Come noto e come abbiamo scritto tempestivamente su questo periodico, con decreto direttoriale del Ministero dello Sviluppo Economico del 18 aprile scorso, sono stati finalmente approvati la graduatoria provvisoria e l’elenco degli importi dei contributi da assegnare alle Radio a carattere commerciale per l’annualità 2017; per presentare richieste di rettifica o riammissione c’è ora tempo per le emittenti fino al 17 maggio.
Fin qui siamo all’incirca nella norma, se non fosse che sulla pubblicazione di questa graduatoria radiofonica si era aperto un piccolo ‘giallo’, perché il documento del Ministero arriva solo dopo molta attesa e con clamoroso ritardo, rispetto alle Televisioni, per esempio, che sono già alla graduatoria definitiva per il 2017. Perché queste settimane di lunga attesa, quando la pubblicazione della graduatoria del Ministero era stata data per imminente già nella prima metà di gennaio?
In uno specifico articolo di quei giorni di questo periodico, abbiamo raccontato la vicenda di Radio Padania, l’emittente della Lega che non è quasi più presente in Fm dopo la cessione delle sue frequenze più importanti al gruppo RTL 102.5 ma che, sulla base di un’anticipazione di ‘Repubblica’ del 12 gennaio, era comunque in buona posizione nella graduatoria stessa e avrebbe dunque probabilmente ricevuto dei contributi di un certo rilievo, sulla base dei regolamenti vigenti. Nell’occasione avevamo cercato di spiegare un po’ la vicenda (l’articolo di ‘Repubblica’ era intitolato ‘Aiuti pubblici a Radio Padania. Di Maio stacca l’assegno del Mise’, con un’interpretazione delle cose finalizzata a un giudizio negativo di stampo politico), avvertendo però che questa situazione rischiava di portare a pesanti lungaggini, con danni per tutte le emittenti, che non di rado attendono questi contributi del Ministero con una certa ansia e vorrebbero date precise (per ovvie esigenze economiche) per programmare l’arrivo concreto delle somme ‘promesse’.
Purtroppo siamo stati facili profeti e la graduatoria delle Radio commerciali per il 2017 del Ministero è arrivata dopo più di tre mesi da qui giorni di gennaio e fra l’altro è stata ‘sbloccata’ improvvisamente, nei giorni scorsi. Chi ha visto la graduatoria provvisoria del 2017 ha poi potuto constatare che Radio Padania non vi compare più, né all’inizio né in fondo (a vantaggio economico di tutti gli altri, ma non è evidentemente questo il punto).
Che cosa è successo, dunque? Il nodo (politico) della questione era proprio quello dell’emittente della Lega e il braccio di ferro (uno dei tanti in corso) fra Salvini e i Cinquestelle è andato avanti per molte settimane, perché il primo non voleva evidentemente rinunciare a somme che sono importanti per l’emittente e per la Lega (in più riteneva probabilmente che a Radio Padania quei soldi spettassero effettivamente), mentre Di Maio con ogni probabilità non voleva dare ragione al titolo di ‘Repubblica’ e figurare come il ministro che dà i contributi all’emittente del ‘rivale di Governo’; peraltro, come lo stesso Di Maio aveva addetto a un certo punto ‘a sua discolpa’, il nuovo regolamento in materia non è stato certo varato dai Cinquestelle ma dal precedente Governo PD.
Insomma, una vicenda spinosa e sgradevole, che si è sbloccata solo la settimana scorsa, di punto in bianco. Radio Padania ha infatti rinunciato spontaneamente e improvvisamente ai contributi (si parlava di almeno 70.000 euro, forse 100.000 e passa grazie all’extragettito Rai) e ha consentito che la graduatoria uscisse. Il motivo non è del tutto chiaro ma la Lega (in un’interpretazione magari un po ‘benevola’ delle cose) potrebbe aver preso la decisione per non fermare ulteriormente a tempo indefinito i contributi di tutte le (altre) emittenti.
