La decisione resa con sentenza 1980/2023 del Consiglio di Stato consegue all’impugnazione della decisione del TAR Lazio n. 08574/2022 del 21/06/2022 (pubblicata il 23/06/2022) che aveva annullato la delibera n. 455/19/CONS del 27/11/2019, recante “Modifiche e integrazioni al regolamento recante la nuova disciplina della fase di avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale, di cui alla delibera n. 664/09/CONS, come modificata dalle delibere n. 567/13/CONS e n. 35/16/CONS”.
Vediamo cosa è successo e quali sono gli effetti della decisione dei giudici romani.
Il merito del primo grado
Evocata la qualità di concessionaria in esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale, RAI, nell’atto introduttivo di prime cure, aveva contestato l’obbligo, impostole con l’atto impugnato, di cessione di 216 unità di capacità trasmissiva, passando da 864 a 648 unità con conseguente riduzione del 25% della capacità ad essa riservata per la diffusione di programmi radiofonici in forza dell’art. 2 bis, comma nove, d. l. 5/2001, convertito con l. 66/2001.
Fornitori di contenuti indipendenti
Premesso che con la deliberazione impugnata era stata introdotta la definizione di “fornitore di contenuti radiofonici indipendente” come delineata ai sensi e per gli effetti dell’art. 1 lett. hh) del Regolamento DAB, e che erano state approntate misure volte a definire un obbligo di “must carry” a carico degli operatori di rete al fine di destinare parte della capacità trasmissiva degli stessi a fornitori indipendenti di contenuti radiofonici – la ricorrente aveva lamentato, nel primo motivo aggiunto di ricorso, che il costo per abitante della cessione di capacità trasmissiva sulla rete RAI sarebbe stato molto più basso di quelli previsti dalle offerte dei consorzi privati, sì da indurre i fornitori di contenuti all’acquisizione della propria capacità trasmissiva disponibile, e, con riguardo al secondo motivo aggiunto, che l’assetto delle cessioni avrebbero favorito gli operatori di rete privati.
In giudizio
Si erano costituiti in giudizio l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, il Ministero dello Sviluppo Economico, Rete Blu s.p.a., Eurodab s.c.r.l. e Dab Italia s. c. s.p.a., inutilmente instando congiuntamente per l’infondatezza del gravame, posto che il TAR aveva accolto il ricorso.
TAR: Agcom non ha valutato ruolo di concessionaria pubblica ed investimenti sostenuti per lo sviluppo della radiofonia digitale
Affermato che “il blocco di diffusione assegnato per legge alla Rai non sia intangibile, potendo essere modificato al fine dello sviluppo del mercato dei fornitori di contenuti radiofonici sulla piattaforma digitale in senso concorrenziale, equilibrato e pluralista”, il TAR aveva accolto il principale motivo d’impugnazione incentrato sull’irragionevolezza della cessione come imposta dall’Autorità, perché adottata senza tenere conto della posizione di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo e degli investimenti sostenuti dalla RAI per lo sviluppo della radiofonia digitale.
Istruttoria tecnica (mancata)
L’Autorità, infatti, secondo i giudici di prime cure, avrebbe dovuto valutare, mediante un’adeguata istruttoria tecnica, “l’incidenza sul servizio pubblico radiofonico della riduzione di capacità trasmissiva imposta, per accertare se la capacità residua possa essere sufficiente a consentire alla concessionaria del servizio pubblico l’adempimento degli obblighi ad essa imposti, senza pregiudizio della qualità tecnica dei segnali e senza l’imposizione di oneri economici sproporzionati o eccessivi”.
Il ricorso avanti al Consiglio di Stato
La sentenza del TAR era stata appellata da un content provider, dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e dal Ministero dello Sviluppo Economico. RAI, oltre a resistere, aveva, a sua volta, proposto appello incidentale avverso i capi di sentenza di reiezione dei motivi aggiunti. Nel giudizio, avevano spiegato intervento terzi fornitori di contenuti indipendenti.
I presupposti della decisione del Consiglio di Stato
Analizzando i ricorsi, i giudici amministrativi di ultimo grado hanno osservato che “Lo sviluppo del mercato della radiodiffusione terrestre in tecnica digitale come naturale evoluzione del sistema analogico ed il pluralismo d’offerta di programmi e servizi disponibili per l’utenza, come sottolineato dall’Autorità nell’atto d’appello, sono (stati) i parametri orientativi dell’attività regolatoria”.
Condizioni di accesso non discriminatorie, proporzionate e trasparenti
Testualmente, con la sua impugnazione, l’Autorità ha riferito che “i diritti di uso delle frequenze radio possano essere assoggettati al rispetto di talune condizioni (elencate all’allegato n. 1 del Codice), non discriminatorie, proporzionate e trasparenti e, nel caso dei diritti d’uso delle frequenze radio, conformi all’art.14 del codice medesimo” (art. 28 CCE.)
