La Norvegia senza FM perde il 10,7% del fatturato; la Svezia, con la multipiattaforma, guadagna il 22,4%.
Spegnere forzatamente i trasmettitori analogici in modulazione di frequenza a favore del DAB+ non è una scelta lungimirante. Come non lo è, ovviamente, puntare solo sulla FM.
Lo hanno scoperto, letteralmente a caro prezzo, gli editori radio nazionali norvegesi, che con lo switch-off analogico/digitale hanno lasciato sul terreno quasi l’11% del fatturato.
La Norvegia, al contrario di altri paesi, aveva deciso di passare al digitale in forma netta, spegnendo i trasmettitori FM delle radio nazionali (le locali hanno continuato invece ad esercirli) a favore di diffusioni esclusivamente digitali (DAB+, tv e IP).
La scelta, fortemente criticata all’interno e all’esterno della Norvegia, aveva determinato un brusco calo di audience, poi parzialmente recuperato. Effetto che si è, ovviamente, riverberato sulla raccolta della pubblicità (nazionale), che, secondo i dati dell’osservatorio dei media norvegesi Mediebyraaforeningen, è diminuito del 10,7% nel 2018 rispetto al 2017, portando ad un complesso di 380 milioni di corone, pari a quasi 38 milioni di euro.
Di segno opposto la vicina Svezia, che invece ha deciso di spingere sulla multipiattaforma (FM/DAB+/IP/sat), lanciando addirittura tre nuovi canali nazionali in symulcasting analogico/digitale e registrando un clamoroso +22,4% nel 2018 rispetto al 2017.
“Non c’è nessuna ragione per spegnere la modulazione di frequenza: le relative frequenze rimarrebbero inutilizzate perché, allo stato, inadatte ad essere sfruttate per la banda larga mobile, così come per la tv o altri servizi di interesse diffuso”, commenta Massimo Rinaldi, ingegnere dell’Area Tecnica di Consultmedia (struttura di competenze a più livelli collegata a questo periodico), che aggiunge: “La modulazione di frequenza deve essere lasciata morire naturalmente concludendo il suo ciclo e favorendo uno switch-over inevitabile, ma indolore. I trasmettitori verranno spenti (come accaduto con le onde medie) quando non converrà più economicamente tenerli attivi. Stop. Uno switch-off per spingere gli utenti a passare al digitale rappresenta un rischio elevatissimo di indurre una disaffezione verso il medium o – nel caso delle radio musicali – addirittura verso altri servizi, come quelli di streaming audio on demand (Spotify, per intenderci, ndr). In Italia, per fortuna, l’orientamento sembra essere come quello della Svezia (che pure tempo fa era stata nel dubbio se seguire l’esempio norvegese, ndr): favorire un lungo switch-over di 10-15 anni, abituando il pubblico a fruire della radio numerica senza privarlo di quella analogica“, conclude Rinaldi. (E.G. per NL)