Il rischio che le vicende di emittenti libere storiche, che costituirono la prima e la seconda ondata della radiofonia, si perdano nell’oblio è più che mai concreto.
E’ vero, esistono alcuni libri scritti da alcuni storici esponenti della radiofonia che raccontano un periodo altrimenti a grosso rischio di oblio: Claudio Cecchetto, Marco Galli, Marco Mazzoli (in questo caso ispiratore anche di un film), Paolo Hutter, Renato Sorace, Paolo del Forno, Francesco Perilli, Giuliano Coacci, Paolo Lunghi, il compianto Alfredo Sarli e Massimo Lualdi (direttore di questo periodico), giusto per citarne alcuni. Ma si tratta di racconti legati fortemente alle esperienze personali di chi li ha scritti oppure di testi tecnici.Poco o nulla è stato invece pubblicato su tutto quel piccolo grande variopinto microcosmo della radiofonia costituito da antenne FM sparse in tutta Italia, che hanno costruito per decenni l’ossatura di un mondo ormai in parte definitivamente scomparso.
Come capita per ogni era storica e tipologia di avvenimenti quelle che si tramandano, e spesso si studiano, sono le storie dei vincitori di quelli che ce l’hanno fatta, per chi invece è stato ingoiato dalle pastoie di una burocrazia spesso incomprensibile e di leggi studiate certo non per favorire i piccoli, non soltanto l’onta della resa ma anche lo smacco del dimenticatoio.
Fatta eccezione per il nostro giornale che con ”Storia della radiotelevisione italiana” ripercorre storie e accadimenti di alcune emittenti e per “Storia della Radio Tv” del giornalista Massimo Emanuelli, poco o null’altro si trova sul web, e in un mondo in cui se non ti trovi su Google è come se praticamente non fossi mai esistito, il rischio di consegnare all’oblio milioni di storie è più che reale; tutto al momento rimane racchiuso nel frammentatissimo mondo dei milioni di gruppi e gruppetti su Facebook che nella maggior parte dei casi non hanno alcuna valenza storica ma rischiano di essere un mero sfogo di vanità personali e di ” ti ricordi”, ”mi ricordo”, che al di fuori della strettissima cerchia di interessati fondamentalmente non interessano a nessuno.
E il tempo che passa sicuramente non gioca a favore visto che, a causa dell’inevitabile dipartita di molti dei protagonisti di quell’epopea sempre più lontana, anche tanti di quei ricordi scompaiono definitivamente con loro.
Non soltanto le posizioni dei tralicci o le spesso improbabili schede tecniche del periodo, ma anche la ricostruzione dei palinsesti, la tipologia di programmi, che in alcuni casi erano un autentico laboratorio di sperimentazione con sprazzi di lucidità e visione del futuro che potrebbero essere utili anche oggi.
Interessanti sicuramente sarebbero i racconti delle varie emittenti soprattutto per il pubblico dei millennial magari poco avvezzo a leggere su carta ma assolutamente più propenso a documentarsi su internet.
E a codesto pubblico, l’autoreferenzialità dei gruppi sui social o il mero e asettico elenco di date e numeri che nella migliore delle ipotesi risulta reperibile, certamente non costituisce il massimo dell’appetibilità per risvegliare un interesse già in partenza sopito.
Susciterebbe probabilmente più appeal sentire narrare racconti conditi anche dei litigi, spesso non solo a parole, per accaparrarsi l’ambita fascia del primo pomeriggio, quella riservata ai ”migliori” in un’epoca in cui il ”drive time” era un carneade qualsiasi.
O le lotte fratricide per condurre la classifica del sabato, il programma di spicco su cui tutti puntavano ma che alla fine premiava uno solo, o realmente il più bravo o il prediletto del proprietario, in molti casi le due figure erano coincidenti.
Idiomi e linguaggi della radiofonia che con il passare del tempo hanno perso di significato ma che, ai tempi, pesavano molto più del significato intrinseco delle stesse parole, come quel ”non c’è più spazio per le richieste” che rappresentava un traguardo da raggiungere e che, se raggiunto ancora prima dell’inizio del programma in questione, valeva per tutto lo staff delle emittenti, come uno scudetto da appuntare sul petto.
Non sempre l’identica soddisfazione per chi poi quella trasmissione doveva condurla visto che lasciava poco spazio nel lessico e nella scelta dei brani alla libertà personale ma sconfinate praterie alla pratica della socializzazione…uno dei motivi, inutile nasconderlo, per cui molti si sono inventati d.j.
Ogni format rappresentava le caratteristiche di chi lo conduceva, in gran parte dei casi la voce del primo mattino che si sacrificava ad orari improponibili ai più era colui che amava trasmettere da solo, nella massima tranquillità, un po’ come il tessitore dell’alba Bob che in ”I Love Radio Rock” era talmente solitario da rischiare di essere dimenticato sulla nave al momento del naufragio.
Figure mitologiche della radiofonia, metà uomini e metà vinili, con milioni di aneddoti uniti da un unico filo conduttore da Catania ad Udine, una passione difficile da spiegare a parole ma forte come un uragano che ha modificato le vite di molti, in alcuni rari casi facendoli assurgere a icone del medium ma nella stragrande maggioranza costituendo solo un bagaglio di ricordi e rimpianti che proprio perché rappresentativi di un’epoca irripetibile necessitano di essere raccontati regione per regione.Una conoscenza del fenomeno delle emittenti libere (prima, private poi) che nella sua completezza è anche in diversi atenei una materia di studio, ma non si può rappresentare quello che è stato un fiume in piena tramite il rendiconto di alcuni testi scritti da docenti che pretendono di raccontare un mondo di cui non hanno mai fatto parte, imbottendolo di nozionismi astratti spesso più noiosi e lontani della seconda guerra punica.
Tutto quel percorso merita sicuramente altri testi su cui essere approfondito e studiato, sia da un punto di vista storiografico, ma, anche e soprattutto, emozionale; visto che di arte si parla. (U.F. per NL)