Oggetto della decisione della Suprema Corte è un contenzioso interferenziale tra un’emittente FM italiana interessata da perturbazioni alle proprie emissioni nel proprio territorio (quindi in Italia) da una nuova attivazione in Slovenia, pur autorizzata dalla locale Autorità amministrativa per le telecomunicazioni (Apek-Akos) e coordinata dall’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (UIT).
Nel merito della vicenda, la concessionaria italiana per la radiodiffusione sonora (in ambito locale) aveva adito il giudice civile (Tribunale di Trieste), prima con istanza cautelare e poi con giudizio di cognizione piena, per conseguire la cessazione di interferenze ad un proprio impianto FM (in Trieste) provocate da una nuova emissione in Slovenia, nonché la condanna al risarcimento del danno subito a seguito di un comportamento integrante molestia, spoglio e concorrenza sleale, in quanto pregiudicante ed in alcune zone annullante la ricezione dei programmi nel bacino di utenza di riferimento dell’attrice.
Il Tribunale adito aveva accolto la domanda dell’attrice, condannandola alla cessazione delle turbative. La parte soccombente aveva però appellato la sentenza avanti alla Corte di Appello di Trieste che, con sentenza 30/11/2015 aveva tuttavia rigettato il gravame della stazione estera e, in particolare, i motivi riguardanti sia il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in favore del giudice straniero, per ragioni indicate in altra sentenza della medesima Corte, la quale aveva evidenziato la necessità di avere riguardo al luogo ove era avvenuta la lesione del diritto della vittima , sia la prova delle interferenze e della loro imputabilità alla convenuta. La Corte, poi, aveva giudicato irrilevanti questioni estranee all’ambito privatistico del rapporto dedotto in causa, come quelle relative al possesso da parte delle due emittenti di titoli abilitativi rilasciati dalle rispettive autorità nazionali ed alla cooperazione tra gli Stati nella regolamentazione delle frequenze radio transfrontaliere, riguardanti la controversia la tutela del possesso di frequenza radio “da tempo e con anteriorità” utilizzata dall’attrice. Infine, il Secondo giudice aveva rigettato il motivo riguardante la denunciata assenza di una situazione di concorrenzialità tra le due emittenti, invece configurabile in concreto.
Avverso alla sentenza della CdA di Trieste aveva proposto ricorso per Cassazione la stazione estera, sulla base di tre motivi, cui si era opposta l’emittente italiana.
Nel dettaglio, col primo motivo l’emittente estera aveva denunciato il difetto di giurisdizione dei giudici italiani, i quali si sarebbero attribuiti poteri giurisdizionali di cui erano sforniti, avendo pronunciato sentenza nei confronti di una società straniera fuori dei casi previsti dalla legge, in luogo del giudice competente che era quello della Slovenia, ove era localizzato l’impianto interferente, a norma degli artt. 2, comma 1 , e 5, n. 3 del citato Regolamento CE 44/2001, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e dell’art. 21 c.p.c., con riferimento al luogo ove era avvenuto il fatto denunciato con l’azione possessoria e di danno temuto.
I giudici di ultimo grado, sul punto, dichiaravano però infondato il motivo.
A fondo, la Suprema Corte, premettendo che la stazione estera legittimamente trasmetteva dall’impianto sloveno su una frequenza diversa da quella dell’emittente italiana (100 KHz di distanza) e che l’illeceità di quella trasmissione si era realizzata in Italia, a causa della sua interferenza con il segnale in Italia, osservava che il luogo dell’evento dannoso era da individuare in quello del diffusore italiano (segnatamente a Conconello, Trieste), ex art. 5, n. 3 Reg. CE 44/2001 , ivi essendosi verificata la “lesione del diritto della vittima, senza avere riguardo al luogo dove si sono verificate o potranno verificarsi le conseguenze future di tale lesione” .
Il luogo in cui era collocato la stazione slovena, non essendo quello in cui si era verificato nemmeno “il danno iniziale” della fattispecie illecita , non era idoneo a giustificare il radicamento della giurisdizione slovena.
Sul punto, la Corte di giustizia UE aveva precisato che la nozione di “luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto” si riferisce al luogo in cui era sorto il danno, nozione quest’ultima da intendere come indicativa del luogo in cui il fatto causale, che generava la responsabilità da delitto o da quasi delitto, aveva prodotto direttamente i suoi effetti dannosi nei confronti di colui che ne era la vittima immediata , dovendosi avere riguardo non solo al “luogo dell’evento generatore del danno”, ma anche al “luogo in cui l’evento di danno è intervenuto “ .
Questa soluzione, ad avviso della S.C., era coerente sia con l’art. 6 del Reg. CE n. 864/2017, del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11/07/2007, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (vigente dall’11/01/2009) che, in tema di concorrenza sleale e atti limitativi della libera concorrenza, aveva individuato la legge applicabile in “quella del paese sul cui territorio sono pregiudicati, o rischiano di esserlo, i rapporti di concorrenza o gli interessi collettivi dei consumatori”, sia con l’art. 51, c. 1, della L. n. 219/1995, che prevede che il possesso dei beni mobili e immobili sia regolato dalla legge dello Stato in cui il bene si trova, nella specie individuabile nel luogo ove è collocato l’impianto di radiodiffusione italiano, anche ai fini della tutela possessoria.
