James Cridland è un “futurologo radiofonico” che gestisce il portale Media.info e supporta la conferenza annuale Next Radio. Collabora con Podnews.net, sito sul podcasting e l’on-demand e pubblica un bollettino settimanale sulle tendenze radiofoniche internazionali su James.crid.land
Recentemente su Radioinfo.com Cridland ha pubblicato un interessante intervento sulla controversa questione del rapporto tra aggregatori di flussi radiofonici e le emittenti, con particolare riferimento al megacollettore mondiale TuneIn (al centro di una controversia legale in UK e di un difficile rapporto con alcune importanti emittenti europee) e all’importanza che le stazioni di ogni nazione si dotino di una piattaforma aggregatrice propria. La questione è peraltro fresca d’attenzione anche da parte del nostro regolatore, l’Agcom, che ha messo in guardia gli operatori sul pericolo della questione.“Dal punto di vista strettamente legale, prima facie, gli aggregatori non stanno facendo nulla di censurabile: non ospitano contenuti radiofonici nativi, limitandosi a fungere da tramite tra le stazioni e i loro utenti. Esattamente come Google o Twitter, ma anche come qualsiasi Ufficio Postale del mondo fisico che non è responsabile del contenuto di una chiavetta USB spedita per posta”, scrive Cridland.
“Se si entra un poco più a fondo della questione, alcuni aspetti critici tuttavia emergono: un aggregatore decide quale flusso streaming inserire ed ogni volta assume una decisione e conseguentemente una responsabilità. Se non viene accolta qualsiasi richiesta di inserimento, significa che si ha un controllo editoriale sull’elenco delle emittenti e quindi può emergere una responsabilità solidale in caso di violazione del copyright da parte della stazione“, continua il futurologo toccando aspetti rilevanti tanto più in un momento storico che vede un’impennata dell’ascolto IP in Italia.
“Peraltro, rimanendo in tema di diritto d’autore, cosa significa “senza licenza”? Nel caso di una radio, l’aspetto non è così netto come potrebbe sembrare. Una stazione radio amatoriale o gestita da una camera da letto potrebbe non avere alcuna licenza dalle collecting per la veicolazione di repertorio musicale protetto. E ciò è relativamente facile da controllare: basta chiedere alle stazioni di esibirla. Oltretutto costituisce anche un indiretto controllo di qualità: generalmente le emittenti senza licenze non sono molto affidabili“, insiste Cridland.
“Sennonché, le licenze musicali non sono normalmente disponibili a livello internazionale. In molti casi una percentuale considerevole degli ascoltatori si trova in un paese diverso e quindi si dovrebbe conseguire un’autorizzazione specifica per ogni singolo territorio, oppure introdurre un geo-blocking (Apple’s Beats1 ha probabilmente più accordi diretti con le case discografiche che ascoltatori)”, continua il giornalista.
“Non solo: molti aggregatori gestiscono in proprio il digital audio (la pubblicità radiofonica digitale, ndr) e ciò genera un profitto indiretto anche sui flussi musicali. Qualunque siano le caratteristiche specifiche di TuneIn – e dato che non sono ancora pubbliche, non lo sappiamo – il mio consiglio è di limitarne la dipendenza. Ciò significa, in primo luogo, non collegarsi ad un aggregatore indipendente attraverso il proprio sito Web o menzionarli come piattaforme di riferimento: sono perplesso dalla quantità di pubblicità gratuita che l’industria radiofonica regala a tali soggetti…. In secondo luogo, con l’aumentare della loro importanza, dobbiamo verificare come gli ascoltatori che utilizzano smart speaker come Google Home o Amazon Alexa sintonizzino le stazioni attraverso flussi streaming aggregati in forma indipendente (come TuneIn) o captive (iHeart).
Se Amazon o Google caldeggiano aggregatori indipendenti, l’industria radiofonica dovrebbe opporsi”, avverte il consulente, che mette in guardia: “Gli editori dovrebbero organizzarsi attraverso aggregatori condivisi di cui possono avere il controllo o comunque dove hanno una partecipazione (come Radioplayer in UK, RadioApp in Australia o iHeartRadio degli Stati Uniti)”.
“Ciò pone al riparo gli editori dal problema del controllo del dashboard delle auto o degli smart speaker.E’ ora che l’industria radiofonica si svegli: oggi essa possiede i trasmettitori che consentono di raggiungere la maggior parte del proprio pubblico; dovrebbe quindi controllare anche la piattaforma futura che ne veicolerà le trasmissioni. Affidarsi a terzi verso i quali non si ha alcun controllo di capitale, non è mai stata una buona strategia“, conclude Cridland, mettendo il dito nella piaga di un futuro radiofonico sempre più distinto dal possesso delle infrastrutture di diffusione che vede colossi via etere affondare in un mare di debiti. (E.G. per NL)