Radio. DAB, TAR Lazio annulla delibera Agcom 455/19/CONS recante modifiche al regolamento su avvio delle trasmissioni radio digitali. E ora?

sergio natucci, antenne dab, 455/19/CONS

Mentre Agcom procede nelle consultazioni con le rappresentanze delle emittenti radiofoniche in vista dell’approvazione del PNAF DAB, arriva la sentenza del TAR Lazio n. 08574/2022 del 21/06/2022 (pubblicata il 23/06/2022) che annulla la delibera n. 455/19/CONS del 27/11/2019, recante “Modifiche e integrazioni al regolamento recante la nuova disciplina della fase di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale, di cui alla delibera n. 664/09/CONS, come modificata dalle delibere n. 567/13/CONS e n. 35/16/CONS”.
Vediamo cosa è successo e quali sono gli effetti della decisione dei giudici romani.

La genesi della vicenda

La decisione origina da un ricorso di RAI notificato il 03/02/2020 (e poi integrato da ricorso per motivi aggiunti) all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, al Ministero dello sviluppo economico e ad una controinteressata, con il quale era stata impugnata la delibera numero 455/2019, adottata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, recante modifiche e integrazioni al regolamento sulla nuova disciplina della fase di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale, di cui alla delibera n. 664/09/CONS, come modificata dalle delibere n. 567/13/CONS e n. 35/16/CONS.

Il nocciolo della questione

Con la delibera n. 455/19/CONS nel Regolamento DAB è stata introdotta la definizione di “fornitore di contenuti radiofonici indipendente” come delineata ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 lett. hh) del Regolamento DAB.

Must carry

Inoltre, con la delibera 455/19/CONS sono state approntate misure volte a definire un obbligo di “must carry” a carico degli operatori di rete al fine di destinare parte della capacità trasmissiva degli stessi a fornitori indipendenti di contenuti radiofonici.

L’obbligo di cessione di capacità trasmissiva della RAI…

Nello specifico, attraverso la delibera 455/19/CONS, alla Rai, quale Concessionaria del servizio pubblico, è stata imposta la cessione di complessive 216 unità di capacità passando così da 864 a 648 unità e subendo dunque una riduzione del 25% della capacità trasmissiva ad essa riservata al momento della attribuzione alla Rai del blocco di diffusione di programmi radiofonici, ai sensi dell’articolo 2 bis, comma nove, del decreto-legge numero 5/2001, convertito in legge numero 66/2001.

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… e dei privati

Nei confronti degli operatori privati in ambito nazionale, invece, la delibera 455/19/CONS ha prescritto l’obbligo di cessione di 144 unità di capacità.

RAI sproporzionata

Nel suo ricorso RAI sosteneva che l’obbligo di cessione ad essa imposto non sarebbe stato proporzionato né ragionevole tenuto conto della posizione di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e degli investimenti sostenuti dalla Rai per lo sviluppo della radiofonia digitale.

Erronea equiparazione

La ricorrente poneva in evidenza che il blocco di diffusione attribuito alla concessionaria per legge sarebbe stato necessario per scongiurare il mancato conseguimento degli obiettivi del servizio pubblico radiotelevisivo e avrebbe dovuto essere, inoltre, evitata una impropria ed erronea equiparazione tra il blocco di riserva conferito alla concessionaria e quello attribuito a tutti gli altri operatori.

Congruo e incongruo

La prescrizione contenuta nella delibera impugnata numero 455/2019, che riduceva il blocco di diffusione attribuito alla Rai, sarebbe stata “irragionevole, arbitraria, iniqua e non proporzionata”. Ad avviso della ricorrente, se la quota di unità di blocco originariamente stabilita ex lege nella misura di 864 unità era stata ritenuta congrua rispetto alla offerta editoriale del Concessionario, a normativa presupposta invariata il blocco non avrebbe potuto essere ritenuto comunque congruo anche nella misura inferiore pari a 648 unità.

RAI penalizzata col must carry specifico rispetto ai privati

Inoltre, secondo RAI, l’Autorità non avrebbe illustrato le ragioni per cui la nuova quota di unità che sarebbe restata nella disponibilità della concessionaria sarebbe risultata sufficiente per il perseguimento degli obiettivi del servizio pubblico. Attribuendo ad altri operatori le 216 unità cedute dalla concessionaria, essi sarebbero stati arbitrariamente equiparati alla concessionaria stessa. Ancora più irragionevole sarebbe stata – ad avviso della ricorrente – l’imposizione alla concessionaria della cessione di una quota di capacità maggiore rispetto a quella imposta agli operatori privati.

I contenuti

Il blocco di frequenze assentito alla Concessionaria non avrebbe potuto disporre di capacità trasmissiva non utilizzata, essendo totalmente impegnato per la diffusione dei contenuti editoriali del servizio pubblico. Precisamente Rai avrebbe trasmesso su tale blocco di frequenze i seguenti programmi: Radio1, Radio2, Radio3, GRParlamento, Isoradio, RadioClassica, RadioKids, RadioLive, RadioTechetè, RadioTuttaItaliana, Radio1Sport, Radio2Indie, Radio1TAA, Radio2TAA, RaiSudtirol.