Adeguamento regolamentare
Conseguentemente, nel continuum disciplinare resosi necessario per adeguare il sistema ai mutamenti in corso, l’Autorità (…) ha apportato modifiche e integrazioni (…)”.
Obbligo di must carry
“Nella fase di avvio dei mercati, s’è, dunque, resa indispensabile – ha precisato l’Autorità nel suo ricorso – l’introduzione in capo a tutti gli operatori di rete radiofonica, in ambito nazionale, dell’obbligo di cessione di una quota delle unità di capacità del blocco di diffusione a fornitori di contenuti radiofonici nazionali indipendenti”.
216 CU all’esterno, per l’Agcom non pregiudicano posizione RAI
“Del resto – secondo l’Autorità – la cessione di 216 unità di capacità trasmissiva, e la riduzione del 25% della capacità c.d. trasmissiva della Rai, lungi da incidere sulla titolarità dei diritti d’uso delle frequenze, consentirebbe a Rai di continuare ad offrire il servizio pubblico sul multiplex che le è stato riservato ex lege”.
Immotivata opposizione RAI?
“Significativamente – osserva il CdS nella sentenza 1980/2023 – nel primo motivo d’appello, l’Associazione Rbb, aderendo sostanzialmente alla prospettazione dell’Autorità, lamenta l’errore di giudizio in cui sarebbe incorso il TAR per non aver tenuto conto del fatto che, nella fase delle consultazioni propedeutiche l’adozione della delibera impugnata, Rai ha partecipato fattivamente alla pubblica consultazione “…senza nulla argomentare e/o spiegare circa le ragioni tecniche che – a suo dire – avrebbero reso insufficienti ad assicurare la continuità del servizio editoriale pubblico senza oneri economici eccessivi o sproporzionati le risorse residue a lei destinate”.
Ma il CdS con la sentenza 1980/2023 non concorda con gli appellanti
Tuttavia, le argomentazioni fondanti i motivi d’appello, non sono state condivise dal supremo organo di giustizia ammininistrativi sotto tre distinti profili d’indagine. Segnatamente: normativo, pubblicistico-concessorio e tecnico.
Premesse dell’esercizio della potestà regolativa di Agcom
Prima di esaminarli analiticamente, il CdS nelle motivazioni della sentenza 1980/2023 ha tenuto a precisare che la deliberazione impugnata “costituisce espressione della potestà regolativa riservata all’Autorità volta a perseguire uno scopo, un obiettivo, o, per meglio dire, in considerazione della materia in esame, un pre-determinato assetto del mercato di riferimento che, ancorché transitorio ed in fieri, ne giustifichi l’esercizio. Traguardo individuato dalla stessa Autorità nello sviluppo della piattaforma digitale, assiologicamente orientato al pluralismo d’offerta di programmi e servizi disponibili per l’utenza.
Sentenza 1980/2023: regole tecniche e condizioni per il raggiungimento dello scopo
Va altresì aggiunto, che qualora, come nel caso in esame, si faccia impiego di regole tecniche, il primo parametro di riscontro per misurare la conformità dell’attività regolativa alle norme che ne disciplinano l’esercizio è costituito dall’accertamento dell’esistenza delle condizioni che rendano effettivo il raggiungimento dello scopo. Che, nel caso in esame, non pare raggiunto.
Coordinamento normativo
In senso paradigmatico, quanto al profilo normativo, l’art.2 bis, comma 9, d. l. 5/2001, convertito con l. 66/2001. – che riserva a RAI in qualità di concessionaria del servizio pubblico televisivo, il blocco di diffusione di programmi radiofonici – va coordinato con l’art. 24, comma 1, l. 112/2004, disciplinante la fase d’avvio delle trasmissioni radiofoniche terrestri in tecnica digitale.
Continuità del servizio pubblico
Sicché l’esercizio del potere regolatorio – in forza del coordinamento normativa fra le due norme: l’una speciale di riserva del blocco di diffusione, l’altra generale sull’avvio della digitalizzazione – è subordinato al previo accertamento della continuità del servizio pubblico riservato a Rai sia sotto il
profilo quantitativo che qualitativo dell’offerta”, si legge nella sentenza 1980/2023 del CdS.
Obiettivi del contratto di servizio
“Quanto al profilo pubblicistico concessorio, non va passato sotto silenzio che Rai, in esecuzione del piano industriale (…) – avallato, va sottolineato, dal Ministero appellante – per raggiungere gli obiettivi previsti nel contratto di servizi, ha effettuato gli investimenti necessari per adeguare la piattaforma digitale agli standards tecnici necessari per garantire la qualità della diffusione.
