor via IP ha già superato quello via etere). Il nodo principale che gli editori dovranno sciogliere sarà tuttavia quello degli aggregatori, cioè le piattaforme che raccolgono gli indirizzi IP dei flussi streaming delle singole emittenti indirizzandoli ai ricevitori, salva ovviamente la facoltà dell’utente di inserire manualmente la stazione preferita. Con oltre 200.000 stazioni potenzialmente raggiungibili in contemporanea ed una sopportabilità dell’utente di 30/35 stazioni (questo è il limite superiore dei contenuti che un singolo utente tende a memorizzare), è chiaro che lo scoglio da superare è quello dell’emersione dal mare magnum dell’indifferenziazione. A riguardo, se è ancora presto per definire Tune-In come il player OTT del segmento, posto che non è ancora scesa in campo Google, che pure sta studiando l’applicazione Google Radio per l’automotive, è ormai certo che il futuro si scriverà su liste di emittenti geolocalizzate e suddivise in formati anche molto diversi col minimo comune denominatore costituito dall’informazione car oriented nella più vasta estensione del termine (news, traffico, meteo, ecc.). E’ quindi molto probabile che in un futuro non molto lontano Tune In o gli altri aggregatori verso i quali il ricevitore punterà proporranno, a seconda del territorio in cui viaggia l’auto, una lista dinamica di stazioni ipotizzate come di probabile gradimento per un utente opportunamente preprofilato. (M.L. per NL)