Il primo programma radiofonico su IP risale al 1993, allorquando Carl Malamud lanciò “Internet Talk Radio”, un talk show dove ogni settimana veniva ospitato un esperto di computer a beneficio della ristretta platea di esperti. Un esperimento poco più che esoterico, invero.
Nel novembre 1994 un concerto dei Rolling Stones è stato il primo diffuso nel cyberspazio e nello stesso mese hanno preso l’avvio i programmi test sul web della stazione FM americana WXYC con tecnologia SunSite, in seguito denominata Ibiblio (risale a quel periodo il software RealAudio, che avrebbe dato il via allo streaming audio come oggi lo conosciamo).
Nel 1995 nacque NetRadio.com, prima stazione dichiaratamente a livello internazionale su piattaforma IP, anticipando di un anno l’avvio della veicolazione del palinsesto integrale in simulcasting web/FM di Virgin Radio London.
Esattamente 20 anni fa, nel maggio 1997 avviò i suoi programmi su internet la canadese Radio306.com (ora Pure Rock Radio), che è oggi la più antica radio esclusivamente web ancora in funzione (ed è da tale data che convenzionalmente si fa decorrere il webcasting postsperimentale).
Dal 2000 in poi, la maggior parte delle stazioni radio Internet ha aumentato la qualità dei flussi, poiché la larghezza di banda è diventata più economica, con bitrate tra i 64 e 128 kbps, in quest’ultimo caso con qualità audio prossima a quella di un cd.
Tuttavia, la fruizione delle trasmissioni radio via internet non ha mai superato la soglia critica di rappresentatività, non certo per i contenuti, quanto a causa dei costi di connessione in mobilità (la radio ha, da diversi decenni, un ascolto prevalentemente outdoor) ed ai limiti tecnologici degli smartphone per la fruizione con continuità, con consumo della batteria in testa.
Ora, mentre il problema del consumo è in via di superamento (tanto per fare un esempio non ai top di gamma, il nuovo LG X Power è uno smartphone low cost che garantisce un funzionamento continuo per oltre 15 ore) e le tariffe sostanzialmente flat (tetto di 30-40 GB/mese) faranno il loro ingresso in Italia nel 2018, in effetti le critiche più accese dei broadcaster tradizionali (cioè via etere) sono che l’accesso alla rete non è capillare e diffuso come quello della AM o della FM e, soprattutto, l’infrastruttura diffusiva dei gestori di telefonia non sarebbe in grado di sostenere un accesso contemporaneo di milioni di utenti su un singolo flusso streaming e, comunque, qualora lo fosse, i costi sarebbero insostenibili per le emittenti.
Ma è veramente così?
Tanto per cominciare, lato capillarizzazione della telefonia, è sotto gli occhi di tutti lo sviluppo delle celle telefoniche a 4G (e prossimamente a 5G).
Per esempio, in Italia ad oggi Vodafone copre 6900 comuni, sui 7978 esistenti, con tecnologia 4G (1100 con 4G+), TIM 7093 (841 con 4G+), 3 Italia 2204 e Wind 1644.
Secondo dati di OpenSignal risalenti ad esattamente un anno fa, per quanto riguarda la copertura, le reti 4G di Vodafone sono le migliori, con utenti fruenti tecnologia LTE per il 75% del tempo; seguono TIM con il 68% del tempo e, molto dopo, Wind e 3 con soglie inferiori al 50%. Insieme, i quattro player offrono una copertura del 58% più bassa rispetto ai dati fatti registrare in molti altri paesi europei, ma recuperano le performance nella velocità di trasmissione dei dati, dove troviamo in prima posizione 3 Italia e Vodafone (laddove la prima è aiutata dalla copertura inferiore e dalla disponibilità soprattutto nelle grandi città). Sotto questo profilo, i due gestori offrono una velocità media di 19,6 e 18,7Mbps in download, seguiti da Telecom Italia con 17,5Mbps e Wind a 10Mbps su reti 4G.
Va molto bene in Italia la rete 3G che, con una velocità media di 6Mbps, è fra le più veloci al mondo (del resto, gli operatori italiani, si legge sul report di OpenSignal, hanno investito parecchio sulle reti HSPA+ prima dell’arrivo del 4G LTE). Anche in questo caso è di Vodafone la rete 3G più performante fra quelle disponibili in Italia. Da sottolineare che i dati degli studi di OpenSignal sono stati raccolti dagli utenti che usano l’applicazione su dispositivi iOS e Android e si basano sull’uso reale dello smartphone. A differenza dei test simulati, la società si basa su “milioni di smartphone” posseduti da gente comune. Le misurazioni vengono prese in background, sia in spazi interni che esterni, sia in città che in campagna, e sono più realistici, a detta di OpenSignal, rispetto ai dati ufficiali divulgati dalle società telefoniche o da quelli raccolti da test effettuati in condizioni decise arbitrariamente. “Le già rapide reti italiane stanno per diventare ancora più veloci grazie agli sforzi di TIM e Vodafone, che continuano ad aggiornarle. Entrambi gli operatori già supportano le reti LTE con bande di frequenze multiple, e hanno utilizzato ad utilizzare le tecnologie LTE Advanced per aumentare le velocità”, si legge nelle conclusioni del report di OpenSignal. Infine occorrerà verificare la situazione di 3 e Wind, che terminata la razionalizzazione delle reti conseguenti alla fusione creeranno un unico operatore nazionale più grande di Vodafone e TIM in termini di clienti e con una combinazione di potenzialità 4G estremamente rilevante, anche se la vera novità dirompente potrebbe essere costituita dall’ingresso degli OTT nella distribuzione della connettività low cost (o addirittura gratis secondo una politica di gestione dei big data) ed elevata velocità con satelliti geostazionari a bassa quota (ci sono progetti in tal senso per 500 o anche 1000 satelliti, come quello di Space X) o con droni, come sta già sperimentando Facebook in alcuni paesi sottosviluppati quanto ad infrastrutture tlc.
Superata a piè pari questa criticità evidenziata dagli operatori radiofonici, rimane quella relativa agli accessi contemporanei, che, allo stato attuale, diventano complessi da gestire al di sopra dei 10.000 (cifra oggettivamente ridicola, se raffrontata al 1,3 mln di ascoltatori nel quarto d’ora). Ma è solo questione di algoritmi di compressione. Si pensi, a riguardo, che in un solo anno Netflix, attraverso un nuovo codec per i download, ha risparmiato il 36% della banda impiegata e, soprattutto, che ha in corso test per consentire di vedere un contenuto con buona qualità su smartphone utilizzando solo 100 kbps di banda (audio escluso). “Il mobile riveste un ruolo sempre più importante in Netflix”, ha spiegato recentemente a DDay Todd Yellin, il Vice President of Product Innovation di Netflix, anticipando come il suo ingegnere Ioannis Katsavounidis sia riuscito, in soli 100 kbps di video e 56 kbps di audio a raggiungere una qualità che è almeno tre volte migliore di quella che oggi il miglior encoder riesce a produrre. Alzando i livello di compressione a 250 kbps si riesce ad ottenere una resa HD-like, e Katsavounidis conferma che scalando il sistema sul 4K probabilmente potrebbero bastare 8 mbps per offrire uno streaming video Ultra HD che, ad una distanza di visione adeguata, sarebbe indistinguibile dallo stesso video che occupa cinque volte lo spazio. Insomma, con questi numeri, entro 5 anni 10.000 utenti contemporanei potranno divenire tranquillamente 10 milioni. (M.L. per NL)