Investimenti
Per realizzare i programmi e trasmetterli con qualità tecnica, Rai ha effettuato gli investimenti previsti nel piano industriale fidando sulla disponibilità, ex art. 2 bis, comma 9, d.l. 5/2001, dell’intero blocco di diffusione. La riduzione della capacità trasmissiva del 25%, imposta a Rai con la deliberazione impugnata, penalizza la missione affidatale nonché l’asset societario e, di riflesso, la funzione pubblicistica e l’attività economica da essa esercitate.
Nessuna acquiescenza RAI
Di conseguenza, a fronte del vulus dedotto da Rai, la partecipazione alla consultazione pubblica non depone nel senso che essa abbia aderito o prestato acquiescenza all’obbligo di cessione impostele autoritativamente ex post, a conclusione del procedimento istruttorio, avviato dall’Autorità.
Profilo tecnico
Sotto il profilo tecnico specifico, si legge nella sentenza 1980/2023 del CdS, ” L’unico ed esclusivo supporto tecnico è stato fornito da Rai con la relazione tecnica depositata il 4 gennaio 2022.
In essa si dà atto che tutti i programmi trasmessi da Rai sul mux DAB sono funzionali all’erogazione del servizio pubblico; che sulla piattaforma radiofonica digitale, Rai trasmette un numero di programmi superiore a quelli trasmessi in tecnica analogica, sì da escludere il sistema analogico e quello digitate siano complementari e fungibili, in contrario da quanto ritenuto dall’Autorità secondo cui il servizio pubblico può essere espletato a sufficienza sulla piattaforma analogica.
Mancata dimostrazione da parte di Agcom e del fornitore indipendente che 54 CU a programma siano sufficienti a garantire programmi di qualità
Inoltre, l’Autorità e l’Associazione appellante non hanno dimostrato né allegato dati tecnici con riguardo alle affermazioni – su cui riposa il secondo motivo d’appello proposto da Associazione Rbb – che il numero medio di 54 CU (unità di capacità trasmissiva) a programma sia sufficiente a garantire trasmissioni di qualità; che, per adempiere al servizio pubblico, Rai possa avvalersi della capacità trasmissiva degli operatori di rete locali; e che le criticità, da cui ha preso causa la deliberazione, siano addebitabili a Rai oltre che alle condotte di Dab Italia ed EuroDab, su di cui già gravava un obbligo di cessione di capacità trasmissiva”.
Criteri di proporzionalità e trasparenza non rispettati dalla delibera Agcom
In definitiva, si spiega nella sentenza 1980/2023, “l’atto impugnato non rispetta i criteri di proporzionalità e trasparenza – intesa nel senso d’adeguatezza dell’istruttoria propedeutica all’adozione dell’atto impugnato – di cui è parola all’art.14 del codice delle comunicazioni in materia di disciplina dei diritti d’uso delle frequenze radio”.
Sentenza 198072023: appelli riuniti e respinti
Conclusivamente, ad avviso del CdS “gli appelli riuniti in esame devono essere respinti” e “alla medesima conclusione deve giungersi con riguardo all’appello incidentale proposto da Rai, denunciante gli errori di giudizio commessi dal Tar laddove, nell’esaminare il ricorso per motivi aggiunti, è giunto alla conclusione di ritenerlo parzialmente infondato e per il resto inammissibile.
Ricorso incidentale
Con il primo motivo dell’appello incidentale si censura la sentenza del Tar nella parte in cui ha statuito che “…il blocco di diffusione assegnato per legge alla RAI non sia intangibile, potendo essere modificato al fine dello sviluppo del mercato dei fornitori di contenuti radiofonici sulla piattaforma digitale in senso concorrenziale, equilibrato e pluralista. In tal senso si giustifica un obbligo di cessione di determinate unità di capacità trasmissiva a favore di fornitori di contenuti radiofonici interessati ad entrare nel mercato digitale”, si legge nella sentenza 1980/2023 del CdS.
Contrasto con L. 66/2001
Tali affermazioni si pongono tuttavia in palese contrasto con la previsione dell’articolo 2 bis del d.l. 23 gennaio 2001, n. 5, convertito con modificazioni in l. 20 marzo 2001, n. 66 (recante ‘Trasmissioni radiotelevisive digitali su frequenze terrestri. Sistemi audiovisivi terrestri a larga banda’).
Riserva RAI
Con specifico riguardo al servizio pubblico radiofonico, il comma 9 del citato articolo 2 bis prevede, infatti, che RAI, in quanto concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, è destinataria di un blocco di diffusione di programmi radiofonici in chiaro. Più esattamente, “Ai fini del conseguimento degli obiettivi del servizio pubblico radiotelevisivo, alla società concessionaria dello stesso servizio pubblico radiotelevisivo sono riservati un blocco di diffusione di programmi radiofonici in chiaro [e almeno un blocco di diffusione di programmi televisivi in chiaro]. I blocchi di programmi radiotelevisivi in chiaro contenenti i programmi della concessionaria pubblica devono essere distinti dai blocchi di programmi contenenti programmi degli altri operatori radiotelevisivi”.
