Radio Padania è nuovamente al centro di polemiche. Ma questa volta non è sola.
Lo spinoso tema dei contributi pubblici ai quotidiani e alle emittenti radiotelevisive, che questo periodico segue con attenzione, ha fatto scorrere fiumi di inchiostro; alimentato discussioni a non finire e soprattutto è materia costante di polemica politica.
Abbiamo allora provato a fare un ‘punto’ della situazione, utile (riteniamo) rispetto a polemiche preconcette e spesso faziose e a informazioni approssimative (che dilagano) su un tema sicuramente controverso ma anche assai complesso.
A dare fuoco alle polveri in questi giorni è stato in particolare un articolo del quotidiano ‘La Repubblica’ che annunciava – piccolo scoop – che Radio Padania Libera (nome che fra l’altro ormai poco si confà alle iniziative dell’attuale Lega ‘nazionale’) dovrebbe essere fra le emittenti beneficiarie dei contributi per le Radio commerciali relativi al 2017, per un importo di 70.000 euro (o giù di lì), che potrebbe all’incirca raddoppiare se (come pare logico, sulla base della normativa relativa a quei contributi) venissero conteggiati anche gli importi ricavati dal famoso extragettito Rai. Una decisione definitiva (in merito all’extragettito per il 2017) potrebbe essere presa nelle prossime settimane.
Dopo questo articolo, la polemica politica naturalmente (anche considerando le posizioni spesso anti-contributi pubblici dei Cinquestelle, mentre la Lega la pensa un po’ diversamente) è dilagata e Di Maio ha annunciato un ‘supplemento di istruttoria’ su questi eventuali “nuovi” contributi a Radio Padania.
Non ci interessa, naturalmente, l’aspetto direttamente politico della questione, ci pare giusto invece dare una corretta e completa informazione su un tema così delicato e discusso. Tanto più che, oltre a Radio Padania, sono state tirate in ballo anche Radio Radicale (che si dice periodicamente sia a rischio per la minaccia ai soldi pubblici che le consentono di vivere) e addirittura Radio Popolare di Milano (“che dovrebbe ricevere più di 370.000 euro” e, sempre secondo di Maio “è cara a Laura Boldrini”).
La bagarre è comprensibile, data la rovente situazione politica. Ma le cose vanno chiarite con scrupolo, soprattutto riguardo al caso specifico di Radio Padania, che appare francamente strumentalizzato ad arte.
La prima cosa da dire è che l’anticipazione di ‘Repubblica’ riguarda la graduatoria (provvisoria, oltretutto) per i contributi alle Radio commerciali relativi all’anno 2017, che però non è ancora stata pubblicata dal Ministero dello Sviluppo Economico, di cui Di Maio è titolare. La pubblicazione era effettivamente prevista in questo periodo ma, ufficialmente, non ce n’è ancora traccia. Le cose adesso tarderanno ancora per via del ‘supplemento di istruttoria’ annunciato?
Non sarebbe un elemento positivo, a occhio, di certo non lo sarebbe per le emittenti, che attendono contributi costantemente in ritardo e per quelli relativi al 2017, fra l’altro, molti sono ancora i passaggi prima della concreta erogazione delle somme spettanti.
Il Ministero dello Sviluppo economico ha invece pubblicato, lo scorso 20/12/2018, la graduatoria delle domande ammesse ai contributi 2017 per le emittenti televisive a carattere commerciale. Si tratta, anche qui, di una graduatoria provvisoria, che sarà resa definitiva nelle prossime settimane, esaminate le ‘richieste di rettifica’. Il provvedimento, anche stavolta, non comprende, al momento, tutte le risorse previste per le Tv locali per il 2017, nell’ambito del Fondo per il pluralismo e l’innovazione dell’informazione.
Bisogna anche ricordare che il tutto avviene ormai sulla base della nuova regolamentazione per l’ammissione ai contributi ex DPR n. 146/2017, che è stata oggetto di numerose polemiche (ad esempio per i criteri definiti per la scelta delle emittenti radio-tv da ‘premiare’), tanto che, per evitare iniziative di contrasto, appena nel settembre scorso è stata approvata una specifica normativa, nell’ambito del ‘Milleproroghe’, che recepisce, in sede legislativa, il regolamento sui contributi di cui sopra (anche qui non senza qualche protesta).
Ciò per il 2017, mentre le risorse complessivamente disponibili da destinare alle Tv a carattere commerciale per i contributi 2016 sono ammontate complessivamente a 78.706.670,51 euro.
La recente Legge di Bilancio, invece, prevede per tutti i contributi radio-tv (non per le sole Tv) nel 2019 un indubbio taglio, dato che lo stanziamento previsto (almeno per ora) è pari a un massimo di 62,5 milioni di euro, compresa però anche la quota per gli investimenti pubblicitari incrementali su Radio e Tv locali (calcolata in circa 12,5 milioni di euro), ragion per cui l’importo per tutta l’emittenza locale potrebbe essere di circa 50 milioni di euro (con l’85% destinato alle Tv locali e il 15% alle Radio locali). Una quota residuale va peraltro calcolata per le Radio e le Tv comunitarie, che hanno loro specifiche graduatorie e importi.
