Gli editori sul banco degli imputati trascinano un po’ tutti: stato assente, network cannibali, speaker poco avvezzi al sacrificio, giornalisti troppo esosi, agenti pubblicitari non all’altezza, tecnici approssimativi.
La difesa degli imputati, ovviamente, addossa ogni responsabilità alla proprietà, accusata di ingerenze in ogni settore e miopia negli investimenti.
Ma prima di trovare colpevoli ed emettere condanne definitive è sempre meglio riflettere sulle ragioni degli uni e degli altri e rendersi conto che, come spesso capita, la verità sta nel mezzo.
Sicuramente un peso che grava sulle spalle di tutti è stato l’errore di voler battere le radio nazionali sul loro territorio, pur non avendone minimamente i mezzi. Un po’ come voler sconfiggere il Barcellona puntando sul possesso palla.
E quindi sin dagli anni ’90 tutti a comprare processori audio costosissimi, regie automatiche di ultima generazione e il microfono uguale a quello usato da Albertino.
Poco importava se alla fine di tutte queste spese non restava più nulla per pagare il personale; però il suono era molto simile a quello di Radio Dee Jay (senza considerare che molte orecchie comuni non sono in grado di distinguere esattamente le varie sfumature di un audio).
Poi, però, gli ascoltatori, nella propria radio cittadina, notavano programmi raffazzonati o l’improvvisa scomparsa di tutte le voci in onda sostituite dal computer, praticamente un naufragio annunciato.Individuare quali fossero esattamente le necessità tecniche ed evitare i lussi non gestibili avrebbe aiutato a incanalare le spese nella giusta direzione.
Le mire espansionistiche che spingevano per l’acquisto di frequenze spesso inutili, in ogni caso non permettevano di avere una copertura equiparabile ai grandi in possesso di un budget illimitato.
Nell’ambito della raccolta pubblicitaria i network, impediti dall’ordinamento di specie a splittare i comunicati commerciali, non hanno mai costituito concorrenza, ma hanno fatto perdere ugualmente appetibilità ai più piccoli fagocitando ascoltatori.
Conseguentemente, le aziende hanno preferito investire su cartellonistica, giornali e web.
Per molte emittenti locali l’aver raggiunto province vicine, acquisendo pochissimi nuovi utenti e ancor meno fatturato senza essere strutturate per entrare realmente in nuove città con la giusta organizzazione, alla fine si è rivelato un boomerang: tantissime spese e zero riscontri.
Quante radio possono vantare risultati fuori dalla propria provincia?
Soldi che potevano essere investiti nella crescita della propria piccola realtà per imporre il proprio marchio, migliorare la qualità del personale, motivare maggiormente i propri agenti pubblicitari garantendo un fisso mensile invece di pensare di ottenere risultati da persone mandate in giro allo sbaraglio senza alcuna garanzia con il solo miraggio delle percentuali.
Era comunque un periodo in cui l’economia viaggiava ad altre velocità nascondendo i problemi che sarebbero poi deflagrati dopo qualche anno.
Purtroppo quando poi la neve si scioglie appaiono le voragini e in tempi recenti questo ha significato svendere le frequenze superflue, in alcuni casi anche quelle necessarie, ritrovarsi con attrezzature tecnologiche costose ma superate, personale assente, cercando di combattere una guerra praticamente disarmati.
Colpa di tutti, anche dei direttori artistici che hanno giocato per ignoranza o sudditanza a copiare, senza mai riuscirci, palinsesti e playlist delle radio nazionali; colpa degli speaker di ogni regione che hanno cominciato a parlare in ”milanese” scimmiottando i dee jay più importanti; colpa degli agenti pubblicitari che hanno pensato che gli sponsor fossero mucche da mungere all’infinito.
Alla fine ci si è ritrovati completamente impreparati nel momento in cui l’economia ha rallentato e i negozi non potevano più investire solo per l’immagine ma si aspettavano un feedback concreto e non solo chiacchiere e dati di ascolto fantascientifici che spesso poi nella realtà non portavano alcun riscontro commerciale né visibilità reale.
Anche l’aver vissuto i notiziari come un obbligo di legge e non come un’opportunità per catturare e fidelizzare ascolti su uno degli aspetti più sensibili ha fatto perdere terreno.
Ma quando su tutte le emittenti va in onda lo stesso radiogiornale, prodotto dalla medesima agenzia, è chiaro come diventi impensabile ottenere risultati attraverso l’informazione.
Bisogna risorgere attraverso territorialità, notiziari autoprodotti, programmi di servizio per la città, voce alle associazioni e, cosa più importante, costituire rete con altri imprenditori, facendo ciascuno un passo indietro, disponibili a dividere oneri ed onori, rinunciando al presenzialismo a tutti i costi con la pretesa di occupare ogni ruolo.
Imparare dagli errori, riconoscere limiti e colpe e cercare di andare avanti collaborando è l’unica strada rimasta possibile.
Che senso ha continuare a sprecare risorse, anche in questi anni difficilissimi, trincerati nel proprio orticello, alla ricerca di nuovi vettori (FM, DAB+, DTT, sat, IP), senza rendersi conto che da soli diventa veramente impossibile consolidarsi e che presto, continuando in questa direzione, non ci sarà più terra da arare per nessuno e nessun giocattolo con cui giocare. (U.F. per NL)
Foto antenna Floriano Fornasiero