Mux esclusivo
Quindi con l’articolo 2 bis cit. il legislatore ha inteso riservare a RAI l’intera capacità trasmissiva del multiplex (mux) per le trasmissioni del servizio pubblico radiofonico, concetto poi chiarito nel secondo periodo della medesima disposizione di legge.
Sentenza 1980/2023: quota eccessiva di CU verso l’esterno
La scelta dell’Autorità di imporre a RAI la cessione di una quota dalla capacità trasmissiva ‘riservata’ dalla legge alle trasmissioni del servizio pubblico, si pone anche in contrasto con le previsioni dello stesso Regolamento DAB ove, con l’invariato art. 13, comma 5 lett. b), è stata ribadita la necessità di “riservare alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo un blocco di diffusione, [secondo quanto previsto dal precedente articolo 11] con cui assolvere gli obblighi di servizio pubblico radiofonico di cui al testo Unico e al contratto di servizio”. Blocco di diffusione che, come già ricordato, riguarda l’insieme di più palinsesti, programmi dati e servizi diffusi su una frequenza assegnata (cfr. articolo 1 Regolamento DAB) e non solo la rete.
Condizioni tecniche ed economiche per la consegna del segnale
Con un secondo motivo si lamenta che nell’adempiere agli obblighi di verifica di cui all’art. 14 bis del Regolamento, l’Autorità, avrebbe dovuto verificare le “condizioni tecniche ed economiche per la consegna del segnale” (di cui all’art. 14 bis, comma 3, lett. e), del Regolamento) contenute nelle offerte di servizio dei consorzi privati nazionali “Dab Italia” ed “Eurodab Italia”, sì da prendere atto della sproporzione tra le condizioni economiche previste nell’offerta di servizio di Rai rispetto a quelle contenute nelle offerte di servizio dei suddetti consorzi”.
Appello incidentale infondato
Con riferimento al primo motivo il Collegio, nella stesura della sentenza 1980/2023, lo ha ritenuto infondato, posto “che la valutazione operata dal Tar non sia illegittima poiché la riserva fatta a Rai di un blocco di diffusione di programmi radiofonici in chiaro e almeno un blocco di diffusione di programmi televisivi in chiaro non ne comporta l’intangibilità e non significa cristallizzazione della posizione di mercato della concessionaria.
Dimensionamento quantitativo del blocco
La norma invocata da Rai ossia l’art. 2 bis comma 9 del d.l. n. 5 del 2001 non dimensiona in senso quantitativo il blocco ma solo impone che si debba salvaguardare il conseguimento degli obiettivi del servizio pubblico.
Secondo motivo (infondato)
Con riferimento al secondo motivo l’Autorità, ai sensi dell’art. 14 bis, comma 4, del Regolamento, verifica esclusivamente che le offerte di servizio presentate dagli operatori di rete abbiano ad oggetto la cessione della capacità trasmissiva nella quantità di un unico modulo da 36 unità oppure di un unico
modulo da 72 unità (comma 2), e che contengano tutte le condizioni tecnicoeconomiche
del servizio di accesso.
Assenza di mercato regolamentato delle CU
In assenza di un mercato regolamentato delle CU che giustifichi in apicibus l’adozione di una disciplina eteronoma che incida sul contenuto economico delle pattuizioni negoziali stabilite dalle parti, l’Autorità non ha il potere di verificare la congruità e l’adeguatezza delle condizioni economiche contenute nelle offerte di servizio, esaurendosi il suo compito nell’accertamento che esse siano conformi agli standards formali di cui ai succitati commi 2 e 3 dell’art. 14 bis del Regolamento.
Nessuna violazione
Sicché non sussiste la violazione del regolamento denunciata da Rai, poiché l’Autorità non esercita poteri di vigilanza sulle condizioni economiche negoziali stabilite dalle parti nelle offerte di servizio. Significativamente, la cessione di quota della capacità trasmissiva riservata ai fornitori di contenuti indipendenti da parte dell’operatore di rete avviene su base negoziale, senza essere mediata da alcuna procedura pubblica di selezione dei richiedenti.
Sentenza 1980/2023 CdS: appelli tutti respinti
Conclusivamente, gli appelli principali riuniti, proposti da Associazione Rbb, da Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e da Ministero dello Sviluppo Economico, e l’appello incidentale, proposto da RAI radiotelevisione italiana società per azioni, devono essere respinti”.
Il documento
Qui per scaricare la sentenza del Cds 1980/2023 del CdS. (M.L. per NL)