Il problema non è tanto – e non solo – l’approccio superficiale (o fai da te) da parte di troppe emittenti al popolamento dei database delle case automobilistici e del centinaio di aggregatori che mediano l’ascolto IP, la compilazione con dati errati del file SI.xml per accedere allo standard per la radio ibrida RadioDNS e la mancata comprensione delle logiche dei codici PI, quanto la mancata consapevolezza di quello che sta succedendo sul cruscotto dell’auto.
Chiunque abbia acquistato un’auto da un paio d’anni a questa parte, si sarà infatti accorto che i sistemi Android Auto ed Apple CarPlay, integrati su ogni vettura, una volta collegati in mirroring allo smartphone del guidatore, assumono il controllo del dashboard.
I due sistemi, quindi, cercheranno sempre di più di controllare dal proprio interno anche i sistemi broadcast, i cui terminali tipici sono le autoradio FM e DAB.
In assenza di norme vincolanti sul tema, Google ed Apple hanno sostanzialmente carta bianca.
Una situazione di fatto da cui occorre partire adottando – da parte dei diretti interessati (cioè gli editori) – le opportune contromisure.
Sintesi
A causa di una imperfetta (se non spesso inesistente) gestione dei metadati da parte delle emittenti, i sistemi di infotainment non riescono a riconoscere correttamente le stazioni radio, penalizzandone la visibilità.
Bisogna ammettere che il controllo dei cruscotti delle auto è ormai passato ai sistemi delle grandi aziende tecnologiche (Google ed Apple), che mirano a gestire ogni aspetto dell’intrattenimento in auto. Le radio rischiano l’esclusione se non si adeguano ai nuovi standard tecnologici e la questione va affrontata con un approccio sistemico e consapevole.
Le soluzioni, che includono il popolamento dei database, il corretto impiego dello standard RadioDNS e dei codici PI, passando per l’inserimento di alias e fonemi per rendere le stazioni riconoscibili dai comandi vocali, richiedono un intervento strategico a più livelli al cospetto di una visione organica della questione.
Il vaso di Pandora
La sensazione diffusa è che gli editori stiano prendendo sotto gamba la nuova emergenza del settore.
A meno di due mesi dall’aggiornamento software di BMW che ha aperto il vaso di Pandora su codici PI e metadati intermediati dall’industria automobilistica, a causa della cattiva gestione o errata (o addirittura mancata) somministrazione degli stessi delle emittenti radiofoniche, l’approccio mostrato dal settore è, in generale, sconfortante.
Approccio superficiale al problema
Il problema non è tanto e non solo l’approccio superficiale (o addirittura fai da te) da parte di troppe emittenti al popolamento dei database delle case automobilistiche e del centinaio di aggregatori (che in qualche caso sono essi stessi banche dati per l’automotive) che mediano l’ascolto radiofonico via IP, la compilazione con dati errati del file SI.xml per accedere allo standard per la radio ibrida RadioDNS (che ne impedisce naturalmente il corretto funzionamento) e la mancata comprensione delle logiche dei codici PI, elementi interagenti nella somministrazione di informazioni importanti per la corretta associazione di nomi, loghi, formati, flussi streaming e codici mux DAB per l’interscambio. Lo è, piuttosto, la mancata consapevolezza di quello che sta succedendo sul cruscotto dell’auto.
Mirroring delle mie brame
Chiunque abbia acquistato un’auto da un paio d’anni a questa parte, si sarà accorto che i sistemi Android Auto ed Apple CarPlay, integrati su ogni vettura, una volta collegati in mirroring allo smartphone del guidatore (soluzione indispensabile per sfruttarne le potenzialità), assumono il controllo del dashboard.
