Da una parte artisti emergenti che vorrebbero che i propri brani fossero trasmessi ogni giorno da più emittenti possibili, dall’altra editori e direttori artistici che preferirebbero scontare un ergastolo pur di evitare pezzi di artisti conterranei.
Quali sono i torti e le ragioni degli uni e degli altri?
Le radio sono indiscutibilmente sommerse dall’invio di migliaia di file di ogni genere, molti dei quali – invero- di pessima qualità audio e artistica.
La tecnologia oggi permette a chiunque di creare un brano in pochi secondi, spesso oggettivamente inascoltabile; ovviamente bisognerebbe rendersi conto che un’azienda che vive di introiti pubblicitari deve essere appetibile e non può permettersi di giocare come fanno molti aspiranti Rolling Stones o David Morales che passano il tempo nella stanzetta di casa sognando di diventare delle star.
Una radio che deve far quadrare ogni mese i conti chiaramente non può permettersi di effettuare improbabili esperimenti al buio e, in ogni caso, ha il diritto di rischiare seguendo la sua idea di scelte musicali. Si è tutti bravi a giocare a fare gli artisti, quando poi costi e rischi ricadono sulle spalle degli altri.
Da parte loro i cantanti, giustamente, vorrebbero dare il maggior risalto possibile al progetto da “promozionare”, esigenza comprensibile, ma spesso quello che riescono ad ottenere dopo aver bussato a mille porte è la solita ospitata di 30 minuti con l’ascolto del brano.
Non comprendono che tutte queste interviste spesso vanno bene solo per le foto da mettere sui social e da far vedere alla mamma; se la canzone non viene inserita nella programmazione musicale (e questo non avviene quasi mai) il riscontro sugli ascoltatori è praticamente nullo e quindi nessun risultato viene raggiunto.
E’ anche vero che le radio non traggono alcun giovamento dal copiare le playlist dei network e non si rendono conto che ogni città ha tradizioni e culture completamente diverse e che, a differenze delle nazionali, le piccole realtà non hanno alcun vantaggio da case discografiche e produttori e diventano, quindi, replicanti inutili di altri interessi.
Se ci fossero realmente direttori artistici in grado di comprendere il proprio ruolo e programmatori musicali che conoscono la musica, si potrebbero inserire nella playlist i prodotti migliori, scremandoli tra le innumerevoli proposte ricevute e dando loro il giusto risalto e promozione.
Dovrebbe essere la norma per una radio locale spingere gli artisti validi presenti sul territorio invece di subire con un atteggiamento servile certe mezze cartucce imposte dai soliti noti.
E’ inaccettabile che giovani di talento non trovino spazio nelle radio della propria città a causa di un’ignoranza e inefficienza dilaganti, non ci vorrebbe poi molto a costruire delle trasmissioni in cui, durante l’intervista agli emergenti, la musica degli stessi venga abbinata ad altre canzoni, magari legate da affinità e similitudini, in modo da riuscire a far apprezzare all’ascoltatore anche la messa in onda di qualche brano sconosciuto.
Poi è anche compito di un bravo speaker andare oltre le solite domande noiose e cercare di far diventare il programma un piccolo show; il resto dell’opera dovrebbe essere svolto dal direttore musicale con l’inserimento attento e curato di nuovi innesti in una rotazione efficace nei mesi a seguire.
Dovrebbe e potrebbe diventare un piccolo motivo di vanto per un’emittente scoprire e far conoscere un nuovo artista, in una logica di fidelizzazione del territorio, cercando, al contempo, di creare uno stile riconoscibile di una radio con un’anima.
Tutta questa omogeneità di generi musicali e di conduzione non giova a nessuno, ogni tanto si deve trovare il coraggio di osare.
Speriamo che altre generazioni di imprenditori ed altri sistemi di trasmissione invertano la rotta e immettano nel mercato volti e, soprattutto, idee nuove. (U.F. per NL)