“Grave situazione finanziaria e tensione dei rapporti con i fornitori”: questo è il lugubre scenario di Radio Padania prospettato dallo stesso presidente Andrea Manzoni durante l’ultima assemblea dei soci a luglio, su cui pesava l’arduo compito di approvare un bilancio con un rosso da 1 mln di euro.
L’immediata conseguenza del deficit economico è stata la circolazione di un’aria di disimpegno per l’emittente radiofonica lombarda con rilievo nazionale (almeno sulla carta), che sembra andare incontro al medesimo infausto destino di Tele Padania e del quotidiano “La Padania”. A meno che non si adottino soluzioni concrete ed immediate, come un ingente contributo finanziario della Lega (verso il quale i nuovi vertici del partito non sarebbero propensi, però; forse in considerazione del marginale apporto in termini comunicativi dell’emittente). Sorge spontaneo, a questo punto, chiedersi quali siano i fattori che hanno determinato questo quadro preoccupante, posto che la stazione non ha mai avuto il core dei ricavi nella pubblicità (sicché non può aver risentito del default commerciale del comparto a seguito della crisi economica mondiale). Secondo quanto confermato dal direttore Alessandro Morelli, sono venuti meno i contributi pubblici per 300mila euro: una cifra importante, ma che non giustifica la situazione allarmante dei conti. In realtà, le motivazioni sono probabilmente radicate molto più in profondità: Radio Padania Libera è un’emittente nazionale comunitaria che, tramite un emendamento presentato alla Finanziaria 2002 dal leghista (e cofondatore dell’emittente) Davide Caparini, si è tradotto nell’art. 74 c. 2 L. 448/2001, a mente del quale: “Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze radiofoniche in tecnica analogica, i soggetti titolari di concessione radiofonica comunitaria in ambito nazionale sono autorizzati ad attivare nuovi impianti, su base non interferenziale con altri legittimi utilizzatori dello spettro radioelettrico e nel rispetto delle normative vigenti in materia di emissioni elettromagnetiche, sino al raggiungimento della copertura di cui all’articolo 3, comma 5, della legge 31 luglio 1997, n. 249. Decorsi novanta giorni dalla comunicazione di attivazione degli impianti al Ministero delle comunicazioni ed in mancanza di segnalazioni di interferenze, la frequenza utilizzata si intende autorizzata”. Orbene, atteso che le concessionarie comunitarie in ambito nazionale sono solo due, Radio Maria e Radio Padania, e la prima già aveva pressoché una copertura completa del territorio nazionale, non era, già ab origine, difficile rilevare una eccessiva personalizzazione della norma. Sta di fatto che di questa discussa novella legislativa, Radio Padania ha fatto tesoro. Nel vero senso della parola, considerato che gli impianti, una volta acquisiti a titolo originario, venivano spessissimo ceduti in maniera derivativa ad altre emittenti nazionali o locali, interessate a loro volta ad ampliare la copertura. Secondo i calcoli del quotidiano Italia Oggi, grazie all’art. 74 c. 2 L. 448/2001, Radio Padania avrebbe attivato dal 2002 fino allo scorso anno 700-800 impianti in tutta Italia (cioè ben oltre quelli di cui dispone una radio nazionale di buon livello), quasi tutti alienati a fronte di denaro o di altri impianti (in permuta con o senza conguaglio) in zone dove non era possibile attivarne. Ora, nulla quaestio sull’obbiettivo di implementare l’illuminazione (anche se la disparità di trattamento verso gli altri concessionari comunitari locali era un vizio giuridico così grande che meraviglia che la norma non sia stata oggetto di questione di legittimità costituzionale in tutti questi anni), ma la componente meramente economica ha comportato un notevole aumento del volume d’affari della società editrice, che, solo tra il 2006 e il 2008, ha registrato + 1,9 mln di euro. Il business è stato oggetto di numerosi attacchi politici negli anni, che via via sono diventati più veementi con la perdita di forza politica della Lega, fino a quando, ad agosto dell’anno scorso, a seguito di un netto parere dell’Avvocatura dello Stato, la Direzione Generale per i Servizi di Comunicazione Elettronica, di Radiodiffusione e Postali del Ministero dello Sviluppo Economico ha inviato una diffida alle due emittenti radiofoniche nazionali cui l’art. 74 c. 2 L. 448/2001 consentiva l’attivazione di impianti FM per il completamento della copertura nazionale, invitandole "ad attenersi a quanto previsto dalla normativa vigente ed in particolare dagli artt. 30 e 32 della legge 223/90". In particolare, le emittenti venivano diffidate "a cedere o permutare gli impianti attivati ai sensi dell’art. 74 L. 448/01, comma 2, ad altri soggetti titolari di concessione radiofonica in ambito locale o nazionale nel rispetto delle norme sopracitate, in considerazione della sentenza del Consiglio di Stato n. 2206/2011 e del parere rilasciato in proposito dall’Avvocatura di Stato il 14 aprile 2014". La motivazione della diffida (inviata anche a tutti gli Ispettorati territoriali) risiedeva nel fatto che "qualora si ammettesse la cessione di questi impianti a soggetti legittimamente autorizzati si favorirebbe non già la copertura prescritta dalla legge per le emittenti radiofoniche nazionali comunitarie, ma l’incremento delle reti esercite dai soggetti acquirenti, alterando l’equilibrio voluto dal legislatore, che ha previsto che ogni cessione di impianto sia vagliata e controllata dal Ministero". Il suddetto principio, secondo la D.G.S.C.E.R.P., sarebbe stato ribadito dal Consiglio di Stato "nella citata sentenza n. 2206/2011", a mente della quale (testo ministeriale): "I titolari di concessione ex d.l. n. 323 del 1993 possono esercire solo impianti regolarmente censiti ai sensi della legge 223 del 1990, anche se non posseduti alla data della sua entrata in vigore e successivamente acquistati, e non pure gli impianti (non trasferibili) che siano stati attivati ai sensi dell’art. 74, comma 2, della legge n. 448 del 2001". Il risultato del perentorio stop si è visto sul bilancio dello stesso anno: i ricavi sono crollati, e non quelli principali, stabili a circa 140mila euro, ma quelli ricompresi nella voce “altri ricavi” (fra cui, non a caso, quella relativa alle frequenze), passati da 1,4 mln del 2013 a 866.000 euro del 2014. Il rosso è aumentato da quasi 9.000 euro nel 2013 a 957.700 euro nell’anno soccorso. I tempi d’oro, per Radio Padania, sembrerebbero conclusi e varie sono le ipotesi che si prospettano per evitare la chiusura, anche se ve ne sono alcune che la favorirebbero per sanare i debiti: tra le più quotate di quest’ultime, spicca l’interesse del titolo concessorio per qualche comunitaria locale proiettata a svilupparsi in ambito nazionale. (S.F per NL)