A partire dal 1° gennaio 2020 è prevista poi nella Legge di bilancio l’abolizione delle provvidenze editoria, che consistono in riduzioni tariffarie del 50% per i costi delle utenze telefoniche sostenuti dalle emittenti (una simile misura di abolizione è prevista per i giornali).
Il totale delle risorse disponibili per le Radio locali commerciali per l’anno 2016 è stato invece pari a 10.965.325,61 euro (3.655.108,54 per le comunitarie), quella per le Tv locali comunitarie è stata di 4.142.456,35.
È partendo da queste basi (anche se un po’ da mal di testa, per le tante cifre in ballo) che va calcolata la ‘logica’ degli eventuali 70.000 euro per il 2017 a Radio Padania (che però – ora – non avrebbe più frequenze Fm – anche se non è chiaro se sul piano formale esista ancora una concessione con annesso almeno un residuo diffusore in modulazione di frequenza – ed è anche una ex-nazionale) e degli eventuali 370.000 euro a Radio Popolare, che peraltro non è legata ad alcun partito e da anni è prima in questa graduatoria per la forza del suo palinsesto informativo (ha ottenuto circa 610.000 euro complessivi di contributi nel 2016). Che poi Radio Padania abbia goduto in passato di altri privilegi (come quello, controverso, ex art. 74 c. 2 L. 448/2001 che consentiva all’attivazione di impianti FM ex novo) e contributi è, ovviamente, un altro discorso ancora.
Radio Radicale c’entra invece poco o nulla. L’emittente gode di un doppio contributo di importo molto rilevante (14 milioni totali anche per il 2018) derivante da altri provvedimenti. 10 milioni arrivano da una Convenzione con il Ministero dello Sviluppo Economico, finora rinnovata annualmente, per la ritrasmissione dei lavori parlamentari; lo stesso compito ha peraltro Rai Gr Parlamento, rete radiofonica creata ad hoc dalla Rai (per scelta del Parlamento stesso) ed è il caso di ricordare che ci sono anche, fra le altre cose, i due canali Tv di Camera e Senato diffusi su Sky (forse si potrebbe anche passarli su DTT e renderli visibili a tutti).
Altri 4 milioni arrivano invece a Radio Radicale per una legge del 1990 che sostiene le «imprese radiofoniche private» che trasmettono «quotidianamente propri programmi informativi su avvenimenti politici, religiosi, economici, sociali, sindacali o letterari per non meno di nove ore comprese tra le ore sette e le ore venti». Radio Radicale è l’unica che attualmente riceve questo tipo di contributi ma la Legge di bilancio prevede che questo forte sostegno venga cancellato dal 2020 (ma si vedrà fra un anno, naturalmente).
Sui 10 milioni della Convenzione, invece, si è sviluppata un’altra bagarre, con molti sostenitori di Radio Radicale che ne hanno fatto notare la natura di ‘servizio pubblico’ (che però non è stata riconosciuta da nessuna legge, finora) senza pubblicità (per sua scelta, peraltro) e quindi hanno negato l’opportunità del taglio previsto, con l’importo che scendeva nei propositi da 10 a 5 milioni di euro l’anno (sono cifre molto alte, comunque). La soluzione finale nella Legge di bilancio è stata salomonica: grazie a un emendamento presentato dal deputato di Forza Italia Renato Brunetta, è stata infatti prorogata l’attuale convenzione fino al prossimo 30 giugno, per un importo di 5 milioni di euro, dunque non c’è stato, alla fine, alcun taglio. Dopo il 30 giugno, si vedrà.
Non basta. Esistono anche i contributi pubblici gestiti questa volta dal Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria della Presidenza del Consiglio (Vito Crimi, per capirci); la Legge di Stabilità 2016 aveva infatti suddiviso salomonicamente gli importi di questi contributi con quelli per le emittenti gestiti dal Ministero dello Sviluppo Economico, di cui abbiamo parlato prima. Ebbene, oltre ai contributi diretti per giornali e periodici (‘Avvenire’, ‘Libero’, ‘Il Foglio’, ‘Italia Oggi’ ecc. ecc., un tasto su cui i Cinquestelle battono da anni, proponendone l’abolizione), a quelli per i giornali italiani che escono all’estero, a quelli per i giornali di non vedenti e ipovedenti, a quelli espressione di associazioni di consumatori, a quelli che sono espressione delle ‘minoranze in Italia’ (‘Dolomiten’, ‘Primorski Dnevnik’ ecc.), ci sono anche, relativamente al 2017, due contributi per Radio ‘organi di partito o movimento politico’ (legge 250/1990 e legge 296 del 2006), cioè Radio Galileo e Radio Veneto Uno (TR.AD.), per un importo rispettivamente di 157.000 euro circa e 370.000 euro circa.
Ma com’è finita la battaglia dei Cinquestelle per la cancellazione dei contributi ai giornali? La Legge di bilancio prevede un taglio progressivo dei contributi diretti alle imprese editrici di quotidiani e periodici, che sarà, per il 2019, nella misura del 20%, ma solo per la differenza tra l’importo assegnato e una sorta di ‘minimo garantito’ di 500mila euro per ciascuna testata. Sembra un modo per salvaguardare i ‘giornali minori’, cui vengono – e verranno assegnati anche in futuro – somme di importo inferiore. (M.R. per NL)