Sistemi resistenti
Come accade sulle smart tv, dove i sistemi OTT tendono sempre più a resistere ai tentativi di uscita, demotivando l’utente a farlo (si pensi ai vari avvisi opposti quando si cerca di uscire da determinate piattaforme, come Disney, Netflix, Prime Video, ecc.), anche Android Auto ed Apple CarPlay puntano a gestire ogni operazione dell’automobilista, che esuli da aspetti elettronici o meccanici specifici della vettura, dal proprio ecosistema.
Terminali
I due sistemi, quindi, cercheranno sempre di più di controllare dal proprio interno anche gli elementi broadcast, i cui terminali tipici sono le autoradio FM e DAB. In assenza di norme vincolanti sul tema (prominence broadcast), Google ed Apple hanno sostanzialmente carta bianca. Una situazione di fatto da cui occorre partire.
Chiedi e (forse) ti sarà dato
“Quando un editore ci contatta per lo station check della propria emittente sui nuovi dispositivi di somministrazione audio, il primo invito che facciamo è di installare l’app di TuneIn sul proprio smartphone, attivare il bluetooh e collegarlo ad Android Auto od Apple CarPlay e chiedere di sintonizzare/aprire/mettere la stazione.
Il campanello d’allarme
Se Google o Siri (ma il discorso vale ovviamente anche per Alexa) non la riconoscerà, dovrà scattare il primo campanello d’allarme”, esordisce Massimo Rinaldi, ingegnere e cto di Com-Nect, società di ibridazione broadcast/broadband (gruppo Consultmedia).
Porte chiuse
“Significa infatti che la denominazione dell’emittente non è iscritta in elenco, non lo è correttamente, non è comprensibile, è equivoca, è omonima o comunque non è decodificabile dai sistemi. E’ un fatto grave, considerato che, nel prossimo futuro, la somministrazione di contenuti radiofonici attraverso comandi vocali o su suggerimento dei sistemi integrati sulle auto sarà dominante”, evidenzia Rinaldi.
E’ il momento di cambiare nome?
Ciò significa che l’emittente deve cambiare nome?
“Non necessariamente. Qualche volta il problema può essere risolto attraverso l’introduzione di alias e fonemi. Tuttavia, in molti casi è veramente opportuno mutare identificativo, se non si vuol finire emarginati dalle intelligenze artificiali che gestiranno la ricerca su dispositivi connessi”.
L’approccio a RadioDNS
Ma la verifica del comando vocale è solo il primo passo, posto che gli interventi di normalizzazione devono agire su più livelli.
A seguito delle verifiche condotte anche attraverso il confronto con operatori europei che sulla questione lavorano da anni, come Dennis Laupman CCO di Meta.Radio e Pluxbox, società olandese specializzate nell’integrazione di strumenti e processi complessi nell’ecosistema digitale, che interagiscono a stretto contatto con RadioDNS, è emersa la necessità di un approccio sistemico da parte di soggetti che hanno una visione d’insieme della questione.
Chi cerca spesso non trova
“Abbiamo avviato Metadata.Radio proprio per questo motivo, appurando che le stazioni radio più piccole spesso non hanno le risorse per affrontare nuove sfide. Inoltre, ci sembrava che molti produttori di automobili non sempre sapessero come raggiungere le emittenti radiofoniche. Noi operiamo fungendo da interfaccia, per colmare questa lacuna e supportare entrambe le parti nel fornire una migliore esperienza di ascolto all’utente finale”, sottolineava in una recente intervista a Newslinet, Laupman.
Ecosistema
Un intervento articolato, che non in rari casi impone di creare collegamenti senza soluzione di continuità all’infrastruttura esistente, come i playout ed i CMS per mantenere i flussi streaming esistenti.
Il file SI.xml
“Qualche emittente che dopo essere finita nel tritacarne dei loghi dissociati, ci aveva contattato assicurandoci di aver già effettuato da tempo l’iscrizione a RadioDNS, dopo la nostra verifica ha scoperto che, in realtà, non aveva, per esempio, aggiornato i codici EId (Ensemble Identifier) dei mux DAB, nel frattempo mutati. E quindi il file SI.xml non era più aggiornato, con la conseguenza che il sistema RadioDNS non rispondeva alle esigenze per cui è deputato“, spiega Rinaldi.