Correttamente, quindi, secondo i giudici di ultima istanza, i magistrati triestini, essendo muniti di giurisdizione, aveva deciso la causa nel merito.
Relativamente al secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della normativa internazionale relativa alla procedure di coordinamento delle frequenze radio transfrontaliere, la ricorrente sosteneva che le proprie trasmissioni dalla postazione slovena sarebbero state legittime in quanto autorizzate da un provvedimento dell’autorità amministrativa slovena (Apek-Akos), emesso in conformità ad un accordo internazionale siglato a Ginevra il 07/12/1984, del quale erano parti l’Italia e la Slovenia e di una preliminare richiesta di parere alla competente autorità italiana che aveva rilasciato il nulla-osta (a condizione di apportare alcune modifiche all’impianto trasmittente).
Non altrettanto si poteva dire invece – a parere della stazione estera – delle trasmissioni italiane, posto che il nostro Paese era inadempiente all’obbligo internazionale di comunicare le frequenze utilizzate sul proprio territorio e di iscriverle nel Piano previsto nel citato accordo di Ginevra (nel registro IFRB); circostanza che rendeva le stazioni italiane private non autorizzate nei conflitti transfrontalieri. Inoltre, ad avviso della radio slovena, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato il principio del preuso, invece irrilevante nella specie, trattandosi di emittenti operanti su frequenze radio e Paesi diversi. In conclusione, il giudice italiano, ad avviso della ricorrente, non avrebbe potuto intervenire senza violare la sovranità territoriale di un altro Stato, nella gestione di frequenze radio amministrate dall’autorità slovena.
Secondo la Cassazione, tale motivo era in parte inammissibile, poiché non avrebbe colto la ratio decidendi della sentenza impugnata che aveva inibito alla stazione estera di interferire una frequenza spettante ad altra emittente (italiana) in violazione (anche) dell’art. 42, lett. F, del D. Lgs. 177/2005, secondo cui i soggetti che svolgono attività di radiodiffusione sono tenuti ad assicurare un uso efficiente delle frequenze radio ad essi assegnate e, in particolare, ad “assicurare che le proprie emissioni non provochino interferenze con altre emissioni lecite di radiofrequenze”. Non era in discussione, pertanto, il legittimo ed indisturbato uso della frequenza estera, ma l’interferenza che, in conseguenza di tale utilizzo, la stazione straniera aveva operato sulla frequenza italiana, di cui non rivendicava la titolarità, legittimamente spettante alla concessionaria del diffusore di Trieste.
L’ulteriore contestazione rivolta all’emittente italiana di trasmettere illegittimamente si risolveva, per i giudici finali, da un lato, in una impropria critica dell’apprezzamento di fatto con il quale i magistrati di merito avevano incidentalmente accertato la legittima titolarità della frequenza impiegata dalla radio italiana, sulla base di un provvedimento autorizzatorio dell’autorità di riferimento (il Ministero dello Sviluppo Economico); dall’altro, si poneva infondatamente in contrasto con il condivisibile principio secondo cui il titolare di un impianto di trasmissione radiotelevisiva via etere in ambito locale utilizzasse di fatto e con preuso, anche in mancanza dell’autorizzazione amministrativa, una certa banda di frequenza, era portatore di posizioni giuridiche soggettive tutelabili in sede possessoria e petitoria nei confronti di altre emittenti che, trovandosi nella stessa condizione e anche se titolari di concessione, interferissero sulla stessa frequenza.
Era anche noto, per la S.C., che la presenza di un titolo amministrativo non faceva venire meno l’intenzione di attentare all’altrui possesso e non escludeva quindi l’operatività della tutela reintegratoria.
Infine, col terzo motivo la stazione straniera aveva denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 c.c. per assenza di concorrenzialità tra le due emittenti, le quali avrebbero operato in ambiti territoriali diversi e non avrebbero avuto una clientela comune, sicché la condotta dell’emittente estera sarebbe stata insuscettibile di arrecare pregiudizi a quella italiana.
Tale motivo, secondo i giudici superiori, era inammissibile, limitandosi a contrapporre all’accertamento di fatto operato dai giudici di merito – i quali avevano ritenuto configurabile in concreto la concorrenzialità, avendo seppur parzialmente i medesimi destinatari potenziali – una diversa interpretazione del rapporto tra le due emittenti in termini più confacenti all’interesse processuale della ricorrente, senza svolgere censure specifiche ed adeguate, a norma dell’art. 366, n, 4 e 6, c.p.c.
Per tali motivi, la Suprema Corte rigettava il ricorso condannano la ricorrente alle spese di giudizio. (M.L. per NL)