Peggio nel Trentino Alto Adige

Le conseguenze paventate sarebbero state, inoltre, ineliminabili ed ancor più evidenti per il servizio in Trentino Alto Adige, dove, a fronte di una richiesta anche minima di capacità trasmissiva da parte di fornitori di contenuti indipendenti, oltre alla riduzione della qualità tecnica dei programmi del servizio pubblico, sarebbe stata presumibilmente necessaria una riduzione editoriale nel bouquet, con eliminazione di alcuni programmi.

Il punto di vista dei resistenti

La difesa statale eccepiva, per contro, come alla Rai fosse riservato per legge un intero blocco di diffusione (multiplex), pari a 864 unità di capacità e come tale peculiare disposizione determinasse di fatto una “differenziazione” tra la posizione della Concessionaria (che disponeva della capacità trasmissiva di un intero multiplex per diffondere i propri contenuti editoriali) e quella degli altri soggetti operanti nel mercato della radiofonia digitale.

Differenze

Questi ultimi, infatti, in qualità di soci delle società consortili, “possono accedere soltanto ad una quota parte delle 864 unità di capacità fornite dal multiplex degli operatori privati: ogni socio, in ragione della propria partecipazione, avrebbe diritto a soltanto 72 unità di capacità”.

Quota residua sufficiente per il soddisfacimento dell’efferta editoriale RAI

La quota di unità di capacità che sarebbe rimasta nella esclusiva disponibilità di RAI (e consistente in 648 unità di capacità), per l’avvocatura dello Stato sarebbe stata “assolutamente sufficiente per assicurare la continuità dell’attuale offerta editoriale, sia in termini di quantità che di qualità del servizio”.

La decisione del TAR

A giudizio del Collegio il primo dei motivi di impugnazione in cui era articolato il ricorso principale risultava fondato e assorbente (mentre andavano respinti i motivi aggiunti).
Secondo i giudici amministrativi, infatti, la delibera 455/19/CONS impugnata appariva “viziata per difetto di istruttoria e per una motivazione incongrua”.

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Premesse corrette

Secondo l’Autorità giudiziaria amministrativa sebbene non vi fosse dubbio che, come affermato dall’Autorità resistente e dalle parti private controinteressate, il blocco di diffusione assegnato per legge alla Rai non fosse intangibile, potendo essere modificato al fine dello sviluppo del mercato dei fornitori di contenuti radiofonici sulla piattaforma digitale in senso concorrenziale, equilibrato e pluralista e pertanto si giustificasse un obbligo di cessione di determinate unità di capacità trasmissiva a favore di fornitori di contenuti radiofonici interessati ad entrare nel mercato digitale, andava fatto un distinguo.

Ma conclusioni errate

Infatti,“nel determinare le dimensioni quantitative dell’obbligo di cessione, l’Autorità avrebbe dovuto valutare, mediante un’adeguata istruttoria tecnica, l’incidenza sul servizio pubblico radiofonico della riduzione di capacità trasmissiva imposta, per accertare se la capacità residua possa essere sufficiente a consentire alla concessionaria del servizio pubblico l’adempimento degli obblighi ad essa imposti, senza pregiudizio della qualità tecnica dei segnali e senza l’imposizione di oneri economici sproporzionati o eccessivi”.

Delibera non motivata (adeguatamente)

Sul punto, secondo il TAR, la delibera 455/19/CONS risultava non adeguatamente motivata. “Laddove l’Autorità rileva che la concessionaria del servizio pubblico è dotata di un intero blocco di diffusione dei propri contenuti editoriali, a differenza degli operatori privati che sono assegnatari di un blocco di diffusione solo in quanto organizzati in forma di società consortile, per cui le unità di capacità assegnate al consorzio devono essere ripartite tra i diversi soci partecipanti alla società consortile – si legge nella sentenza –  l’Autorità confonde il piano amministrativo, per cui, evidentemente, le unità di capacità assegnate ad una società consortile non solo riferibili ad un unico socio, con il piano tecnico, profilo sotto il quale non spiega se le unità di capacità residue attribuibili alla Rai siano sufficienti per assicurare la continuità del servizio editoriale pubblico, senza oneri economici eccessivi o sproporzionati”.

Cosa succede ora?

A seguito della decisione del TAR Lazio che ha annullato la delibera n. 455/19/CONS del 27/11/2019, salvo provvedimenti contrari del Consiglio di Stato, che con ogni probabilità sarà adito dai soccombenti, l’Autorità dovrà “rideterminare l’obbligo di cessione di capacità trasmissiva da imporre alla Rai al fine dello sviluppo del pluralismo nel mercato della radiofonia digitale, valutando la compatibilità delle dimensioni quantitative di tale obbligo con la necessità di rispettare la funzione del servizio pubblico radiofonico, che non può essere gravato di oneri economici eccessivi per il mantenimento di una adeguata qualità di trasmissione, essendo irrilevanti le considerazioni sulla incompleta utilizzazione, da parte della Rai, delle risorse di trasmissione attualmente disponibili, essendo esse riferite ad una fase di transizione in cui la radiofonia digitale non è ancora entrata pienamente a regime”.

La sentenza

Qui per leggere la sentenza n. 08574/2022 del TAR Lazio. (M.L. per NL)

foto antenne di Floriano Fornasiero

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