Visione organica
“Gli editori devono prendere atto che, come un tempo si doveva girare in auto sui confini dell’area di servizio FM per accertare l’inesistenza di interferenze causate da modifiche impiantistiche altrui, oggi devono correttamente controllare la gestione dei metadati. Un’attività che, data la sua complessità e la sua evoluzione, è impensabile poter effettuare in forma individuale.
Caratura internazionale
Occorre un approccio organico: non è possibile interagire efficacemente con un sistema che, per sua natura, ha dimensioni internazionali senza aver consapevolezza di ogni sua correlazione”, annota l’ingegnere.
Gli aspetti collaterali
Una relazione che, in effetti, ha anche riflessi legali, considerati gli aspetti connessi alla registrazione e successiva tutela di marchi e layout, asset destinati a diventare sempre più rilevanti in tutti gli ambiti merceologici, alla luce dei processi di intermediazione di un numero sempre maggiore di settori (che eliminano i comparti di vendita fisici spostandosi online).
Task force su codici PI e metadati
“Stante la gravità e soprattutto la progressiva e preoccupante espansione di una questione che è ormai evidente essere fisiologica e non estemporanea, abbiamo istituito una task force tecnico-giuridica per cercare di affrontarla, con la maggiore efficacia e continuità possibile”, annota l’ingegnere.
L’approccio
Ma che modello d’intervento è stato adottato per gestire un problema la cui genesi non è ancora completamente definita?
Le due direttrici
“Abbiamo anzitutto sezionato la problematica nelle due (macro) direttrici: codici PI e metadati. Per quanto riguarda la prima, la strategia che abbiamo deciso di adottare è stata di natura giuridica, attraverso una specifica azione di carattere amministrativo.
RadioDNS (2)
Relativamente alla seconda direttrice, sono stati avviati una serie di confronti con RadioDNS, coi relativi partner e coi gestori delle banche dati utilizzate dalle maggiori case automobilistiche e degli aggregatori di flussi streaming radiofonici per attuare l’immediata iscrizione delle emittenti assistite negli elenchi (o aggiornare i dati se presenti e non allineati con la realtà) e per definire protocolli per gli aggiornamenti.
Approccio strategico
In realtà, gli interventi si pongono nell’alveo dell’attività strategica già da tempo avviata da Consultmedia in relazione alla tutela dei contenuti.
Le nuove regole
Mi riferisco appunto ai marchi, al layout, al format, ma anche all’adeguamento alle nuove logiche di indicizzazione e catalogazione dei contenuti da parte dei device (autoradio, smart speaker, smart tv) o di terze parti (aggregatori). Un tema su cui purtroppo – almeno in Italia – non c’è ancora sufficiente consapevolezza”, sottolinea Rinaldi.
Il nocciolo della questione
“Volete un esempio di insufficiente ponderazione? Il nocciolo della questione è la semplicità: se ascoltare la radio diventa complicato, pochi lo faranno. Una delle ragioni del successo della radio (e della tv) lineare è la sua semplicità di fruizione: accensione, sintonia e via.
No more click
I recenti studi hanno dimostrato che pochi utenti superano i 3 click. Fuori discussione che uno o anche due siano oggi sufficienti (es. 1 click accensione autoradio; 2 click sui preferiti/scansione elenco; 3 click su stazione scelta), ma bisognerebbe non arrivare oltre i tre.
A portata di dito
E qui arriviamo al punto: l’unico sistema che garantisce il “one click” – o addirittura zero click – è proprio il comando vocale. Di qui la deduzione che si punterà lì e la necessità di una elaborazione delle conseguenti contromisure.
Ecco perché nel nostro check di verifica partiamo proprio da lì”, conclude Rinaldi. (E.G. per NL)