Comunque sia, sabato scorso ancora ‘Repubblica’ ha svelato alcuni retroscena: “Con una mail indirizzata alla Pec del Ministero – hanno scritto Marco Mensurati e Fabio Tonacci – l’editore di Radio Padania (Davide Franzini; N.d.R.) si è ritirato, senza specificare il motivo. In realtà, al Mise in questi mesi si sono accumulate lettere di protesta delle altre emittenti locali, in attesa del contributo e messe in difficoltà dal ritardo. La situazione stava per diventare esplosiva…”.
E naturalmente “il giorno dopo, sul sito del Mise, con decreto ministeriale del 18 aprile, è apparsa la lista dei 216 beneficiari del contributo alle Radio commerciali locali… Radio Padania non c’è”.
Chi sia un po’ depresso da questa vicenda non crediamo trovi molto conforto dalla situazione di stallo in cui versa la questione di Radio Radicale, che si trascina a sua volta senza uno sbocco e senza che si esca dalla contrapposizione tra chi vuole a tutti i costi che ci sia l’ennesima proroga della convenzione e si vada avanti così (cosa sempre accaduta per decenni) e chi (i Cinquestelle soprattutto) non vuole più dare una così sostanziosa somma di denaro pubblico in cambio di un servizio che svolgono anche altri e che Gr Parlamento della Rai dovrebbe anzi svolgere quale compito istituzionale e per sua stessa ragion d’essere; quanti sostengono queste posizioni vorrebbero dunque – dicono in tanti, con mille appelli, articoli e petizioni – chiudere Radio Radicale e cancellare un servizio pubblico (l’altro forte sostegno pubblico a Radio Radicale, legato a un’altra legge, dovrebbe essere cancellato a sua volta dal 2020).
Non se ne esce: l’ipotizzato intervento della Rai nella vicenda sembra già uscito di scena, si sottolinea, spesso senza spiegare bene le cose, che Radio Radicale è un fondamentale servizio pubblico (ma nessuno l’ha mai finanziato come tale e la convenzione e le sue ingenti somme sono solo legate alla ritrasmissione dei lavori parlamentari) e che l’archivio storico dell’emittente è un patrimonio straordinario. Tutto vero, magari, ma non sanzionato né per legge né con una gara, né con impegni precisi, a parte i lavori parlamentari.
Una via d’uscita l’ha forse indicata nelle ultime ore l’Agcom: si proroghi la convenzione per non interrompere il servizio e si affronti però finalmente il tema del ruolo pubblico (se c’è) dell’emittente. Ci sia una gara, con delle indicazioni e degli obblighi precisi, ci sia anche, se così deve essere, un effettivo ‘controllo pubblico’ (che non vuol dire necessariamente proprietà pubblica) su un’emittente che trasmette sì le voci di tutti ma è sempre stata anche (come diceva lei stessa: ‘In una voce tutte le voci’, ‘Siamo dentro ma fuori dal Palazzo’) l’organo della Lista Pannella, di Marco Pannella in specifico, dei radicali in generale, anche se poi oggi, con tutte le liti interne ed evoluzioni che ci sono state, non si sa neppure bene chi e cosa siano i radicali, con i radicali italiani, la lista transnazionale, la lista + Europa della Bonino ecc. ecc.
Tutto questo, con le sue incredibili e al contempo ‘affascinanti’ ‘utopie’ e contraddizioni persino nei termini (una Radio ‘di partito’ che è stata finanziata come la ‘Radio di tutti’), sembra però appartenere al passato. Di Maio e Crimi, come al solito, sono intervenuti tagliando (ma solo per la seconda parte dell’anno, come abbiamo scritto la volta scorsa) senza discutere e dicendo però al contempo di voler approfondire e dibattere, ma, alla fine, non facendolo effettivamente. Una discussione seria e approfondita sul tema, infatti, non c’è mai stata e non sembra esserci neppure stavolta; si è andati solo avanti di proroga in proroga.
Se allora si darà ragione all’Agcom e si farà un’ennesima proroga, che si discuta finalmente sul serio, si stabilisca cos’è Radio Radicale e cosa deve fare, sotto quale controllo pubblico, e si prendano poi decisioni motivate e con cognizione di causa. (M.R. per NL)