Radio. DAB, sorpresa: la radio digitale non è gratis. Necessita di investimenti. E alcuni editori cadono dal pero. Un film già visto

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Sembra incredibile, ma alcuni editori radiofonici locali paiono rendersi conto solo adesso che il DAB non è gratis. Cioè, che i consorzi a cui necessariamente devono aderire – se vogliono riservarsi uno spazio di diritto nel digitale via etere (inteso come accesso alla capacità trasmissiva in caso di assegnazione del diritto d’uso) – imporranno una serie di investimenti che ciascun socio dovrà sostenere in quota parte.
Investimenti in qualche caso nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro, da suddividersi (spesso) tra 12 soci o poco più.

Film già visto

In realtà è un film già visto con il refarming della banda 700 MHz, quando, in occasione dei bandi per i fornitori di servizi di media audiovisivi per la formazione delle graduatorie degli aventi titolo ad essere veicolati sui nuovi mux locali DTT, molti soggetti presero decisioni sull’onda dell’emotività, più che a seguito di valutazioni ponderate.

Se non gratis, almeno sostenibile

Convinti che, se non gratis, la capacità trasmissiva sarebbe comunque stata sostenibile.

Il T2 che si allontana

Magari confidando nel passaggio al T2 che, invece, anziché avvicinarsi, si sta allontanando, come abbiamo avuto modo di approfondire nei giorni scorsi.

Disimpegno

I risultati di tale atteggiamento poco prudente li vediamo oggi, con un allarmante disimpegno dai contratti di capacità trasmissiva sottoscritti sulle costose reti di primo livello a costo di rinunciare alle autorizzazioni FSMA (fornitori di servizi di media audiovisivi) anche in presenza di attribuzioni LCN a due cifre (quand’anche del secondo blocco).

Il DAB non è gratis

La sensazione che abbiamo è che anche con il DAB molti editori locali non si siano posti il dubbio della sostenibilità dell’investimento che i consorzi ai quali hanno aderito dovranno (necessariamente) sostenere.

Nel mezzo del guado

Ne abbiamo parlato in diverse occasioni su queste pagine, ma ora, nel mezzo delle procedure di attribuzione dei diritti d’uso (definitivi, per quanto abbiamo imparato dal DTT che di veramente definitivo in Italia c’è ben poco), il tema è tornato prepotentemente d’attualità.

L’esperienza (non) insegna

E ciò in quanto è forte la sensazione che il comparto radiofonico non abbia sufficientemente fatto tesoro di quanto accaduto in occasione del processo di refarming della banda 700 MHz.

Uniformazione

Procedura a cui si sono sostanzialmente uniformate quelle per l’assegnazione dei diritti d’uso della radio digitale ai consorzi locali.

Modelli di business

A parte le precedenti previsioni normative e regolamentari recanti elementi di forte sovrapposizione tra le due procedure, le Linee guida sui bandi DAB nell’ultima formulazione ed ora i bandi per la manifestazione d’interesse (che in molti casi evolveranno in procedure competitive, cioè beauty contest, per come abbiamo imparato a conoscerli) sono chiari sul punto.

Mix

I procedimenti nelle situazioni di competizione (cioè nelle aree tecniche dove le frequenze saranno meno dei soggetti che ne richiederanno l’attribuzione) sono un mix tra quelle dei bandi per operatori di rete DTT e per fornitori di servizi di media audiovisivi (FSMA).

Macro aree tecniche

Circostanza confermata anche dalla scelta (identica a quanto avvenuto col DTT) di pubblicare i bandi (in questo primo caso, come detto, per l’espressione della manifestazione d’interesse) per aggregazione di aree tecniche (si è, come noto, partiti con Emilia Romagna, Marche, Lazio e Sardegna) per poi procedere con Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Liguria, Toscana, Umbria, Campania, Sicilia.

Ancora una volta i PDV

Ma la similitudine vale anche per il piano tecnico, con le consuete forche caudine costituite dai punti di verifica dei segnali (PDV) con cui si valuterà il rispetto dei rapporti interferenziali interni (tra aree tecniche) ed esterni (internazionali), approvando o bocciando progetti di rete, e per i punteggi di natura finanziaria ed economica (che non sono sinonimi, ma concorrono insieme a determinare la sostenibilità dell’ente consortile) ed imprenditoriale (dipendenti, regolarità amministrativa dei consorziati, esperienza, ecc.).

Altri fattori

Passando, naturalmente, attraverso fattori non oggetto di valutazione ministeriale, ma non per questo meno importanti.

Modelli di business

Parliamo dei modelli di business commerciale, posto che una società consortile ha uno scopo mutualistico compatibile con finalità di lucro.

La prova del DTT

Ora, considerato che col DTT sono stati premiati gli operatori di rete nazionali (o sovrareali) declinati in ambito locale – che, conseguendo facilmente maggiori punteggi nei beauty contest, nella quasi totalità dei casi, hanno ottenuto l’attribuzione dei diritti di primo livello e, dove hanno partecipato alle procedure competitive, anche di secondo livello – si dovrebbero trarre elementi di riflessione strategica a riguardo di scelte effettuate in difetto di economia di scala.

Sostenibilità nel lungo periodo

Tuttavia quelli da valutare non dovrebbero essere solo gli aspetti immediati, cioè legati alle condizioni di partecipazione ai bandi.

Riflessioni ex post

In ambito televisivo, successivamente all’assegnazione dei diritti d’uso e quindi dell’attribuzione della capacità trasmissiva, a meno di due anni di distanza si stanno – come detto – già manifestando le conseguenze economiche di determinate scelte.

Matrimoni e divorzi

Con situazioni di insostenibilità dei costi da parte di fornitori di contenuti, che, in qualche caso, non ne avevano correttamente valutato la portata, sposando un modello di business (per loro) inopportuno.

Il mio consorzio è meglio?

Circostanza che, in ambito radiofonico, dovrebbe comportare la domanda: il mio consorzio come si sosterrà?

Fornitori di contenuti indipendenti

Soprattutto se il modello di business esclude la collocazione di capacità trasmissiva verso l’esterno, cioè a favore dei nativi digitali indipendenti.

Linfa

Questi ultimi, infatti, sono gli unici in grado di portare, da fuori, linfa economica ai consorzi che, diversamente, possono solo sostenersi attraverso contribuzioni dei soci. Che, dati gli investimenti previsti, si preannunciano pesanti.

Film in replica

Non è un caso che in queste ultime settimane stanno aumentando gli editori (non necessariamente solo di emittenti comunitarie, le più esposte al problema) dubbiosi a riguardo delle scelte effettuate per l’adesione ad un consorzio piuttosto che ad un altro.

Fornitori contenuti nativi vs concessionari FM

Mentre all’orizzonte si profilano altre perplessità di tipo concreto. Se infatti è vero che nella prima fase dell’affermazione della radio digitale via etere ad essere avvantaggiati sono i concessionari FM, è probabile che con la successiva affermazione della radio digitale via etere (che nel 2025 dovrebbe superare quella analogica quanto a diffusione di device) saranno i fornitori di contenuti nativi digitali (di cui, come detto, i consorzi non potranno fare a meno per sostenersi, salvo caricare di costi i soci) a disporre di una infrastruttura più leggera, in grado di meglio sostenere i costi d’esercizio.

Non è gratis

Perché, se non lo si è ancora capito, il DAB non è gratis. (M.R. per NL)

foto antenne di Floriano Fornasiero

 

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